Sentenza n. 336 del 1995

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SENTENZA N. 336

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente

-     Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-     Avv. Mauro FERRI

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 32, comma 7, del d.P.R. 31 marzo 1988, n. 148 (Approvazione del testo unico delle norme in materia valutaria), promosso con ordinanza emessa il 1° febbraio 1995 dal Pretore di Roma, nel procedimento civile vertente tra Rizzuto Francesco e il Ministero del tesoro, iscritta al n. 196 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima serie speciale, dell'anno 1995. Visto l'atto di costituzione di Rizzuto Francesco, nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nell'udienza pubblica del 27 giugno 1995 il Giudice relatore Cesare Ruperto; uditi l'avv. Francesco Rizzuto, in proprio, e l'Avvocato dello Stato Giovanni P. de Figueiredo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Nel corso di un giudizio di opposizione avverso l'ingiunzione emessa, a seguito d'infrazione valutaria, dal Ministero del tesoro per diciotto miliardi di lire in data 15 febbraio 1990, il Pretore di Roma - dinanzi al quale il giudizio era stato riassunto a seguito della decisione della Corte di cassazione adita con regolamento di competenza - con ordinanza emessa il 1° febbraio 1995 ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 32, comma 7, del d.P.R. 31 marzo 1988, n. 148 (Approvazione del testo unico delle norme in materia valutaria): a) in riferimento agli artt. 3, 24, 25 e 97 della Costituzione, nella parte in cui prevede la competenza del Pretore di Roma - luogo in cui ha sede l'Ufficio italiano dei cambi - per tutte le cause di opposizione ad ingiunzione riguardanti le infrazioni valutarie; b) in riferimento agli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione, nella parte in cui assoggetta tali controversie al rito previsto dall'art. 23 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale). A parere del giudice a quo la competenza del Pretore di Roma, che sarebbe già stata affermata dalla Corte di cassazione con sentenza 17 giugno 1988, n. 4131 (nel senso della coincidenza tra luogo in cui l'illecito è commesso e luogo dell'accertamento), come giudice del luogo in cui è stata accertata l'infrazione dall'Ufficio italiano dei cambi, comporterebbe una violazione del principio d'eguaglianza, una sottrazione del cittadino al suo giudice naturale, una menomazione del suo diritto di difesa, nonchè una lesione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione (l'art. 97 della Costituzione non è peraltro citato nel dispositivo dell'ordinanza di rimessione). Infatti, per l'ingiunto, l'onere di dover proporre opposizione dinanzi al Pretore di Roma comporterebbe un aggravio di costi ed un disagio, anche considerando l'ammontare, spesso notevole delle somme oggetto della sanzione ed alla luce del principio, più volte affermato da questa Corte, per cui le deroghe alla competenza territoriale devono essere sorrette da un apprezzabile interesse pubblico e non determinare una menomazione del diritto di difesa. A parere del remittente potrebbero, nel caso in esame, essere utilizzati altri criteri, quale ad esempio il luogo in cui siano state svolte indagini dalla Guardia di finanza ovvero da altri organi deputati all'accertamento di tali infrazioni. Quanto alla seconda questione, rileva il Pretore che il procedimento di cui all'art. 23 della citata legge sulla depenalizzazione, se si adatta a sanzioni di scarso rilievo, non pare viceversa idoneo a garantire il diritto di difesa, per la mancanza del doppio grado di giudizio in una materia spesso assai complessa. Solo l'appello infatti assicurerebbe, per il suo effetto devolutivo, le predette garanzie, la cui esclusione risulterebbe incomprensibile in subiecta materia, attesa la possibilità di una notevole incidenza nel patrimonio dell'ingiunto e considerato che il doppio grado è stato previsto da ultimo per le controversie "di ben minore rilevanza" devolute al giudice di pace.

2. - È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, che ha concluso per l'infondatezza di entrambi i profili della questione. Osserva l'Avvocatura che la norma impugnata prevede la competenza del Pretore del luogo ove è stata commessa l'infrazione e che l'affermazione di cui alla sentenza n. 4131 del 1988 della Corte di cassazione concerneva un caso in cui il luogo della violazione e quello dell'accertamento coincidevano. Ma anche a voler ritenere una sovrapposizione del diritto vivente al dato testuale della norma, l'Autorità intervenuta sostiene che la garanzia del diritto di difesa, oltre a potersi diversamente modulare, non si spinge al punto di assicurare una difesa "comoda", specie allorchè tale esigenza debba essere contemperata con il principio di buon andamento della pubblica amministrazione. Quanto infine alla mancanza di un doppio grado di merito, si osserva come tale principio, secondo la giurisprudenza di questa Corte, non abbia rilevanza costituzionale.

3. - Nel giudizio dinanzi a questa Corte si è costituita la parte privata, chiedendo di difendersi personalmente in quanto patrocinante in Cassazione e aderendo alle motivazioni di cui all'ordinanza di remissione.

Considerato in diritto

1. - Il Pretore di Roma dubita della legittimità costituzionale dell'art. 32, comma 7, del d.P.R. 31 marzo 1988, n. 148, sotto due profili: a) in riferimento agli artt. 3, 24, 25 e 97 della Costituzione, nella parte in cui la norma prevede la competenza del Pretore di Roma a conoscere dei giudizi di opposizione a violazione delle norme valutarie, in tale città avendo sede l'Ufficio italiano dei cambi, preposto all'accertamento delle infrazioni stesse; b) in riferimento agli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione, là dove la norma assoggetta le controversie in argomento al procedimento di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689, così sottraendole all'esperibilità di un ulteriore gravame di merito.

2. - La prima questione non è fondata.

2.1. - Il comma 1 dell'art. 32 del d.P.R. 31 marzo 1988, n. 148, individua nel decreto del Ministro del tesoro, emesso previo parere di un'apposita commissione consultiva, il provvedimento che determina la somma dovuta per le violazioni in materia valutaria, contestualmente ingiungendone il pagamento e "precisandone modalità e termini secondo quanto previsto dall'art. 18 della legge 24 novembre 1981, n. 689". L'impugnato comma 7 specifica poi che contro tale decreto "può essere proposta opposizione davanti al pretore del luogo in cui è stata commessa la violazione, ovvero, quando questa è stata commessa all'estero, del luogo in cui è stata accertata"; per i termini ed il procedimento di opposizione è ivi fatto rinvio, rispettivamente, agli artt. 22 e 23 della citata legge n. 689 del 1981. L'art. 1, comma 3, della successiva legge 21 ottobre 1988, n. 455, come conseguenza del- l'abolitio criminis disposta per le violazioni valutarie, prevede poi che l'Autorità giudiziaria dinanzi alla quale pendano procedimenti penali alla data d'entrata in vigore della legge, se non deve pronunciare decreto di archiviazione o sentenza di proscioglimento, trasmetta gli atti all'Ufficio italiano dei cambi ai fini dell'applicazione delle sanzioni amministrative.

2.2. - Il giudizio a quo trae origine appunto dall'applicazione del sistema transitorio da ultimo descritto, e le violazioni contestate riguardano in massima parte illeciti valutari commessi all'estero. Il che spiega perchè il verbale di accertamento sia stato redatto dall'Ufficio italiano dei cambi, nella sua sede istituzionale di Roma. È dunque la concomitante operatività delle due regole - dettate per il meccanismo a regime e per la fase intertemporale - che radica la competenza del Pretore di Roma a conoscere dell'opposizione, e non già un'inesistente modifica del forum commissi delicti che il giudice a quo attribuisce alla giurisprudenza della Corte di cassazione. Al riguardo va osservato che, secondo la prospettazione, al criterio generale che determina la competenza de qua con riferimento al luogo in cui l'illecito è commesso, la Corte di cassazione avrebbe sostituito il diverso principio del luogo dell'accertamento. Quand'invece è vero il contrario, nel senso che la violazione non può ritenersi commessa se non nel tempo e nel luogo risultanti dall'accertamento, posto che la legge non attribuisce alcuna rilevanza al luogo in cui è iniziata la consumazione della violazione prima che essa sia accertata da parte degli organi a ciò preposti. Sicchè, in particolare, le prove degli illeciti valutari possono essere raccolte in più località o, addirittura, emergere da un complesso di considerazioni logiche estranee ad ogni concetto di localizzabilità sul territorio. Pertanto assume decisivo valore il luogo in cui elementi di origine svariata e segmenti d'indagine di diversa matrice sono stati raccolti e coordinati da un'autorità fornita, a riguardo, di particolarissime competenze ed attribuzioni. L'Ufficio italiano dei cambi, ex art. 25 del d.P.R. n. 148 del 1988, si caratterizza infatti per le penetranti prerogative di controllo e verifica, esercitabili non solo nei confronti degl'istituti di credito ma anche verso altri soggetti, ed altresì mediante il servizio di vigilanza della Banca d'Italia, la Guardia di finanza, l'Istituto nazionale per il commercio con l'estero.

2.3. - La complessità strutturale di alcuni illeciti giustifica la competenza del detto ufficio; e inoltre la speciale vocazione ad accertare le fattispecie perfezionatesi all'estero rende a fortiori ragione della localizzazione, presso quest'ultimo, della relativa attività di accertamento. La deroga al criterio generale di determinazione della competenza territoriale che la norma impugnata pone è, dunque, ampiamente giustificata dalla prevalenza di un interesse pubblico a reprimere tali illeciti, anche per la pericolosità che tecniche sofisticate e disponibilità di ingenti mezzi finanziari frequentemente esprimono. Anzi, può dirsi che le esigenze di certezza nell'individuazione del giudice competente fanno apparire pressochè necessitata la scelta operata dal legislatore. La quale, all'evidenza, mentre non determina irragionevole disparità di trattamento e non ostacola, direttamente o indirettamente, il diritto di difesa, neppure viola il principio di precostituzione del giudice naturale, di cui al contrario rappresenta un efficace modo d'attuazione. Mentre poi non è dato cogliere la configurabilità, nella specie, d'una lesione al principio di buon andamento della pubblica amministrazione ex art. 97 della Costituzione, cui si fa cenno - peraltro assai fugace - nell'ordinanza di rimessione.

3. - La seconda questione è manifestamente inammissibile. Il dubbio di legittimità costituzionale concernente l'omessa previsione normativa di un secondo grado di giudizio non è infatti rilevante ove sollevato nel primo grado, poichè si risolve nella prematura richiesta di una pronuncia introduttiva d'un mezzo di gravame, destinata a non avere efficacia alcuna nel procedimento in corso dinanzi al giudice a quo (v. ordinanze n. 337 del 1994 e n. 394 del 1987).

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 32, comma 7, primo periodo, del d.P.R. 31 marzo 1988, n. 148 (Approvazione del testo unico delle norme in materia valutaria), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 25 e 97 della Costituzione, dal Pretore di Roma con l'ordinanza di cui in epigrafe; dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 32, comma 7, secondo periodo, del d.P.R. 31 marzo 1988, n. 148, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione, dal medesimo Pretore con la citata ordinanza.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 luglio 1995.

Antonio BALDASSARRE, Presidente

Cesare RUPERTO, Redattore

Depositata in cancelleria il 20 luglio 1995.