Sentenza n. 321 del 1995

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SENTENZA N. 321

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Prof. Vincenzo CAIANIELLO, Presidente

-     Avv. Mauro FERRI

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 8, primo comma, della legge 2 dicembre 1975, n. 576 (Disposizioni in materia di imposte sui redditi e sulle successioni), promosso con ordinanza emessa il 18 maggio 1994 dalla Corte d'appello di Milano nel procedimento civile vertente tra Riva Adele e l'Amministrazione delle finanze dello Stato, iscritta al n. 790 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4, prima serie speciale, dell'anno 1995. Visto l'atto di costituzione di Riva Adele; udito nella camera di consiglio del 31 maggio 1995 il Giudice relatore Fernando Santosuosso.

Ritenuto in fatto

1. - Nel corso di un procedimento civile vertente tra Riva Adele e l'Amministrazione delle Finanze dello Stato la Corte d'Appello di Milano, con ordinanza emessa il 18 maggio 1994, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 53, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 8, primo comma, della legge 2 dicembre 1975, n. 576 (Disposizioni in materia di imposte sui redditi e sulle successioni), nella parte in cui esclude che i ruoli dell'imposta complementare, cui fa riferimento la stessa norma, costituiscano titolo per la riscossione nei confronti della moglie ove l'imposta sia stata definita dal marito ai sensi del decreto-legge 5 novembre 1973, n. 660, convertito nella legge 19 dicembre 1973, n. 823. Premette in fatto il giudice a quo che l'Esattoria civica di Milano aveva notificato alla Signora Riva - quale corresponsabile del pagamento ai sensi dell'art. 8, primo comma, della legge 2 dicembre 1975, n. 576 - quattro avvisi di mora relativi all'imposta complementare per gli anni 1963-1973 dovuta dal marito; che la Riva aveva proposto ricorso alla Commissione tributaria chiedendo l'annullamento degli avvisi, deducendo di essere separata dal marito fin dal 1970, di avere, quale autonomo soggetto d'imposta, presentato domanda di condono relativamente agli anni 1971 e successivi, e che analoga domanda di condono era stata presentata dal marito riguardo agli anni 1963-1973; che la Commissione aveva accolto il ricorso limitatamente agli anni 1970-1973, rigettandolo per il resto, e che tale decisione, confermata dalla stessa Corte d'appello, era stata in seguito cassata (con rinvio ad altra sezione) dalla Corte di cassazione sulla base del rilievo che, per effetto della domanda di definizione agevolata ai sensi del decreto-legge n. 660 del 1973, si determina l'esaurimento dei rapporti tributari. Tanto premesso, osserva il rimettente che l'art. 8, primo comma, della legge 2 dicembre 1975, n. 576 - come interpretato dalla Corte di cassazione - si pone in contrasto con l'art. 3, primo comma, della Costituzione, non essendo ragionevolmente spiegabile il motivo per cui il ruolo dell'imposta complementare dovuta dal marito per gli anni 1974 e antecedenti riferita al reddito complessivo, comprensivo di quello della moglie, costituisca titolo per la riscossione nei confronti di quest'ultima solo se vi sia stato accertamento definitivo da parte dell'Ufficio, ma non se l'imposta sia stata "definita per condono" sulla base del citato decreto-legge n. 660 del 1973; le due situazioni, invero, ritiene il giudice a quo, sono sostanzialmente identiche operando in entrambe il regime del cumulo dei redditi, ed essendo in entrambe stato accertato l'an ed il quantum dell'imposta. A parere del giudice a quo, inoltre, l'impossibilità per l'amministrazione finanziaria di agire, in sede di riscossione, anche nei confronti della moglie si traduce nella impossibilità concreta di realizzare la pretesa tributaria e quindi in una sostanziale violazione dell'art. 53, primo comma, della Costituzione, quanto meno relativamente all'imposta dovuta con riguardo ai redditi della moglie. Si è costituita fuori termine la parte privata, mentre non ha spiegato intervento l'Avvocatura Generale dello Stato.

Considerato in diritto

1. - La Corte d'appello di Milano dubita della legittimità costituzionale dell'art. 8, primo comma, della legge 2 dicembre 1975, n. 576 (Disposizioni in materia di imposte sui redditi e sulle successioni), nella parte in cui - come interpretato dalla Corte di cassazione - esclude che i ruoli dell'imposta complementare costituiscano titolo per la riscossione nei confronti della moglie ove l'imposta stessa sia stata definita per condono dal marito ai sensi del decreto- legge 5 novembre 1973, n. 660. Ad avviso del giudice a quo la norma impugnata contrasterebbe: - con l'art. 3, primo comma, della Costituzione, in quanto, nella (ritenuta) identica ipotesi di accertamento d'ufficio divenuto definitivo, il ruolo dell'imposta complementare dovuta dal marito e comprensiva dei redditi della moglie costituisce titolo per la riscossione nei confronti di quest'ultima; - con l'art. 53, primo comma, della Costituzione, in quanto l'impossibilità dell'amministrazione finanziaria di agire anche nei confronti della moglie non consente di realizzare la pretesa tributaria.

2. - La questione è ammissibile, ma infondata nel merito. Circa l'ammissibilità va ricordato il costante indirizzo di questa Corte, secondo il quale il giudice di rinvio può sollevare, come avviene nel caso di specie, dubbi di costituzionalità concernenti l'interpretazione normativa risultante dal "principio di diritto" enunciato dalla Corte di cassazione, dovendo la norma ricevere ancora applicazione nella fase di rinvio. Va inoltre ricordato che si ha questione di mera interpretazione, e non di costituzionalità, soltanto nei casi in cui il giudice rimettente non individua profili di contrasto con determinati parametri costituzionali o in quelli in cui, anche se formalmente li indica, in realtà chiede alla Corte di avallare determinate ipotesi interpretative senza sostanzialmente prospettare, riguardo alle interpretazioni assunte, dubbi di legittimità costituzionale (v., da ultimo, sentenza n. 58 del 1995; ordinanza n. 274 del 1991; sentenza n. 30 del 1990).

3. - Nel merito è opportuno premettere che la moglie ha dato prova di essere personalmente separata dal marito dal 1970 e di aver fatto delle distinte dichiarazioni dei suoi redditi da detto anno in poi, condonando per questo periodo i suoi debiti d'imposta. Pur essendo stati notificati alla Adele Riva avvisi di mora relativi al decennio 1963-1973, ai fini del presente giudizio il problema è se per i debiti tributari relativi agli anni 1963-1969 - per i quali in regime di cumulo di tutti i redditi familiari era stato il marito a presentare la dichiarazione e poi la domanda di condono - possa l'amministrazione finanziaria agire esecutivamente anche nei confronti della predetta moglie. La disciplina applicabile a questo problema è stata già interpretata dalla Corte di cassazione - diversamente dalle Commissioni tributarie e dalla Corte d'appello - nel senso che detta azione esecutiva deve ritenersi preclusa; ma il giudice di rinvio ritiene che tale interpretazione, alla quale egli è tenuto ad uniformarsi, sia viziata di incostituzionalità per violazione dell'art. 3 e dell'art. 53 della Costituzione.

4. - La Corte d'appello considera preliminarmente che la norma impugnata - per le dichiarazioni presentate dal contribuente nella vigenza della disciplina sul cumulo dei redditi familiari - consente espressamente all'amministrazione finanziaria di agire esecutivamente anche nei confronti della moglie (riconoscendole peraltro la facoltà di proporre ricorso avverso il ruolo) "a seguito di accertamenti in rettifica o d'ufficio del reddito complessivo comprensivo di redditi della moglie". Il giudice a quo ritiene tuttavia costituzionalmente illegittimo che analogo trattamento non sia stato previsto per l'ipotesi in cui la definitività della pretesa tributaria discenda dall'accoglimento della domanda di condono. Osserva in particolare che nell'uno e nell'altro caso opera il regime del cumulo dei redditi; nell'uno e nell'altro caso, l'an e il quantum dell'imposta sono stati definitivamente accertati e determinati, dovendosi ancora adempiere l'obbligazione tributaria, e rileva come sia arduo individuare i motivi che possano ragionevolmente giustificare la diversa regolamentazione dettata per le due ipotesi.

5. - Questa Corte ritiene al contrario che sussistano motivi giustificatori della diversa regolamentazione delle predette situazioni messe a raffronto. Ed invero il citato art. 8, per le ipotesi in cui l'accertamento definitivo sia stato intestato al solo marito, consente l'iscrizione a ruolo e l'esecuzione anche nei confronti della moglie (così estendendo a quest'ultima la soggettività passiva di imposta), ma nel contempo ammette questo secondo soggetto ad impugnare il ruolo per dimostrare l'illegittimità totale o parziale della pretesa tributaria. Tale sistema non è però assimilabile a quello in cui vi sia stata domanda di condono fiscale accettata dall'amministrazione; in questa diversa ipotesi, invero, non è più consentita alcuna contestazione del presupposto impositivo; per cui non può estendersi ad altri la soggettività passiva tributaria. L'istituto del condono, infatti, costituisce una forma atipica di definizione del rapporto tributario, che prescinde da un'analisi delle varie componenti dei redditi ed esaurisce il rapporto stesso mediante definizione forfettaria e immediata, nella prospettiva di recuperare risorse finanziarie e ridurre il contenzioso e non in quella dell'accertamento dell'imponibile. In particolare, la disciplina del decreto-legge n. 660 del 1973 prevedeva anche l'irrevocabilità (art. 10) e la definitività (art.11) della dichiarazione di condono, realizzando così un fenomeno di estinzione del rapporto originario ed il sorgere di un nuovo rapporto, cristallizzato fino al punto da escludere modifiche anche da parte dell'ufficio per casi che non fossero quelli dell'errore materiale o della violazione delle disposizioni del decreto stesso di condono. In tale situazione l'unico soggetto passivamente obbligato restava colui che aveva presentato la dichiarazione dei redditi e che aveva chiesto il condono.

6. - Inoltre, il legislatore, intervenuto con la legge 12 novembre 1976, n. 751 a dettare "norme per la determinazione e riscossione delle imposte sui redditi dei coniugi per gli anni 1974 e prece denti", mentre ha consentito (art. 4, primo comma) a "ciascuno dei coniugi di chiedere, con effetto anche per l'altro coniuge, che l'imposta sia applicata separatamente sulla base di apposita dichiarazione all'ufficio dell'imposte al quale doveva essere presentata la dichiarazione unica", ha - nel terzo comma dello stesso articolo - escluso tale facoltà (e quindi escluso la conseguente tassazione separata) in tre casi: "quando il reddito complessivo netto è stato determinato sinteticamente, ovvero con decreto o sentenza passata in giudicato, o quando è stato definito ai sensi del decreto-legge 5 novembre 1973, n. 660" (e cioè per condono fiscale). La ratio che accomuna queste tre ipotesi è ravvisabile nella impossibilità o nella estrema difficoltà per l'amministrazione tributaria di operare una distinzione nell'ambito dell'accertamento compiuto attraverso il criterio sintetico, o di modificare la titolarità del rapporto risultante da un giudicato o dal condono fiscale chiesto da un determinato soggetto. Se, quindi, questa peculiare forma di esaurimento del rapporto tributario non è assimilabile alla sua normale definizione, la disciplina relativa, concernendo situazioni disomogenee, non può essere censurata ex art. 3 della Costituzione.

7. - L'ordinanza di rimessione denunzia anche la violazione del principio della capacità contributiva previsto dall'art. 53 della Costituzione in quanto, pur essendo Adele Riva titolare della maggior parte dei redditi cui si riferisce l'imposta in contestazione, la stessa non risponde del pagamento dei tributi, nemmeno se l'amministrazione finanziaria non riesca a riscuoterli dal marito che risulta non possidente. La censura non può essere accolta per la considerazione che discende da quanto precedente mente osservato: e cioè che la moglie, nel sistema anteriore al decumulo dei redditi familiari (ed in mancanza di una possibile distinzione successiva), non era soggetto coobbligato del debito d'imposta, ma di questo rispondeva solo il marito, considerato dalla legge unico soggetto passivo anche in ordine a tutti i beni, pur calcolati in sede di accertamento nel sistema di cumulo dei redditi. Nel vigore di detto sistema, invero, la Corte di cassazione aveva costantemente ritenuto che la moglie, i cui redditi venivano cumulati con quelli del marito al fine dell'accertamento dell'imposta complementare, non era coobbligata nel debito del marito e non era assoggettabile ad esecuzione esattoriale, nemmeno limitatamente ai beni producenti i redditi oggetto del cumulo. Ne deriva l'inconferenza del richiamo all'art. 53 della Costituzione, che si riferisce alla capacità contributiva dei soggetti passivi dell'imposta ma non di quelli che tale titolarità non posseggono. Nè rileva - ai fini dello stesso art. 53 - che la capacità contributiva del marito non corrisponda più a quella della famiglia, essendo stato affermato da questa Corte (sentenza. n. 45 del 1964) che "per capacità contributiva s'intende l'idoneità del contribuente a corrispondere la prestazione coattivamente imposta, e tale idoneità deve porsi in relazione, non già con la concreta capacità di ciascun contribuente ma col presupposto al quale la prestazione stessa è collegata e con gli elementi essenziali dell'obbligazione tributaria".

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 8, primo comma, della legge 2 dicembre 1975, n. 576 (Disposizioni in materia di imposte sui redditi e sulle successioni), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dalla Corte d'appello di Milano con l'ordinanza indicata in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 giugno 1995.

Vincenzo CAIANIELLO, Presidente

Fernando SANTOSUOSSO, Redattore

Depositata in cancelleria il 13 luglio 1995.