Sentenza n. 296 del 1995

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SENTENZA N. 296

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente

-     Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-     Avv. Mauro FERRI

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 2-bis, del decreto-legge 21 marzo 1988, n. 86 (Norme in materia previdenziale, di occupazione giovanile e di mercato del lavoro, nonchè per il potenziamento del sistema informatico del Ministero del lavoro e della previdenza socia le), convertito, con modificazioni, nella legge 20 maggio 1988, n. 160, promosso con ordinanza emessa il 1° luglio 1994 dal Pretore di Grosseto nel procedimento civile vertente tra Rospetti Rigoletto e l'INPS, iscritta al n. 538 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell'anno 1994. Visto l'atto di costituzione dell'INPS nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nell'udienza pubblica del 13 giugno 1995 il Giudice relatore Cesare Ruperto; uditi l'avv. Carlo De Angelis per l'INPS e l'Avvocato dello Stato Gaudenzio Pierantozzi per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Nel corso di un procedimento civile, promosso da Rospetti Rigoletto, pensionato di vecchiaia INPS, gestione lavoratori dipendenti, dal 1° luglio 1987, al fine di ottenere - mediante l'invocata applicazione dell'art. 21, comma 6, della legge 11 marzo 1988, n. 67, interpretato dall'art. 3, comma 2-bis, del decreto-legge 21 marzo 1988, n. 86 (Norme in materia previdenziale, di occupazione giovanile e di mercato del lavoro, nonchè per il potenziamento di sistema informatico del Ministero del lavoro e della previdenza socia le), convertito con modificazioni nella legge 20 maggio 1988, n. 160 - il ricalcolo della pensione, a decorrere dal 1° gennaio 1988, con il conteggio delle quote di retribuzione prima escluse perchè eccedenti il tetto, il Pretore di Grosseto, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato con ordinanza emessa il 1° luglio 1994 questione di legittimità costituzionale - in riferimento all'art. 3 della Costituzione - del menzionato art. 3, comma 2-bis, nella parte in cui esclude i pensionati dell'assicurazione generale obbligatoria posti in quiescenza anteriormente al 1° gennaio 1988, da una riliquidazione della pensione che tenga conto di quote di retribuzione assoggettate a contribuzione, prima non considerate perchè eccedenti il tetto secondo il sistema di calcolo dell'art. 3 della legge 29 maggio 1982, n. 297. Il giudice a quo - premesso che la norma interpretativa impugnata non si è limitata a prevedere quote di pensione, calcolate sulla retribuzione imponibile eccedente il limite massimo di retribuzione annua pensionabile, da aggiungere alla pensione calcolata con riferimento alla retribuzione pensionabile, ma ha introdotto anche un diverso sistema di liquidazione della pensione base, che ricomprende quote di retribuzione prima escluse dal calcolo ai sensi del dodicesimo comma dell'art. 3 della legge n. 297 del 1982 - rileva che, mediante il nuovo sistema, finiscono per essere considerate ad aliquota piena, ai fini della pensione base, quote di retribuzione in precedenza non calcolate, operandosi il taglio dell'eccedenza della retribuzione massima settimanale pensionabile, rivalutata, non più con riferimento a ciascun anno solare, bensì avuto riguardo all'eccedenza tra la retribuzione media settimanale quinquennale e la retribuzione massima settimanale pensionabile in vigore nell'anno solare in cui decorre la pensione. Considerato, altresì, che l'INPS ha negato la retroattività per i pensionati in epoca anteriore al 1° gennaio 1987 (recte: al 1° gennaio 1988) di tale sistema di calcolo, richiamandosi alla sentenza di questa Corte n. 72 del 1990, secondo la quale esso non comporta alcuna operazione di riliquidazione complessiva del trattamento, esaurendosi in una mera sommatoria tra la quota aggiuntiva, quantificata secondo la nuova disciplina, e la pensione determinata in base al limite massimo della retribuzione pensionabile, il Pretore remittente sostiene che siffatta interpretazione "costituzionale" della normativa denunciata non poteva tener conto delle ingiustificate disuguaglianze che si potevano creare, in virtù dell'interpretazione data dall'INPS, proprio in danno di quei pensionati più poveri che negli ultimi cinque anni avessero percepito retribuzioni a volte inferiori e a volte superiori al tetto, perchè per costoro, ove collocati in pensione prima del 1° gennaio 1988, non sarebbero mai state considerate (come per il ricorrente nel giudizio a quo: da cui la rilevanza della questione) quote di retribuzioni eccedenti il tetto e pur soggette a contribuzione, con violazione dell'art. 3 della Costituzione ed in contrasto con lo stesso spirito dell'art. 21, comma 6, della legge n. 67 del 1988, di consentire dal 1° gennaio 1988 che tutta la retribuzione soggetta a contribuzione fosse valutata ai fini della pensione, anche se ad aliquote diverse e decrescenti.

2. - È intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o, in subordine, infondata. Rileva la difesa erariale, in una memoria depositata nell'imminenza dell'udienza, che - alla luce della citata sentenza n. 72 del 1990con la quale è stata dichiarata non fondata identica questione, attesa la legittimità della scelta discrezionale effettuata dal legislatore nella previsione di un differenziato meccanismo di calcolo di quote di trattamento, riferito a tempi diversi - la norma impugnata sostanzialmente predispone una operazione autonoma ed aggiuntiva rispetto a quella della liquidazione della pensione già effettuata in base al tetto pensionabile, la quale non comporta pertanto una riliquidazione di questa, risolvendosi al contrario in una mera sommatoria di due entità distinte calcolate secondo aliquote diverse. Ed aggiunge che l'INPS ha esattamente stabilito che la valutazione, ai fini pensionistici, della retribuzione eccedente il tetto di cui all'art. 21 della legge n. 67 del 1988, doveva essere effettuata anche per le pensioni aventi decorrenza anteriore al 1° gennaio 1988, precisando che per la rideterminazione della retribuzione pensionabile da utilizzare per il ricalcolo delle relative prestazioni pensionistiche non si doveva procedere, nell'àmbito dei singoli gruppi di settimane o di ciascun anno solare, al taglio delle retribuzioni al limite del tetto; ciò, analogamente a quanto previsto dalla norma impugnata per i trattamenti pensionistici aventi decorrenza dal 1° gennaio 1988 in poi.

3. - Si è costituito in giudizio l'INPS, concludendo anch'esso per una declaratoria di infondatezza della questione, già sottoposta al vaglio di costituzionalità, giusta la richiamata sentenza n. 72 del 1990, ovvero di inammissibilità della stessa, rientrando nella discrezionalità del legislatore fissare il termine dal quale attenuare i sacrifici derivanti dal sistema del tetto pensionistico. Inoltre, in una memoria depositata nell'imminenza dell'udienza, l'INPS osserva che, qualora il giudice a quo avesse ritenuto errata l'applicazione della norma impugnata da parte dell'istituto costituito, avrebbe dovuto semmai disapplicare il relativo provvedimento e non già sollevare questione di legittimità; laddove poi, nel merito, la censura di incostituzionalità così come prospettata risulterebbe infondata, stante il recupero operato dalla norma de qua, anche se con aliquote diverse e decrescenti, di quella parte di retribuzione imponibile precedentemente esclusa dal computo del trattamento pensionistico.

Considerato in diritto

1. - Il Pretore di Grosseto ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 2-bis, del decreto-legge 21 marzo 1988, n. 86, convertito con modificazioni nella legge 20 maggio 1988, n. 160, nella parte in cui esclude i pensionati dell'assicurazione generale obbligatoria posti in quiescenza anteriormente al 1° gennaio 1988, da una riliquidazione della pensione che tenga conto di quote di retribuzione assoggettate a contribuzione, prima non considerate perchè eccedenti il tetto in base al sistema di calcolo adottato dall'art. 3 della legge 29 maggio 1982, n. 297. Il giudice remittente ritiene anzitutto che la norma impugnata abbia introdotto un diverso sistema di determinazione dell'ammontare della pensione base, ricomprensivo di quote di retribuzione prima escluse dal relativo calcolo ai sensi del dodicesimo comma dell'art. 3 della legge n. 297 del 1982. Rileva quindi che il diniego della retroattività della nuova disciplina, opposto dall'INPS nel giudizio a quo, comporterebbe un'ingiustificata disuguaglianza, basata sul mero dato temporale del collocamento a riposo, in danno di soggetti nei cui confronti non verrebbero considerate quote di retribuzioni eccedenti il tetto e pur soggette a contribuzione, con violazione dell'art. 3 della Costituzione ed in contrasto con lo stesso spirito dell'art. 21, comma 6, della legge n. 67 del 1988 (di cui la norma censurata costituisce interpretazione autentica), di consentire dal 1° gennaio 1988 che tutta la retribuzione soggetta a contribuzione fosse valutata ai fini della pensione, anche se ad aliquote diverse e decrescenti.

2. - La questione non è fondata. Già investita del vaglio di costituzionalità della norma in esame (e, insieme, della norma interpretata, nel cui solo àmbito, peraltro, si rinviene la determinazione del contestato momento di decorrenza), questa Corte con la sentenza n. 72 del 1990 ha fornito un'interpretazione adeguatrice del combinato disposto delle predette disposizioni, fondata sia sulla struttura letterale e logica di queste sia sulla ratio legis desumibile dai lavori preparatori. In particolare, essa ha osservato che una corretta esegesi non può non prendere le mosse dalla constatazione che il concreto funzionamento del sistema del tetto pensionistico aveva nel tempo comportato sacrifici che il legislatore ha inteso attenuare, con conseguente impossibilità di ritenere, nel silenzio della legge, l'esclusione dal beneficio apportato dalla nuova disciplina proprio di coloro che quei sacrifici avevano sopportato. E da tale premessa è pervenuta ad affermare che l'operazione introdotta dall'art. 21, comma 6, della legge n. 67 del 1988, come interpretato dalla norma de qua, assume natura autonoma ed aggiuntiva rispetto a quella della liquidazione della pensione già effettuata in base al tetto pensionistico, e perciò non comporta alcuna riliquidazione ma si risolve in una mera sommatoria di due entità distinte, calcolate secondo aliquote diverse. Operazione, quest'ultima, che ben può essere eseguita anche nei confronti di chi la liquidazione abbia già ottenuto. Difatti l'inciso "a decorrere dal 1° gennaio 1988" (di cui alla disposizione interpretata) segna solo il momento, a partire dal quale va effettuato il computo della retribuzione eccedente il tetto pensionistico e va corrisposta la quota aggiuntiva di pensione così determinata.

3. - Oppone il giudice a quo che l'esposta interpretazione della Corte "non poteva tener conto delle ingiustificate diseguaglianze che si potevano creare, in virtù dell'interpretazione data dall'INPS del comma 2-bis dell'art. 3 della legge 160 del 1988, proprio in danno di quei pensionati più poveri, che negli ultimi cinque anni avessero percepito retribuzioni a volte inferiori e a volte superiori al tetto, perchè per costoro, ove collocati in pensione prima del 1° gennaio 1988, non sarebbero mai state considerate quote di retribuzioni eccedenti il tetto e pur soggette a contribuzione". Ma appare evidente che l'eventuale diversa applicazione data dall'INPS alla norma censurata non vincola il giudice nella sua istituzionale funzione interpretativa della legge, la quale - come sopra detto - è ben suscettibile di un'interpretazione adeguatrice, che la renda immune dalla sospettata violazione dell'art. 3 della Costituzione (unico parametro invocato dal remittente). Interpretazione, del resto, ormai generalmente accolta dalla giurisprudenza ordinaria, sia di legittimità sia di merito. Poichè non da altro potrebbe trarre fondamento il lamentato vulnus, se non dalla dedotta impossibilità di addivenire ad una vera e propria riliquidazione della pensione con un sostanziale superamento dei limiti imposti dal sistema del tetto pensionistico (ritenuto, peraltro, anch'esso conforme a Costituzione: v. sentenza n. 173 del 1986 ed ordinanza n. 143 del 1987), basta qui dunque ribadire quanto già affermato con la sentenza n. 72 del 1990, non senza comunque osservare che l'assunto del giudice a quo è chiaramente inaccettabile anche perchè ignora il dato testuale dell'art. 21, comma 6 (ultimo periodo), della legge n. 67 del 1988, secondo cui il meccanismo predisposto si esaurisce nell'erogazione di una semplice "quota" aggiuntiva di pensione, da sommare a quella "determinata in base al limite massimo" della retribuzione annua pensionabile, con conseguente esclusione di qualsiasi operazione di complessivo ricalcolo del trattamento.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 2-bis, del decreto-legge 21 marzo 1988, n. 86 (Norme in materia previdenziale, di occupazione giovanile e di mercato del lavoro, nonchè per il potenziamento del sistema informatico del Ministero del lavoro e della previdenza sociale), convertito, con modificazioni, nella legge 20 maggio 1988, n. 160, sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Pretore di Grosseto con l'ordinanza di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26/06/95.

Antonio BALDASSARRE, Presidente

Cesare RUPERTO, Redattore

Depositata in cancelleria il 05/07/95.