Sentenza n. 285 del 1995

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SENTENZA N. 285

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Prof. Vincenzo CAIANIELLO, Presidente

-     Avv. Mauro FERRI

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 5, del decreto-legge 18 gennaio 1993, n. 9 (Disposizioni urgenti in materia sanitaria e socio-assistenziale), convertito nella legge 18 marzo 1993, n. 67, e del combinato disposto del citato art. 1, comma 5, del decreto-legge 18 gennaio 1993, n. 9, convertito nella legge 18 marzo 1993, n. 67, e degli artt. 615, secondo comma, e 624 del codice di procedura, promosso con l'ordinanza emessa il 29 novembre 1994 dal Pretore di Cosenza nel procedimento di esecuzione promosso dalla s.p.a. DASIT contro la USL n. 2 di Castrovillari ed altra, iscritta al n. 14 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell'anno 1995.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 31 maggio 1995 il Giudice relatore Luigi Mengoni.

Ritenuto in fatto

1. - Nel corso del procedimento di esecuzione promosso dalla s.p.a. DASIT contro la USL n. 2 di Castrovillari, il Pretore di Cosenza, con ordinanza del 29 novembre 1994, ha sollevato questione di legittimità costituzionale: a) in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 24, secondo comma, Cost., dell'art. 1, comma 5, del d.l. 18 gennaio 1993, n. 9, convertito in legge 18 marzo 1993, n. 67; b) del combinato disposto del citato art. 1, comma 5, e degli artt. 615, secondo comma, e 624 cod.proc.civ., in riferimento all'art. 97, primo comma, Cost.

2. - L'art. 1, comma 5, del citato decreto-legge dispone: "Le somme dovute a qualsiasi titolo alle unità sanitarie locali e agli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico non sono sottoposte ad esecuzione forzata nei limiti degli importi corrispondenti agli stipendi e alle competenze comunque spettanti al personale dipendente o convenzionato, nonchè nella misura dei fondi a destinazione vincolata essenziali ai fini dell'erogazione dei servizi sanitari definiti con decreto del Ministro della sanità, di concerto con il Ministro del tesoro, da emanare entro due mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto". La disposizione è interpretata dal giudice rimettente nel senso che - in deroga ai principi generali in tema di pignoramento delle somme di pertinenza di enti pubblici - è attribuita rilevanza esterna, con conseguente opponibilità ai terzi creditori pignoranti, alle deliberazioni delle unità sanitarie locali che vincolano somme o fondi al pagamento delle retribuzioni del personale e all'erogazione dei servizi sanitari definiti dal decreto ministeriale ivi previsto, mentre, secondo i detti principi, questi atti amministrativi avrebbero efficacia esclusivamente interna. Così interpretata, la norma è ritenuta lesiva del diritto di difesa dei creditori procedenti. Di fronte all'eccepita impignorabilità, fondata su atti amministrativi aventi natura meramente previsionale e programmatica e come tali di contenuto generico, essi non sono in grado di far valere le proprie ragioni mediante la verifica dell'effettiva destinazione delle somme in contestazione all'erogazione in concreto dei servizi sanitari essenziali. Sarebbe inoltre violato l'art. 3 Cost., sia sotto il profilo della ragionevolezza sia sotto il profilo della disparità di trattamento. Sotto il primo profilo il regime privilegiato riservato alle unità sanitarie locali è destituito di qualsiasi fondamento di razionalità, soprattutto ove si consideri che - come accade nella specie - il creditore, che si vede opposta l'impignorabilità per il vincolo di destinazione ad un servizio sanitario, potrebbe avere maturato il credito a seguito della fornitura di una prestazione necessaria all'espletamento dello stesso o di altro servizio. Sotto il secondo profilo, è vulnerato il principio di eguaglianza per l'ingiustificata disparità di tratta mento, in senso deteriore, dei creditori delle unità sanitarie locali rispetto alla disciplina prevista dall'art. 11 del d.l. 18 gennaio 1993, n. 8, convertito in legge 19 marzo 1993, n. 68, per i crediti verso gli enti locali. Infine, l'impugnato art. 1, comma 5, in combinato disposto con gli artt. 615, secondo comma, e 624 cod.proc.civ., si porrebbe in contrasto con l'art. 97, primo comma, Cost., in quanto la mancata previsione di esonero del tesoriere dall'obbligo di accantonamento delle somme oggetto della procedura esecutiva comporta che di esse, nonostante l'impignorabilità, l'ente non possa disporre qualora il giudice sospenda l'esecuzione in attesa dell'esito del giudizio di merito sull'opposizione. Di conseguenza l'ente, per assolvere i suoi compiti istituzionali, dovrebbe ricorrere, come spesso avviene, ad anticipazioni di cassa presso la banca tesoriere, con inevitabili ritardi e notevoli costi aggiuntivi e quindi in contrasto con il principio del buon andamento della pubblica amministrazione.

3. - Nel giudizio davanti alla Corte costituzionale è intervenuto il Presidente del consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata. Dopo avere rilevato, quanto all'impignorabilità delle somme destinate al pagamento degli stipendi, che la norma impugnata è conforme ai principi sanciti nell'art. 545 cod.proc.civ. e nell'art. 1 del d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, l'interveniente osserva che analoghe considerazioni valgono per l'impignorabilità dei fondi vincolati all'erogazione dei servizi sanitari, in quanto finalizzati alla tutela della salute pubblica di cui all'art. 32 Cost. La finalità pubblicistica della norma denunciata non consente di rilevare alcuna violazione del principio di ragionevolezza, nè di denunciare apoditticamente pretese disparità di trattamento ponendo a confronto posizioni giuridiche non omogenee. Non sussiste alcuna compressione del diritto alla tutela gurisdizionale perchè la norma non incide sulla potestà di agire in giudizio dei creditori delle unità sanitarie locali, ma introduce unicamente una limitata indisponibilità di determinate somme all'esecuzione forzata. Non meno infondato appare all'Avvocatura il richiamo all'art. 97 Cost.

Considerato in diritto

1. - Il Pretore di Cosenza ha sollevato questione di legittimità costituzionale: a) in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 24, secondo comma, Cost., dell'art. 1, comma 5, del decreto-legge 18 gennaio 1993, n. 9, convertito nella legge 18 marzo 1993, n. 67, nella parte in cui attribuisce efficacia nei confronti dei terzi creditori ai bilanci e agli atti amministrativi interni delle unità sanitarie locali, che vincolano somme o fondi al pagamento delle retribuzioni del personale e all'erogazione dei servizi sanitari definiti dal decreto ministeriale ivi indicato; b) del combinato disposto degli artt. 615, secondo comma, e 624, cod.proc.civ., e del citato art. 1, comma 5, del decreto-legge n. 9 del 1993, in riferimento all'art. 97, primo comma, Cost.

2. - La questione sub a) è fondata. Il giudice rimettente accede all'interpretazione letterale della disposizione denunciata, secondo cui l'art. 1, comma 5, del d.l. n. 9 del 1993 non si limita a recepire i principi elaborati dalla giurisprudenza in tema di esecuzione forzata contro le pubbliche amministrazioni (come ritengono alcuni giudici di merito), bensì innova nell'ordinamento introducendo un regime privilegiato per le unità sanitarie locali. Ai bilanci e agli atti amministrativi interni di questi enti, che programmano l'allocazione delle risorse finanziarie prevedendo vincoli di destinazione di somme o fondi al pagamento degli stipendi del personale e all'erogazione di servizi sanitari essenziali, è conferita efficacia esterna, di guisa che l'eccezione di impignorabilità è opponibile ai terzi creditori procedenti sulla semplice base di previsioni presuntive delle somme di denaro occorrenti, che vengono così sottratte all'esecuzione forzata senza bisogno di esibizione di ordini specifici di pagamento e di relativi mandati in data anteriore all'atto introduttivo del processo esecutivo. Questo essendo il significato della disposizione, la censura di violazione del principio di eguaglianza e, con esso, del principio di ragionevolezza risulta fondata soprattutto in esito alla comparazione con la disciplina parallela dell'art. 11 del d.l. 18 gennaio 1993, n. 8, convertito nella legge 19 marzo 1993, n. 68, in tema di esecuzione forzata a danno degli enti locali. Contrariamente a quanto sostiene l'Avvocatura dello Stato, le due posizioni giuridiche messe a confronto sono praticamente analoghe, tanto più che alcuni dei servizi locali indispensabili, considerati dal d.l. n. 8 del 1993, incidono, al pari dei servizi sanitari, nell'ambito della tutela della salute, quali i servizi connessi alla distribuzione dell'acqua potabile, i servizi di fognatura e di depurazione, i servizi di nettezza urbana. Si deve pertanto far luogo a una dichiarazione di incostituzionalità che, nei limiti del petitum formulato nell'ordinanza di rimessione, integri la norma impugnata in termini corrispondenti alla disciplina prevista dall'art. 11 del d.l. n. 8 del 1993. Resta assorbita la censura ulteriore riferita all'art. 24 della Costituzione.

3. - La questione sub b) non ha alcuna autonomia rispetto alla questione sub a), nella quale rifluisce interamente aggiungendo un ulteriore parametro per il giudizio di costituzionalità. Senza ragione alcuna, essa coinvolge nell'oggetto del giudizio gli artt. 615 e 624 cod.proc.civ., mentre tali norme sono prese in considerazione dal giudice rimettente esclusivamente come referenti per ipotizzare, a carico dell'art. 1, comma 5, del d.l. n. 9 del 1993, anche una violazione dell'art. 97 Cost. Pure il richiamo di quest'ultimo parametro rimane assorbito in conseguenza dell'accoglimento dell'impugnativa in riferimento all'art. 3 della Costituzione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 5, del decreto-legge 18 gennaio 1993, n. 9 (Disposizioni urgenti in materia sanitaria e socio-assistenziale), convertito nella legge 18 marzo 1993, n. 67, nella parte in cui, per l'effetto della non sottoponibilità ad esecuzione forzata delle somme destinate ai fini ivi indicati, non prevede la condizione che l'organo di amministrazione dell'unità sanitaria locale, con deliberazione da adottare per ogni trimestre, quantifichi preventivamente gli importi delle somme innanzi destinate e che dall'adozione della predetta delibera non siano emessi mandati a titoli diversi da quelli vincolati, se non seguendo l'ordine cronologico delle fatture così come pervenute per il pagamento o, se non è prescritta fattura, dalla data della deliberazione di impegno da parte dell'ente.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15/06/95.

Vincenzo CAIANIELLO, Presidente

Luigi MENGONI, Redattore

Depositata in cancelleria il 29/06/95.