Sentenza n. 284 del 1995

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SENTENZA N. 284

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente

-     Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-     Avv. Mauro FERRI

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 53 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), come modificato, dall'art. 5, comma 1, del decreto-legge 14 giugno 1993, n. 187, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 agosto 1993, n. 296, promossi con ordinanze emesse il 6 luglio 1994 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale militare di La Spezia, il 19 ottobre 1994 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale militare di Roma, il 1° dicembre 1994 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale militare di Padova, il 13 dicembre 1994 dal Tribunale militare di Verona, iscritte rispettivamente ai nn. 604 e 755 del registro ordinanze 1994 e nn. 75 e 80 del registro ordinanze 1995 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell'anno 1994, e nn. 1 e 8, prima serie speciale, dell'anno 1995. Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 5 aprile 1995 il Giudice relatore Giuliano Vassalli.

Ritenuto in fatto

1. All'esito del giudizio abbreviato a carico di Mazzocut Zecchin Fabrizio, imputato di diserzione, il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale militare di La Spezia ha sollevato, su eccezione della difesa, questione di legittimità, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dell'art. 53 della legge 24 novembre 1981, n. 689, "nella parte in cui non prevede l'applicabilità delle sanzioni sostitutive ai procedimenti penali instaurati avanti ai Tribunali militari". Richiamate le precedenti decisioni di inammissibilità di questa Corte, il giudice a quo rileva che "due eventi normativi di significativo valore" successivi agli interventi della Corte impongono un riesame della questione: vale a dire l'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale e del decreto-legge 14 giugno 1993, n. 187, convertito dalla legge 12 agosto 1993, n. 296. Una determinante valenza assumerebbe il secondo dei due testi normativi con il quale, oltre a disporsi l'aumento della durata delle pene detentive assoggettabili al regime delle sanzioni sostitutive, "si è consentita l'applicazione delle dette sanzioni" prescindendo dall'entità della pena edittale e dall'organo competente a giudicare. Il nuovo assetto non ha, peraltro, provocato un mutamento della linea interpretativa seguita dalla Corte di cassazione quanto all'applicabilità delle sanzioni sostitutive ai reati giudicati dai tribunali militari, nonostante lo spazio aperto dalla giurisprudenza di merito inducesse a rimeditare sulle conclusioni cui era pervenuta la sentenza n. 279 del 1987. Più in particolare, il fatto che il giudice legittimato ad applicare le sanzioni sostitutive non sia più soltanto il pretore <fa diventare "normale" la sostituzione delle pene con le suddette misure in presenza di reati punibili entro certi limiti edittali>, rendendo così non più giustificabile la sottrazione dei soggetti giudicati con il rito militare; tanto più che il nuovo codice di procedura penale ha consistentemente "avvicinato i due processi penali". Del resto, la specificità dell'ordinamento penale militare non appare più consentire una simile differenza di disciplina. Infatti, mentre, da un lato, il richiamo alla pretesa "inammissibilità della pena pecuniaria", non costituisce un dato ontologicamente ostativo, essendo rinvenibili, nel sistema del diritto penale militare, norme "che vi fanno (o vi hanno fatto espresso riferimento (art. 410 C.P.M.P.; artt. 150 e 152 D.P.R. n. 237/1964)", dall'altro lato, lo status di militare e la finalità della reclusione militare, non rappresentano un ostacolo insuperabile ai fini dell'applicazione delle sanzioni sostitutive, potendosi profilare meccanismi in grado di consentire lo svolgimento del "servizio militare" in costanza delle sanzioni stesse, mentre la peculiarità della reclusione militare non deve necessaria mente condurre "all'esecuzione in carcere".

2. Nel corso dell'udienza preliminare a carico di Pettinato Pier Luigi, imputato di furto militare aggravato, la difesa del Pettinato chiedeva l'applicazione della pena ex art. 444 del codice di procedura penale, pena da sostituirsi a norma dell'art. 53 e seguenti della legge 24 novembre 1981, n. 689, nella pena della multa. Il Pubblico ministero negava il suo consenso per l'inapplicabilità ai reati militari delle dette sanzioni. Il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale militare di Padova ha allora sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità dell'art. 53 della legge n. 689 del 1981, come modificato dal decreto- legge 14 giugno 1993, n. 187, "nella parte in cui esclude l'applicazione delle sanzioni sostitutive ai reati militari". L'ordinanza di rimessione muove anch'essa dal nuovo assetto normativo derivante dal decreto-legge 14 giugno 1993, n. 187, convertito dalla legge 12 agosto 1993, n. 296, segnalando che, a seguito dell'abrogazione dell'art. 54 della legge n. 689 del 1981, "non risulta più alcun dato ostativo all'applicazione delle sanzioni sostitutive da parte dei Tribunali militari"; in particolare quell'ostacolo che aveva determinato la Corte costituzionale a dichiarare, a suo tempo, l'inammissibilità della questione. Poichè, peraltro, il "diritto vivente" derivante da un costante indirizzo interpretativo della Corte di cassazione è nel senso dell'inapplicabilità delle sanzioni sostitutive, sia che le dette misure non siano applicabili davanti ai tribunali militari sia che esse non trovino applicazione solo relativamente ai reati militari da chiunque commessi, il giudice a quo ravvisa nell'art. 53 della legge n. 689 del 1981, così come interpretato, contrasto con i parametri costituzionali sopra indicati. Ove si acceda al primo indirizzo interpretativo, il principio di eguaglianza risulterebbe vulnerato perchè da un dato meramente accidentale, quale il giudizio instauratosi per effetto della connessione, deriva l'applicabilità delle sanzioni sostitutive che resta, invece, preclusa in mancanza "del menzionato vincolo processuale". Se, poi, non operando la connessione, al civile, giudicato dal giudice ordinario per concorso in un reato militare, venga applicata la sanzione sostitutiva, negata al militare per essere lo stesso giudicato da un tribunale militare, la disparità di trattamento diviene ancor più evidente, fino a raggiungere la sistematicità nel caso di concorso in reato militare tra militare infradiciottenne e militare maggiorenne. Un'analoga disparità di trattamento sarebbe ravvisabile ove si segua il diverso indirizzo interpretativo, solo considerando la categoria dei reati obiettivamente militari (art. 37 del codice penale militare di pace) i quali, nei loro elementi costitutivi, sono, in tutto o in parte, previsti dalla legge penale comune. Senza che il maggior rigore sanzionatorio possa essere giustificato dalla qualità di militare del soggetto attivo: anche un civile può, infatti, commettere un reato militare, mentre al militare "spettano i diritti che la Costituzione della Repubblica riconosce ai cittadini (art. 3 della legge 11 luglio 1978, n. 382)". L'art. 27, terzo comma, della Costituzione resterebbe, a sua volta, compromesso perchè negando al militare - solo per la sua qualità - l'applicabilità delle sanzioni sostitutive gli si preclude l'utilizzabilità di un regime che ha lo scopo di rieducare il condannato per reati comuni di modesta gravità, senza che in ogni caso sussista una situazione di effettiva incompatibilità tra status di militare e sanzioni sostitutive. L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, n. 8, prima serie speciale, del 22 febbraio 1995.

3. Al termine delle indagini preliminari, il Pubblico ministero presso il Tribunale militare di Roma chiedeva al Giudice per le indagini preliminari presso lo stesso Tribunale il rinvio a giudizio di Flore Luciano per il reato di cui all'art. 8, secondo comma, della legge 15 dicembre 1972, n. 772, sostituito dall'art. 2 della legge 24 dicembre 1974, n. 695. All'udienza preliminare il difensore formulava richiesta di "patteggiamento" domandando la sostituzione della pena richiesta con la sanzione sostitutiva della libertà controllata. A tale richiesta aderiva il Pubblico ministero. Il giudice a quo ha, allora, sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 53 della legge 24 novembre 1981, n. 689, "nella parte in cui non prevede l'applicabilità delle sanzioni sostitutive per i reati militari". Contesta il Giudice rimettente che alla stregua del nuovo assetto normativo, dal quale è scaturito un diverso tipo di legittimazione quanto all'applicabilità delle sanzioni sostitutive (è stato abrogato l'art. 54 della legge n. 689 del 1981, che attribuiva solo al pretore il potere di applicare le sanzioni sostitutive), possa più trovare applicazione il decisum della sentenza costituzionale n. 279 del 1987. Una linea interpretativa ingiustificatamente non incisa dalle decisioni della Corte di cassazione che, attestate alla pronuncia della Corte costituzionale, non hanno individuato il novum scaturente dagli interventi legislativi sull'art. 54 della legge n. 689 del 1981. Donde la violazione del principio di eguaglianza per la disparità di trattamento "tra imputato per reati comuni e imputato per reati militari", una discriminazione che "può trovare giustificazione solo in esigenze specifiche, del consorzio militare e non nell'apodittica affermazione della specialità della materia".

4. Nel corso del dibattimento a carico di De Francesco Pierpaolo, imputato di lesioni personali e di ingiuria, il Tribunale militare di Verona ha denunciato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, l'illegittimità dell'art. 53 della legge 24 novembre 1981, n. 689, come modificato dall'art. 5 del decreto-legge 14 giugno 1993, n. 187, convertito dalla legge 12 agosto 1993, n. 296, "nella parte in cui non prevede l'applicabilità delle sanzioni sostitutive, di cui al medesimo articolo, ai procedimenti penali avanti ai Tribunali militari". Il procedimento proviene dal rinvio da parte della Corte di cassazione la quale aveva annullato la sentenza del giudice di merito che, dopo avere, sull'accordo delle parti, applicato la pena richiesta, aveva irrogato la sanzione sostitutiva della pena pecuniaria (in sostituzione della pena di mesi uno di reclusione militare). Secondo la Corte, invece, così operando, il giudice a quo avrebbe violato l'art. 53 della legge n. 689 del 1981 - che preclude l'applicabilità delle sanzioni sostitutive ai reati militari - così da far venir meno uno dei presupposti della pena patteggiata costituito, appunto, dall'applicabilità anche ai reati militari delle sanzioni sostitutive. Il Tribunale ritiene vulnerato dalla norma così come interpretata dalla Cassazione il principio di eguaglianza, perchè l'imputato di reati militari si trova in posizione deteriore rispetto all'imputato di reati comuni, non potendo utilizzare il trattamento, "chiaramente più vantaggioso" riservato agli imputati del secondo tipo, nonostante gli ostacoli all'applicabilità delle sanzioni sostitutive siano privi di fondamento. Sia perchè la specificità dell'ordinamento militare "non appare contrastante con l'applicazione di una pena pecuniaria sia perchè reclusione militare e reclusione comune "hanno a fondamento le medesime ragioni afflittive e riabilitative", sia, infine, perchè la legge n. 296 del 1993 "ha eliminato i limiti precedentemente stabiliti circa l'organo che può infliggere le sanzioni sostitutive".

5. In tutti i giudizi, ad eccezione di quello instaurato dal Tribunale militare di Roma, è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o, comunque, infondata. Relativamente alla denuncia incentrata sull'art. 3 della Costituzione, l'Avvocatura generale dello Stato sostiene che non sarebbero assolutamente venute meno le ragioni preclusive alla pronuncia richiesta dalle ordinanze di rimessione; e ciò stando alla costante linea interpretativa seguita dalla Corte di cassazione che ha reiteratamente rimarcato l'autonomia che contrassegna il sistema sanzionatorio della giustizia militare. D'altro canto, all'abrogazione dell'art. 54 della legge n. 689 del 1981 non può essere assegnato un ruolo che ecceda l'ambito del sistema ove esso è destinato ad operare, senza che divenga possibile per questa Corte intervenire con una pronuncia additiva, non essendo, oltre tutto, contestabile la diversità delle condizioni soggettive ed oggettive che presiedono al sistema della giustizia militare, "prima ancora che al suo apparato sanzionatorio e che si oppongono all'estensione di regole aventi, fra l'altro, specifica e contingente giustificazione, proprio di un altro sistema e di altro apparato sanzionatorio". Circa, poi, la dedotta violazione dell'art. 27 della Costituzione (parametro invocato dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale militare di Padova), l'Avvocatura addebita al rimettente di non avere enunciato chiaramente le ragioni per cui la mancata sostituzione della pena detentiva farebbe venir meno la funzione rieducativa della pena; un'affermazione che potrebbe essere ritenuta valida in via di principio soltanto riconducendola alla diversa tematica "della rispondenza in via generale della pena detentiva alla funzione di rieducazione". Così da reintrodurre una questione avente come esclusivo punto di riferimento l'art. 3 della Costituzione.

Considerato in diritto

1. - Le quattro ordinanze in epigrafe sollevano un'identica questione. I relativi giudizi vanno, quindi, riuniti per essere decisi con un'unica sentenza.

2. - Comune oggetto di censura è l'art. 53 della legge 24 novembre 1981, n. 689, nel testo sostituito ad opera dell'art. 5, comma 1, del decreto-legge 14 giugno 1993, n. 187, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 agosto 1993, n. 296, nella parte in cui non prevede l'applicazione delle sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi ai reati militari. Per la verità, talune delle ordinanze di rimessione fanno riferimento alla mancata applicazione delle dette sanzioni "ai procedimenti penali instaurati davanti ai tribunali militari"; il che peraltro, non modifica i termini della questione, risultando la giurisdizione militare rigorosamente attestata alla cognizione dei reati militari commessi da soggetti appartenenti alle Forze armate (v. art. 103, ultimo comma, ultima parte, della Costituzione). Tutti i giudici a quibus lamentano violazione dell'art. 3 della Costituzione ora sotto il profilo della ingiustificata disparità di trattamento fra imputati militari e imputati comuni ora sotto il profilo della intrinseca irrazionalità della disciplina denunziata. E ciò anche chiamando in causa le novazioni normative che hanno attinto l'art. 53 della legge n. 689 del 1981, in forza del già ricordato decreto-legge n. 187 del 1993, convertito dalla legge n. 296 del 1993 che, oltre ad elevare i limiti di pena ai fini dell'applicazione delle sanzioni sostitutive, hanno esteso la competenza ad irrogarle a qualsiasi giudice, laddove l'art. 54 della legge n. 689 del 1981, abrogato dall'art. 5, comma 1-bis, del detto decreto-legge, consentiva la sostituzione della pena detentiva "quando si tratti di reati di competenza del pretore, anche se giudicati, per effetto della connessione, da un giudice superiore o commessi da persone minori degli anni diciotto". Più in particolare, sotto il primo profilo, si è rilevato (v. R.O. n. 604 del 1994) che, derivando dalla novazione normativa la "normalità" del regime delle sanzioni sostitutive, l'irrazionalità della differenza di trattamento fra militari e civili, già stigmatizzata dalla sentenza n. 279 del 1987, che aveva dichiarato l'inammissibilità della questione, avrebbe raggiunto un livello tale da non consentire l'ulteriore permanenza in vita della disciplina denunciata; considerando, oltre tutto, che gli interventi additivi, ritenuti allora preclusi, sarebbero divenuti praticabili per essere scomparsi molti degli impedimenti che si opponevano alla dichiarazione di illegittimità, anche perchè il nuovo codice di rito avrebbe "sensibilmente avvicinato i due processi penali" così da non giustificare una differenziazione fondata in via esclusiva sullo status dell'imputato. Due ordinanze (entrambe del Tribunale militare di Padova) sostengono che l'applicabilità delle sanzioni sostitutive ai reati militari scaturirebbe dalla semplice interpretazione della legge di modifiche al sistema penale nel testo riformato. Un'operazione a cui è di ostacolo solo il costante orientamento della Corte di cassazione che, pure dopo l'entrata in vigore del decreto-legge n. 187 del 1993, convertito dalla legge n. 296 del 1993, si è uniformemente pronunciata nel senso dell'inapplicabilità delle dette misure ai reati militari. Donde, ancora, una disparità di trattamento tra imputati militari e imputati comuni assolutamente ingiustificata per l'assenza di esigenze specifiche del consorzio militare, la sola condizione che - almeno di regola - possa far escludere l'illegittimità costituzionale di un trattamento differenziato ai fini penali (così R.O. n. 755 del 1994). Un aspetto, quello ora ricordato, ritenuto determinante pure sotto il profilo - il secondo, denunciato sempre con riferimento all'art. 3 della Costituzione - della intrinseca irrazionalità della norma censurata (v. R.O. n. 604 del 1994). Un'ordinanza, infine (R.O. n. 75 del 1995), ritiene vulnerato anche l'art. 27, terzo comma, della Costituzione, in stretta connessione con l'affermata violazione del principio di eguaglianza; e ciò in quanto, una volta che si sia riconosciuta alle sanzioni sostitutive la finalità di rieducare il condannato per reati comuni di modesta gravità, risulterebbe davvero incongruo non applicare tali sanzioni ai reati militari connotati da caratteristiche sostanzialmente identiche.

3. - L'Avvocatura generale dello Stato, intervenendo per il Presidente del Consiglio dei ministri in tre dei quattro giudizi (precisamente quelli introdotti da R.O. n. 604 del 1994, n. 75 del 1995 e n. 80 del 1995), ha dedotto l'inammissibilità (e, in via subordinata, l'infondatezza) della questione, in quanto già dichiarata inammissibile da questa Corte con sentenza n. 279 del 1987. I due "eventi normativi" evidenziati dai giudici a quibus non assumerebbero alcuna valenza decisiva ai fini della soluzione della questione stessa. Non l'entrata in vigore del codice di procedura penale, non essendo modificate le ragioni di fondo che, conferendo autonomia al regime sanzionatorio della giustizia militare, rendono ragionevole l'applicazione di criteri più rigorosi nell'ambito di esso; non il decreto-legge n. 187 del 1993, convertito dalla legge n. 296 del 1993, che ha soltanto determinato una concentrazione dei criteri che, all'interno del sistema delineato, ed esclusivamente entro di esso, presiedevano alla sostituzione della pena. Rimarrebbe, dunque, immutata l'impossibilità di un intervento in via additiva per la pluralità di scelte discrezionali riservate, come tali, al legislatore. Nè, ancora, secondo l'Avvocatura, qualsivoglia elemento di novità proverrebbe dal richiamo, contenuto in una delle ordinanze di rimessione, alla funzione rieducativa della pena, che potrebbe acquistare un qualche rilievo solo se ricondotta nell'area dell'art. 3 della Costituzione, relativa mente alla quale la specificità del diritto penale militare viene a rappresentare un ostacolo insormontabile per qualsiasi decisione di accoglimento.

4. - La questione è fondata. Vanno, anzitutto, condivise le deduzioni dell'Avvocatura generale dello Stato circa il rilievo delle innovazioni normative invocate dai giudici a quibus a dimostrazione di un assetto così strutturato da consentire un intervento additivo della Corte. Ed invero, mentre del tutto generico risulta il richiamo al codice di procedura penale del 1988, non sembra che l'abrogazione dell'art. 54 della legge n. 689 del 1981 offra un contributo decisivo in grado di superare gli ostacoli già ampiamente enucleati dalla sentenza n. 279 del 1987, non foss'altro perchè le previsioni "novellate" risultano sempre predisposte con esclusivo riferimento ai reati comuni, come - a parte ogni ulteriore considerazione - univocamente emerge dal regime delle esclusioni oggettive di cui all'art. 60 della legge n. 689 del 1981, rimasto indenne da ogni intervento legislativo. Del resto, sulla base della stessa ratio decidendi posta a fondamento della sentenza n. 279 del 1987, la Corte, prima ancora che la disciplina delle sanzioni sostitutive venisse in parte riscritta dal legislatore, aveva, con ordinanza n. 230 del 1990, già contestato - dichiarando la manifesta inammissibilità della medesima questione - che la <semplice "eliminazione dall'ordinamento dell'art. 54 della legge n. 689 del 1981> rappresentasse "una via praticabile o costituzionalmente obbligata per la risoluzione" del quesito prospettato. Un tale intervento "ablativo", infatti, avrebbe "l'effetto di modificare l'intero sistema di identificazione dei reati per cui sono ammesse le pene sostitutive, privandolo di uno dei due cardini su cui l'ha imperniato il legislatore (l'entità della pena edittale da quantificarsi con riferimento alla sfera della competenza pretorile) e risolvendosi in una integrale ridefinizione della normativa in questione". Così da rendere chiaro come non il solo fatto che le sanzioni sostitutive risultassero applicabili esclusivamente ai reati di competenza del pretore costituisse dato ostativo ad una pronuncia d'illegittimità. Ciò è tanto vero che nella sentenza n. 279 del 1987 si riscontrarono quali ulteriori ostacoli al fine di rintracciare una soluzione costituzionalmente obbligata, da un lato, la insuscettività di rendere applicabili le esclusioni oggettive di cui all'art. 60 della legge n. 689 del 1981, dall'altro lato, una serie di "difficoltà, non decisive ma comunque non agevolmente superabili", a partire "dalla non previsione di pene pecuniarie nel codice penale militare di pace, che renderebbe problematica l'operatività della sanzione sostitutiva della pena pecuniaria", per finire con i "particolari contenuti delle altre due sanzioni sostitutive, la semi- detenzione e la libertà controllata, non sempre adeguabili allo stato di militare". Se ne deve, dunque, trarre la conclusione che non la sola mancata previsione dell'applicabilità delle sanzioni sostitutive ai reati militari precludesse l'effetto "estensivo" allora invocato ma che tale effetto non fosse comunque raggiungibile attraverso una pronuncia di illegittimità costituzionale per l'impossibilità di disporre di un quadro normativo in grado di dare regolamentazione - sia pure solo interlocutoriamente - alla disciplina risultante dall'effetto caducatorio. Ora ciò, se conferma l'impraticabilità di un intervento additivo, comprova pure come sia impossibile percorrere un itinerario interpretativo diverso da quello seguito dalla costante giurisprudenza di legittimità anche successivamente agli "aggiustamenti" normativi più volte ricordati. Del che i giudici a quibus, con argomentazioni non sempre coincidenti e talora pure con enunciazioni critiche rispetto a quello che può dirsi ormai il "diritto vivente", mostrano di essere consapevoli. A differenza di altri tribunali militari che hanno direttamente applicato quello che, nello specifico, era da loro considerato lo ius novum, essi hanno ritenuto di sollevare questione di legittimità proprio sulla base della soluzione ermeneutica adottata dalla Corte di cassazione attestata a decisa corrispondenti a quelli enunciati nel sistema antecedente alla riforma.

5. - La permanente impossibilità di pervenire ad un intervento di tipo additivo non è, però, di ostacolo alla dichiarazione d'illegittimità costituzionale per contrasto con il principio di eguaglianza, sotto il profilo della ingiustificata disparità di trattamento - restando in tal modo assorbiti gli altri profili di illegittimità denunciati - dell'art. 53 della legge 24 novembre 1981, n. 689, nella parte in cui non prevede l'applicabilità delle sanzioni sostitutive ai reati militari. Già la sentenza n. 279 del 1987 ebbe ad affermare come la declaratoria di inammissibilità cui era giocoforza pervenire andava considerata soluzione "sicuramente inappagante per i quesiti che la giustizia propone con giustificata preoccupazione", richiamando "l'attenzione del legislatore sull'ormai indifferibile esigenza di dare alla materia in esame una più adeguata normativa". Il fatto che, a distanza di circa otto anni, il legislatore non abbia ritenuto di dare alcuna regolamentazione ad una materia del cui attuale immodificato assetto questa Corte aveva indicato il grave contenuto discriminatorio nei confronti dei condannati militari (nessuna proposta o disegno di legge risulta, infatti, presentato) rende doveroso disporre che una tale ingiustificata disparità di trattamento non abbia ulteriormente a protrarsi; il tutto secondo la linea già tracciata dalla precedente pronuncia d'inammissibilità attenta a rimarcare, nell'ottica della decisione "manipolativa", come non vi fosse posto per quell'intervento richiestole, ma che tuttavia, "fra le non poche carenze addebitabili al settore quella della mancata regolamentazione delle sanzioni sostitutive per le pene militari brevi non è nè la meno grave nè la meno bisognosa di urgente soluzione".

6. - Senonchè, ferma restando la caducazione della norma censurata e la conseguente applicabilità anche ai reati militari delle sanzioni sostitutive - secondo le modalità che verranno definite dal legislatore e nei limiti di pena stabiliti dall'art. 53, primo, secondo e quarto comma, della legge n. 689 del 1981 - residua l'esigenza di comporre le antinomie emergenti tra il sistema dettato dalla legge di modifiche al sistema penale e le particolari categorie di soggetti nei confronti dei quali le ulteriori norme della legge n. 689 del 1981 devono essere applicate. Con la conseguenza che gli altri precetti della stessa legge che dettino prescrizioni in materia di sanzioni sostituti ve delle pene detentive brevi saranno riferibili anche ai reati militari, alla condizione che esse non risultino incompatibili con la posizione soggettiva del condannato. Rimane riservato al legislatore, nel rispetto del principio di ragionevolezza e degli altri principii costituzionali, il compito di apprestare una disciplina adegui il regime delle sanzioni sostitutive sia alle peculiari finalità rieducative della pena militare sia al particolare status del condannato. Un intervento divenuto ormai davvero indifferibile anche in vista di non determinare, in conseguenza del vuoto normativo, una nuova disparità di trattamento, questa volta a favore dei militari e non certo addebitabile al decisum della Corte. Si allude, in particolare, al regime delle esclusioni oggettive, relativa mente ai reati che abbiano una corrispondenza teleologica nel codice penale militare di pace rispetto alle previsioni dell'art. 60 della legge n. 689 del 1981 (o ad altre esclusioni che il legislatore, nell'esercizio del suo potere discrezionale, riterrà di introdurre). Sempre nell'ottica di un'effettiva rispondenza alla funzione afflittiva delle sanzioni sostitutive non si potrà, poi, non tener conto di quelle che la sentenza n. 279 del 1987 indicò come condizioni ostative ad una pronuncia di illegittimità. Così, relativamente alla pena pecuniaria, la sua estraneità al sistema penale militare (v. sentenza n. 280 del 1987) pare, infatti, contraddetta pure dall'art. 57, secondo comma, della legge n. 689 del 1981, che la "considera sempre tale, anche se sostitutiva della pena detentiva". Quanto, poi, alla semidetenzione ed alla libertà controllata, sarà necessaria un'opera di adattamento in grado di modellare la forza afflittiva di tali sanzioni allo status di militare. Si pensi - per indicare le incompatibilità più eclatanti - al richiamo alla "residenza" (art. 55, primo comma, art. 56, primo comma, numero 1), al divieto di detenere armi, munizioni ed esplosivi (art. 55, secondo comma, numero 2, art. 56, primo comma, numero 3, una problematica, peraltro, analoga a quella riguardante gli appartenenti ai corpi armati non militarizzati), all'obbligo di presentarsi presso il locale ufficio di pubblica sicurezza (art. 56, primo comma, numero 2).

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 53 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), nella parte in cui non prevede l'applicabilità delle sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi ai reati militari, secondo i principi di cui in motivazione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 giugno 1995.

Antonio BALDASSARRE, Presidente

Giuliano VASSALLI, Redattore

Depositata in cancelleria il 29 giugno 1995.