Ordinanza n. 253 del 1995

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ORDINANZA N.253

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente

-     Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-     Avv. Mauro FERRI

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 120, comma 1, e dell'art. 130, comma 1, lett. b, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada) promosso con ordinanza emessa il 9 giugno 1994 dal magistrato di sorveglianza di Palermo nel procedimento di esecuzione nei confronti di Colletti Filippo, iscritta al n. 754 del registro ordinanza 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 1, prima serie speciale, dell'anno 1995. Viso l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 17 maggio 1995 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello

RITENUTO che il magistrato di sorveglianza di Palermo, nell'ambito di un procedimento di esecuzione della misura di sicurezza personale della libertà vigilata (disposta nei confronti di Colletti Filippo con provvedimento del medesimo ufficio giudiziario del 17 dicembre 1993), in sede di esame dell'istanza avanzata dal prevenuto e diretta ad ottenere l'autorizzazione all'uso, per motivi di lavoro, della patente di guida (nel frattempo revocatagli, a seguito della sottoposizione alla misura di sicurezza), con ordinanza del 9 giugno 1994 (pervenuta alla Corte costituzionale il 12 dicembre 1994) ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 120, comma 1, e 130, comma 1, lett. b) del decreto legislativo 30 aprile 1992 n. 285 (Nuovo codice della strada), "nella parte in cui non prevedono che il magistrato di sorveglianza possa autorizzare, nei confronti delle persone sottoposte a misura di sicurezza personale, l'uso della patente di guida per comprovate esigenze lavorative"; che nell'ordinanza di rimessione si sostiene che le norme impugnate contrasterebbero: a) con il principio di "parità di trattamento normativo" (art. 3 della Costituzione) , se confrontate con altre norme, quali l'art. 228, quarto comma, del codice penale, secondo cui la libertà vigilata deve tendere al riadattamento sociale della persona anche mediante il lavoro, e l'art. 62, secondo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 che consente al magistrato di sorveglianza di "disciplinare" la sospensione della patente di guida quando questa sia indispensabile strumento per lo svolgimento dell'attività lavorativa di colui che è sottoposto alla misura della libertà controllata o della semidetenzione; b) con il principio di ragionevolezza (art. 3 della Costituzione), in quanto, ove l'attività lavorativa richieda l'uso dell'automezzo e, quindi, della relativa patente di guida, il ritiro del titolo abilitativo nel corso dell'esecuzione della libertà vigilata sarebbe contraddittorio rispetto alla finalità risocializzante della misura di sicurezza in questione; c) con la finalità rieducativa di cui all'art. 27 della Costituzione), riferibile anche alle misure di sicurezza e specificamente alla libertà vigilata, nella quale andrebbe non ostacolato, bensì agevolato il lavoro quale elemento fondamentale del processo rieducativo; d) ed infine con gli artt. 4 e 16 della Costituzione, determinandosi una irragionevole limitazione del diritto del soggetto alla libera circolazione e del diritto-dovere di svolgere una attività lavorativa secondo le proprie possibilità e le proprie scelte, quando tale attività lavorativa è connessa con l'uso di automezzi; che, inoltre, si sostiene che, mentre nel vigente sistema delle misure di sicurezza personali sarebbero stati eliminati tutti i casi di pericolosità presunta e gli effetti automatici ad essa connessi, essendosi affidato alla discrezionalità del magistrato di sorveglianza il giudizio sulla concreta pericolosità sociale, le norme impugnate de terminerebbero la compressione di diritti costituzionalmente garantiti per effetto di un rigido meccanismo di automatica e inderogabile preclusione normativa, dipendente dalla mera sottoposizione della persona alla misura di sicurezza, in contrasto con i principi desumibili dalla legge di delega del nuovo codice di procedura penale (legge n. 81 del 1987, art. 2, n. 96), che avrebbe assicurato la garanzia di giurisdizionalità anche per la fase dell'esecuzione, di tal chè la limitazione si configurerebbe come una sorta di pena accessoria anomala, reintegrabile soltanto con la riabilitazione e non riconducibile ai motivi di sicurezza che l'art. 16 della Costituzione pone come ragione giustificatrice della limitazione legislativa; che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, per il tramite della Avvocatura generale dello Stato, contestando la fondatezza della questione.

CONSIDERATO che al magistrato di sorveglianza sono dalla legge attribuite funzioni in tema (tra l'altro) di misure di sicurezza, tra le quali non rientra la revoca della patente, che è di competenza di altra autorità in presenza dei presupposti stabiliti dalla legge; che il giudice a quo richiede a questa Corte una pronuncia diretta ad attribuirgli un potere nuovo, che gli consenta di adattare la situazione determinata da altra autorità dello Stato in relazione a "comprovate" esigenze lavorative della persona sottoposta a misura di sicurezza personale e di interferire quindi in una sfera rispetto alla quale è allo stato del tutto estraneo; che una simile pronuncia comporta una serie di valutazioni che, sia nell'anche nel quomodo, sono squisitamente discrezionali comportando la scelta fra soluzioni nessuna delle quali costituzionalmente imposta e come tale di spettanza esclusiva del legislatore, onde è palese l'inammissibilità della questione (sent. n. 119 del 1994, punto 2 della motivazione, e ord. n. 147 del 1989). Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 120, comma 1, e 130, comma 1, lett. b, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 4, 16 e 27 della Costituzione, dal magistrato di sorveglianza di Palermo con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13/06/95.

Antonio BALDASSARRE, Presidente

Vincenzo CAIANIELLO, Redattore

Depositata in cancelleria il 16/06/95.