Sentenza n. 248 del 1995

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SENTENZA N. 248

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente

-     Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-     Avv. Mauro FERRI

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge della Regione Toscana riapprovata il 20 settembre 1994 dal Consiglio regionale della Toscana recante "Utilizzazione ai fini faunistici e faunistico-venatori del patrimonio agricolo forestale regionale", promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri notificato il 10 ottobre 1994, depositato in cancelleria il 18 ottobre 1994 ed iscritto al n. 71 del registro ricorsi 1994. Visto l'atto di costituzione della Regione Toscana; udito nell'udienza pubblica del 19 aprile 1995 il Giudice relatore Enzo Cheli; udito l'Avvocato dello Stato Pier Giorgio Ferri per il ricorrente e l'avvocato Claudio Chiola per la Regione.

Ritenuto in fatto

1.- Con ricorso del 7 ottobre 1994, notificato il 10 ottobre 1994, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato, in riferimento agli artt. 97 e 117 della Costituzione, e in relazione alla legge 11 febbraio 1992, n. 157, la delibera legislativa del Consiglio regionale della Toscana del 25 luglio 1994, riapprovata il 20 settembre 1994, recante "Utilizzazione ai fini faunistici e faunistico- venatori del patrimonio agricolo forestale regionale". Nel ricorso si espone che la legge regionale impugnata si ricollega al disposto dell'art. 21, comma 1, lettera c), della legge n. 157 del 1992, che prevede il divieto di esercizio venatorio nelle foreste demaniali "ad eccezione di quelle che, secondo le disposizioni regionali, sentito il parere dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica, non presentino condizioni favorevoli alla riproduzione ed alla sosta della fauna selvatica". In attuazione della norma statale, la delibera regionale in questione ha disposto, all'art. 1, che "il patrimonio agricolo e forestale regionale ... è utilizzato ai fini faunistici, acquisito il parere dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica, secondo le indicazioni dell'allegato A", mentre all'art. 2 ha disciplinato la procedura di modifica dell'allegato medesimo. Ad avviso dell'Avvocatura, l'individuazione di aree forestali da sottrarre al divieto di caccia presenta i connotati sostanziali di una attività amministrativa strettamente improntata all'esercizio di una discrezionalità tecnica, come è confermato dalla previsione del parere tecnico di un istituto pubblico specializzato in materia di fauna selvatica. Pertanto, nel quadro della disciplina prevista dall'art. 21, comma 1, lettera c), della legge n. 157 del 1992, la Regione può esercitare la sua competenza legislativa per regolare le modalità procedurali e sostanziali secondo le quali provvedere in sede amministrativa alla individuazione delle aree da ammettere in via derogatoria all'esercizio venatorio, mentre nel caso di specie la legge regionale ha attuato direttamente il disposto della legge statale, individuando le aree suddette e configurandosi quindi come una legge-provvedimento. Nel ricorso si osserva poi che l'attitudine a favorire la riproduzione e la sosta della fauna va accertata in concreto in relazione alle singole aree forestali - come è confermato dall'allegato A della delibera impugnata che considera separatamente ogni area del patrimonio regionale - e che, di conseguenza, l'onere procedimentale (parere dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica) imposto dalla legge statale è da riferirsi alla valutazione delle singole aree. In ogni caso, secondo l'Avvocatura, sarebbe necessario il parere del- l'Istituto in ordine alla validità dei criteri, delle tecniche e delle metodologie utilizzati per effettuare la valutazione area per area. Ad avviso del ricorrente tali requisiti non si rinvengono nella legge regionale impugnata, dal momento che il parere espresso dall'Istituto nazionale per la fauna selvatica con nota del 18 luglio 1994 non solo omette di pronunciarsi sulla valutazione delle singole aree espresse nelle schede che compongono l'allegato A della legge regionale, ma è anche carente nella valutazione tecnico-scientifica dei criteri utilizzati per accertare la rispondenza delle aree alle esigenze riproduttive e di sosta della fauna.

2.- Nel giudizio davanti alla Corte si è costituita la Regione Toscana, per chiedere il rigetto del ricorso. Ad avviso della Regione il parere previsto dall'art. 21, comma 1, lettera c), della legge n. 157 del 1992 deve essere considerato un parere esterno, obbligatorio ma non vincolante, con conseguente mantenimento della discrezionalità della scelta in capo alla Regione medesima, mentre secondo la tesi governativa l'immedesimazione del parere nel provvedimento regionale postulerebbe, illegittimamente, un potere di co-decisione a favore dell'organo statale. Dopo aver richiamato la giurisprudenza amministrativa secondo la quale gli eventuali vizi di un atto endoprocedimentale non determinano necessariamente l'invalidità dell'atto adottato a conclusione del procedimento, la Regione afferma che la censura del Governo è infondata se valutata alla luce dell'impiego dello strumento legislativo regionale, dal momento che per la Regione assumono valore vincolante solo le disposizioni di principio contenute nella legge-cornice, mentre la previsione del parere obbligatorio in questione non costituirebbe principio-limite per il legislatore regionale. Diversamente - sempre ad avviso della Regione - la norma statale sarebbe doppiamente viziata, in quanto costituirebbe una modifica del procedimento di formazione della legge regionale e una illegittima invasione da parte di un organo statale della competenza regionale. La Regione afferma, infine, che il sindacato di legittimità della legge regionale non può riguardare l'idoneità del parere espresso dall'Istituto nazionale per la fauna selvatica, ma soltanto l'idoneità della scelta compiuta dal legislatore regionale in relazione alle finalità della legge- quadro statale, con la conseguenza che non varrebbe richiamare la natura provvedimentale della legge impugnata per sostenere modifiche al paradigma del giudizio di legittimità costituzionale.

3.- Con memorie depositate in prossimità dell'udienza entrambe le parti hanno ribadito le rispettive argomentazioni a sostegno delle conclusioni assunte negli atti di costituzione in giudizio.

Considerato in diritto

1.- Con ricorso in via principale del 7 ottobre 1994 il Presidente del Consiglio dei ministri impugna la delibera legislativa del Consiglio regionale della Toscana del 25 luglio 1994, riapprovata il 20 settembre 1994, recante "Utilizzazione ai fini faunistici e faunistico-venatori del patrimonio agricolo forestale regionale", dove si dispone (all'art. 1) che "il patrimonio agricolo e forestale regionale ... è utilizzato ai fini faunistici, acquisito il parere dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica, secondo le indicazioni dell'allegato A", e si disciplina (all'art. 2) la procedura di modifica delle zone perimetrate nello stesso allegato. L'impugnativa viene prospettata per violazione degli artt. 97 e 117 della Costituzione, in relazione alla legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), deducendosi che, attraverso la delibera impugnata, la Regione Toscana, nel procedere all'individuazione di aree del suo patrimonio agricolo-forestale da sottrarre al divieto di caccia, ha esercitato direttamente con legge una funzione che presenta i connotati di un'attività amministrativa improntata all'esercizio di una discrezionalità tecnica, sulla base di un parere dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica che, per la sua genericità, non risulterebbe rispondente ai criteri desumibili dalla disposizione di principio contenuta nell'art. 21, comma 1, lettera c), della legge n. 157 del 1992.

2.- Il ricorso non è fondato. La legge 11 febbraio 1992, n. 157, all'art. 21, comma 1, lettera c), nel prevedere una deroga al divieto di esercizio venatorio nelle foreste demaniali, attribuisce alle Regioni, sentito il parere dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica, la facoltà di consentire tale esercizio nelle foreste demaniali che non presentino condizioni favorevoli alla riproduzione ed alla sosta della selvaggina. La delibera regionale in esame ha utilizzato la deroga prevista dalla norma statale, individuando in concreto le aree agricolo-forestali di proprietà della Regione da sottrarre al divieto di caccia. Ora, per quanto concerne il contenuto di tale delibera, va innanzitutto ricordato che questa Corte ha più volte affermato l'insussistenza, in relazione alla legislazione regionale, di limiti costituzionali in grado di impedire l'adozione, nel rispetto del principio di ragionevolezza, di leggi a contenuto sostanzialmente amministrativo (v. sentenze nn. 63 del 1995, 346 del 1994 e 143 del 1989), ovvero collegate all'esercizio di una discrezionalità di natura tecnica (v. sentenza n. 189 del 1986). Pertanto, anche rispetto al caso in esame, va preliminarmente riconosciuto che la facoltà di deroga al divieto di caccia, attribuita alle Regioni dal richiamato art. 21, comma 1, lettera c), della legge n. 157, poteva essere legittimamente esercitata mediante l'approvazione di una legge regionale a contenuto particolare quale quella che, nella specie, ha provveduto ad individuare le aree nelle quali consentire l'esercizio venatorio.

3.- Passando all'esame del motivo principale di censura, riguardante la violazione dell'art. 117 della Costituzione, non può ritenersi ingiustificato affermare che l'art. 21, comma 1, lettera c), della legge n. 157 del 1992 esprima, anche per quanto concerne la richiesta di parere all'Istituto nazionale della fauna selvatica, una norma di principio in grado di vincolare la legislazione regionale, dal momento che il legislatore nazionale, attraverso questa norma, ha inteso assicurare che l'esercizio della facoltà di deroga al divieto di caccia nelle foreste demaniali spetti alle Regioni soltanto ove accompagnato dalla valutazione di un ente nazionale dotato della necessaria competenza tecnica in materia (v. per una fattispecie analoga, riferita all'art. 4 della legge n. 157 del 1992, la sentenza n. 35 del 1995). Ma questo non induce anche a concludere che la delibera legislativa impugnata sia stata adottata dalla Regione Toscana in violazione della richiamata norma statale. E invero, la delibera stessa, per l'utilizzazione ai fini faunistici e faunistico-venatori del patrimonio agricolo e forestale regionale, richiede espressamente il parere dell'Istituto nazionale della fauna selvatica, parere che, nella specie, la Regione ha provveduto a richiedere e che è stato rilasciato con la nota di questo ente del 18 luglio 1994. Tale parere ha preso in considerazione l'intero contesto della delibera regionale e dell'allegato A, dove risultano specificate le singole perimetrazioni delle zone aperte all'esercizio venatorio. In tal modo la Regione, sul piano legislativo, ha certamente ottemperato all'onere procedimentale impostole dalla norma prevista dall'art. 21, comma 1, lettera c), della legge n. 157 del 1992. Nè tale conclusione può risultare inficiata dalla censura, proposta nel ricorso, relativa alla pretesa inidoneità della nota del 18 luglio 1994 ad integrare i contenuti minimi del parere tecnico richiesto dalla norma statale, per non avere tale nota nè considerato in dettaglio i criteri e le metodologie utilizzati dalla Regione nè valutato singolarmente le aree aperte all'esercizio della caccia. Ora - a parte ogni rilievo sul fatto che il giudizio di legittimità costituzionale della legge regionale non si presenta come la sede idonea per valutare l'adeguatezza di un parere espresso in sede tecnica da un organo amministrativo - ciò che va considerato, e che esplicitamente risulta dalla richiamata nota dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica, è che questo ente ha provveduto a esaminare nel suo complesso la delibera legislativa in questione, con il relativo allegato, esprimendo di conseguenza l'avviso di condividere "sotto il profilo tecnico" i criteri utilizzati dalla Regione per l'elaborazione del suo progetto "nell'ambito di una strategia tesa a dare attuazione alla programmazione territoriale di settore, così come definita dalla legge n. 157 del 1992 e dalla legge regionale n. 3 del 1994". Formula questa che, pur nella sua sinteticità, appare idonea a comprovare che un parere è stato in concreto espresso e che, di conseguenza, il limite posto dalla norma statale è stato rispettato.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale della delibera legislativa della Regione Toscana del 25 luglio 1994, riapprovata il 20 settembre 1994, recante "Utilizzazione ai fini faunistici e faunistico- venatori del patrimonio agricolo forestale regionale", sollevata, in riferimento agli artt. 97 e 117 della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13/06/95.

Antonio BALDASSARRE, Presidente

Enzo CHELI, Redattore

Depositata in cancelleria il 16/06/95.