Sentenza n. 245 del 1995

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SENTENZA N. 245

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente

-     Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-     Avv. Mauro FERRI

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge della Regione siciliana 30 dicembre 1965, n. 44 (Provvedimenti relativi all'Assemblea regionale siciliana), promosso con ordinanza emessa il 4 ottobre 1994 dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione siciliana, sull'istanza proposta dal Procuratore Regionale nei confronti di Palillo Giovanni, iscritta al n. 773 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 3, prima serie speciale, dell'anno 1995. Visto l'atto di intervento della Regione siciliana; udito nella camera di consiglio del 20 aprile 1995 il Giudice relatore Francesco Guizzi.

Ritenuto in fatto

1. - La Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Regione siciliana, chiamata all'esame del provvedimento con il quale il Presidente della sezione ha autorizzato il sequestro conservativo di alcuni beni del deputato dell'Assemblea regionale siciliana Palillo, ma non dell'indennità corrispostagli quale componente di essa, ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione e agli artt. 14 e 17 dello Statuto speciale della Regione, questione di legittimità costituzionale della legge regionale 30 dicembre 1965, n. 44 (Provvedimenti relativi all'Assemblea regionale siciliana), nella parte in cui, richiamando l'art. 5 della legge 31 ottobre 1965, n. 1261, esclude il sequestro dell'indennità e della diaria corrisposte ai deputati della stessa Assemblea. Il giudice rimettente fa rinvio alle osservazioni svolte dal Procuratore regionale sulla diversa posizione dell'Assemblea regionale siciliana rispetto a quella delle Camere, tale da riflettersi sullo status dei singoli componenti: essendo eccezionale la disciplina dettata per i parlamentari nazionali, ne conseguirebbe l'illegittimità della norma regionale denunciata, alla luce dei principi delineati da questa Corte nella sentenza n. 24 del 1968. La Regione non avrebbe, infatti, potestà legislativa in materia, dal momento che la insequestrabilità delle indennità parlamentari incide sulla tutela di diritti patrimoniali, inerenti ai rapporti di diritto privato dei singoli cittadini. A tali argomenti, conclude il giudice a quo, non può disconoscersi un minimum di ragionevolezza, anche se vanno ponderate le ragioni opposte dalla difesa del sequestrando, che insiste sulla salvaguardia delle funzioni attribuite all'Assemblea regionale siciliana, giacchè le iniziative di sequestro potrebbero influire sul comportamento dei deputati regionali.

2. - È intervenuto il Presidente della Regione Siciliana, nel senso della inammissibilità e, comunque, dell'infondatezza della questione. L'ordinanza, ad avviso della Regione, non indica la disposizione sospettata di incostituzionalità, in violazione dell'art. 23 della legge n. 87 del 1953, e soprattutto appare carente di autonoma motivazione; il che andrebbe sanzionato con una pronuncia di inammissibilità. In ogni caso, poi, la questione sarebbe infondata, non avendo pregio i due argomenti a sostegno del dubbio di costituzionalità: la diversa posizione dell'Assemblea regionale siciliana rispetto a quella delle Camere, e l'incompetenza della Regione a regolare i rapporti di diritto privato. Il primo argomento, prosegue la Regione, non coglie nel segno: la parificazione tra parlamentari nazionali e deputati regionali siciliani, circa l'insequestrabilità dell'indennità e della diaria, non tocca quanto affermato dalla sentenza n. 66 del 1964 sulla peculiare posizione delle Camere, anche perchè nella sentenza n. 24 del 1968 - vagliando la delibera legislativa regionale del 23 giugno 1965 - questa Corte ebbe modo di chiarire che in regime democratico il legislatore ha l'obbligo di assicurare ai non abbienti l'accesso alle cariche pubbliche, secondo i principi ricavabili dagli artt. 3, secondo comma, e 51, primo comma, della Costituzione. D'altra parte, l'art. 1 della legge statale 31 ottobre 1965, n. 1261, ricollega la previsione della non gratuità del mandato, di cui all'art. 69 della Costituzione, al libero esercizio delle funzioni parlamentari sancito dagli artt. 67 e 68 della Costituzione. La previsione di un'indennità a favore dei consiglieri regionali dà effettività all'accesso dei cittadini alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, e rafforza l'altro principio (a questo inscindibilmente collegato) della libertà di voto affermata dall'art. 48 della Costituzione. Inoltre, l'attribuzione di una rimunerazione pecuniaria per l'attività svolta pone i consiglieri regionali al riparo da dipendenze e condizionamenti economici, che potrebbero minarne l'indipendenza. Ciò che porta a escludere la violazione dell'art. 3 della Costituzione. Quanto alla seconda censura, mossa con riferimento agli artt. 14 e 17 dello Statuto, si richiama ancora la sentenza n. 24 del 1968: non era l'equiparazione, in sè, tra parlamentari nazionali e deputati regionali a essere illegittima, bensì il fatto che essa era stata disposta dal legislatore regionale al di là delle sue competenze. Ma la Corte dei conti non considera che il legislatore statale ha esteso il regime tributario delle indennità parlamentari ai consiglieri delle regioni a statuto speciale (art. 6, legge n. 1261 del 1965); e, comunque, la potestà legislativa regionale ha come oggetto, nel caso in esame, il regime giuridico dell'indennità e, dunque, un aspetto dello status dei componenti dell'Assemblea, che rientra nelle attribuzioni regionali.

L'estensione agli stessi della norma sulla insequestrabilità e impignorabilità è espressione di un principio generale dell'ordinamento giuridico (art. 545 del codice di procedura civile) sulla sostanziale impignorabilità e insequestrabilità delle retribuzioni da chiunque percepite. Di carattere tendenziale, tale principio diventa, qui, di totale impignorabilità e insequestrabilità. La Regione si sofferma, quindi, sulle conseguenze paradossali che deriverebbero dall'accoglimento della questione: l'indennità e la diaria dei deputati siciliani sarebbero sottoposte a sequestro conservativo senza nemmeno il limite del quinto previsto per i dipendenti pubblici o privati; e quella che per i consiglieri regionali si pone come esigenza di maggior tutela, si convertirebbe assurdamente in una sottrazione di garanzie rispetto a qualsiasi altro credito di lavoro.

3. - Nell'imminenza dell'udienza, la Regione siciliana ha presentato memoria, ribadendo gli argomenti in precedenza svolti nel senso dell'infondatezza della questione.

Considerato in diritto

1. - La Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Siciliana, solleva questione di legittimità costituzionale della legge della Regione Siciliana 30 dicembre 1965, n. 44, nella parte in cui - richiamando l'art. 5 della legge statale 31 ottobre 1965, n. 1261 - esclude il sequestro dell'indennità e della diaria corrisposte ai deputati dell'Assemblea regionale siciliana, ritenendo che vi sia lesione dell'art. 3 della Costituzione (per la diversa posizione dell'Assemblea regionale siciliana rispetto a quella delle Camere) e degli artt. 14 e 17 dello Statuto speciale della Regione, giacchè la legge regionale inciderebbe sulla tutela di diritti patrimoniali e, quindi, su materia che rientra nei rapporti di diritto privato, per i quali la Regione non è competente.

2. - La Regione eccepisce che l'ordinanza di rimessione non indica specificamente la disposizione sospettata di incostituzionalità, nè è assistita da autonoma motivazione, dal momento che fa rinvio - peraltro in forma dubitativa - ai rilievi formulati dal Procuratore regionale. Entrambe le eccezioni sono da disattendere. Esaminata nel suo complesso, l'ordinanza individua chiaramente la norma regionale oggetto di censura: la questione di legittimità viene sollevata con riguardo alla legge regionale n. 44 del 1965, nella parte che "rende insequestrabile la indennità e la diaria dovuta ai parlamentari siciliani". È dunque inequivoco il riferimento all'art. 1 di essa. Nè può dirsi che l'ordinanza di rimessione sia immotivata sul punto della non manifesta in fondatezza e della rilevanza della questione, grazie all'analisi dedicata agli argomenti avanzati dal Procuratore regionale.

3. - Nel merito la questione è fondata, nei termini che si passa ora a precisare. Per la determinazione dell'indennità spettante ai componenti dell'Assemblea regionale, l'art. 1 della legge regionale n. 44 del 1965 rinvia (con alcune modifiche successivamente specificate) alla legge statale n. 1261 del 1965 che, all'ultimo comma dell'art. 5, esclude il sequestro e il pignoramento dell'indennità mensile e della diaria dei parlamentari nazionali e, all'art. 6, prevede che il regime tributario riservato a costoro si applichi, per quanto compatibile, all'indennità e agli assegni spettanti ai consiglieri delle regioni a statuto speciale. In tal modo, il legislatore del 1965 integra il precedente assetto normativo che già esentava da tributo le indennità parlamentari, vietandone il sequestro e il pignoramento (legge 9 agosto 1948, n. 1102, art. 3). Ma al momento di estendere tali misure ai consiglieri delle regioni a statuto speciale ha fatto riferimento soltanto al regime tributario, e non anche al divieto di sequestro e pignoramento. Nè deve sorprendere siffatta limitazione: trattandosi di norme derogatorie, giustificate dalla salvaguardia del mandato parlamentare ai sensi dell'art. 69 della Costituzione (significativamente richiamato dall'art. 1 della citata legge n. 1261), ben si comprende che l'estensione ai consiglieri regionali sia stata circoscritta, avendo cura di evitare refluenze sulla tutela dei diritti patrimoniali e comunque sulla sfera dei rapporti di diritto privato.

4. - Sussiste, d'altra parte, nell'ordinamento la garanzia generale di cui è espressione l'art. 545 del codice di procedura civile, che limita il pignoramento delle retribuzioni a un quinto: garanzia che vale anche per le indennità di carica, nel le quali è certo presente una funzione retributiva, insieme con le ulteriori connotazioni che si riconnettono al libero svolgimento del mandato elettivo. Ora, la norma denunziata della legge regionale siciliana non si limita a recepire quel principio generale, ma richiama il regime dettato per i membri delle due Camere, ben al di là dell'estensione consentita dall'art. 6 della legge n. 1261 e senza che vi sia possibilità di interpretazione estensiva - o analogica - della formula "trattamento tributario" ivi presente.

5. - Deve poi aggiungersi che l'analogia tra le attribuzioni delle assemblee regionali e quelle parlamentari non significa identità: le prime si svolgono a livello di autonomia, anche se costituzionalmente garantite, le seconde a livello di sovranità; e, dunque, non sono autonomamente applicabili agli organismi assembleari delle regioni le prerogative riservate agli organi supremi dello Stato e le speciali norme derogatorie che vi si riconnettono (sentenze n. 209 del 1994, 110 del 1970, 66 del 1964). E proprio con riguardo all'indennità dei deputati dell'Assemblea regionale siciliana, la sentenza n. 24 del 1968 ricorda come la Regione non possa introdurre agevolazioni o esoneri tributari che non abbiano riscontro in un corrispondente "tipo" della legislazione statale, dichiarando l'illegittimità dell'art. 1 della delibera legislativa del 23 giugno 1965, alla luce della legge statale n. 1102 del 1948, che si è prima menzionata. L'indipendenza dei consiglieri regionali e il libero svolgimento del mandato elettivo vengono comunque salvaguardati dal principio generale sotteso all'art. 545 del codice di procedura civile, applicabile anche alle indennità in esame; di modo che risulta illegittima la disposizione della legge regionale siciliana che, non limitandosi a recepire detto principio, fa divieto assoluto di pignoramento e sequestro delle indennità stesse attraverso il richiamo della legge n. 1261 del 1965, con evidente esorbitanza dai limiti delle attribuzioni regionali ed incidenza sulla sfera dei rapporti di diritto privato.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, secondo comma, della legge della Regione Siciliana 30 dicembre 1965, n. 44 (Provvedimenti relativi all'Assemblea regionale siciliana), nella parte in cui fa assoluto divieto di sequestro e pignoramento dell'indennità mensile e della dia ria corrisposte ai deputati dell'Assemblea regionale siciliana, anzichè prevedere il sequestro e pignoramento delle stesse nella misura di un quinto.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13/06/95.

Antonio BALDASSARRE, Presidente

Francesco GUIZZI, Redattore

Depositata in cancelleria il 16/06/95.