Ordinanza n. 169 del 1995

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ORDINANZA N.169

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente

-     Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-     Avv. Mauro FERRI

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 21 della legge 13 settembre 1982, n. 646 (Disposizioni in materia di misure di prevenzione di carattere patrimoniale ed integrazioni alle leggi 27 dicembre 1956, n. 1423, 10 febbraio 1962, n. 57 e 31 maggio 1965, n. 575. Istituzione di una commissione parlamentare sul fenomeno della mafia), nel testo modificato dall'art. 2 - quinquies del decreto-legge 6 settembre 1982, n. 629 (Misure urgenti per il coordinamento della lotta contro la delinquenza mafiosa), convertito, con modificazioni, dalla legge 12 ottobre 1982, n. 726, e dall'art. 8 della legge 19 marzo 1990, n. 55 (Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale), promossi con le seguenti ordinanze: 1) ordinanza emessa il 24 gennaio 1994 dal Pretore di Aosta nel procedimento penale a carico di Pareglio Eraldo ed altro, iscritta al n. 364 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 26, prima serie speciale, dell'anno 1994; 2) ordinanza emessa il 2 novembre 1994 dal Pretore di Parma - sezione distaccata di Fidenza nel procedimento penale a carico di Cortesi Sergio, iscritta al n. 763 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 3, prima serie speciale, dell'anno 1995.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 5 aprile 1995 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello.

RITENUTO che con ordinanza del 24 gennaio 1994 (pervenuta a questa Corte il 1° giugno 1994) il Pretore di Aosta ha sollevato, nel corso di un giudizio penale, questione di legittimità costituzionale dell'art. 21 della legge 13 settembre 1982, n. 646 (Disposizioni in materia di misure di prevenzione di carattere patrimoniale ed integrazioni alle leggi 27 dicembre 1956, n. 1423, 10 febbraio 1962, n. 57 e 31 maggio 1965, n. 575. Istituzione di una commissione parlamentare sul fenomeno della mafia), nel testo modificato dall'art. 2 - quinquies del decreto-legge 6 settembre 1982, n. 629 (Misure urgenti per il coordinamento della lotta contro la delinquenza mafiosa), convertito, con modificazioni, dalla legge 12 ottobre 1982, n. 726, e altresì dall'art. 8 della legge 19 marzo 1990, n. 55 (Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale), nella parte in cui stabilisce che l'appaltatore di opere riguardanti la pubblica amministrazione che concede anche di fatto in subappalto o a cottimo, in tutto o in parte, le opere stesse senza l'autorizzazione dell'autorità competente sia assoggettato (oltre che alla pena dell'arresto da sei mesi ad un anno) alla pena dell'ammenda pari a un terzo del valore complessivo dell'opera ricevutain appalto,assumendo il contrasto di detta previsione normativa con gli articoli 3, 25, secondo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione; che ad avviso del giudice a quo la norma impugnata contrasta con l'art. 3 della Costituzione in quanto assoggetta alla medesima pena pecuniaria, rapportata al valore dell'opera, condotte dell'appaltatore che possono essere notevolmente diversificate quanto a gravità, secondo la diversa entità dei lavori in ipotesi illegittimamente affidati a terzi; che inoltre ulteriore censura, riferita allo stesso parametro, è dedotta sotto il profilo della irragionevole divaricazione del trattamento sanzionatorio tra l'appaltatore e il subappaltatore, a seguito della modifica apportata alla norma impugnata con l'art. 8 della legge n. 55 del 1990, che ha ridotto la sanzione pecuniaria - in origine eguale per entrambi i soggetti dell'illecito in parola - solo nei riguardi del subappaltatore (o affidatario del cottimo), prevedendo per questi l'ammenda pari a un terzo del valore dell'opera dallo stesso ricevuta in subappalto o cottimo; una divaricazione tanto più irragionevolmente squilibrata, a vantaggio del subappaltatore, alla stregua del rilievo per cui sarebbe da ritenere generalmente quest'ultimo il soggetto maggiormente pericoloso; che, secondo il rimettente, la norma impugnata sarebbe poi lesiva dell'art. 25, secondo comma, della Costituzione, sul piano dei principi di proporzione e adeguatezza della sanzione rispetto al fatto, giacchè la pena proporzionale è collegata a un dato invariante ed estraneo alla concreta condotta realizzata, alla quale in tal modo si riconnette una pena non proporzionata all'effettivo disvalore del reato commesso; che, infine, il giudice a quo individua una lesione dell'art. 27, terzo comma, della Costituzione, in quanto l'automatismo della sanzione, proporzionale al valore dell'opera, e il mancato collegamento di essa, per quanto detto, all'effettiva gravità del fatto, comportano l'applicazione in concreto di pene incongrue e dunque non adeguate alla finalizzazione rieducativa delle pene medesime; che con ordinanza del 2 novembre 1994 il Pretore di Parma - sezione distaccata di Fidenza ha sollevato questione di legittimità costituzionale del richiamato art. 21 della legge n. 646 del 1982, deducendo come proprie le argomentazioni e i motivi espressi dal Pretore di Aosta attraverso il richiamo alla relativa ordinanza pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica; che in entrambi i giudizi ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto una declaratoria di inammissibilità o di infondatezza delle questioni, osservando che le stesse attengono a scelte del legislatore in tema di determinazione delle sanzioni penali, scelte che si sottraggono al sindacato di costituzionalità.

CONSIDERATO che le questioni hanno ad oggetto la medesima previsione sanzionatoria e che quindi i giudizi possono essere riuniti e decisi con unico provvedimento; che relativamente all'ordinanza di rimessione del Pretore di Parma - sezione distaccata di Fidenza, essa risulta solo sinteticamente riferita per relationem alle "argomentazioni" svolte dall'altra ordinanza, ed è del tutto priva degli elementi idonei a dare valido ingresso alla questione di legittimità costituzionale, sia quanto all'esposizione dei fatti oggetto del giudizio a quo e al requisito della rilevanza, sia quanto alla motivazione sulla non manifesta infondatezza e sui parametri, neppure indicati, per cui la relativa questione va dichiarata manifestamente inammissibile (v. ex plurimis ordinanze n. 411 del 1994, n. 513 del 1993, n. 256 del 1991); che, relativamente all'ordinanza di rinvio del Pretore di Aosta, va rilevato che, successivamente alla proposizione della questione, è stato emanato il decreto- legge 29 aprile 1995, n. 139 (Disposizioni urgenti in tema di proroga dei termini relativi ai procedimenti penali in fase di istruzione formale ed in tema di disciplina sanzionatoria relativa agli appalti), il cui articolo 2 ha modificato la norma impugnata nella parte relativa alla pena pecuniaria (già) stabilita per l'appaltatore, sostituendo, alla pena unicamente rapportata al terzo del valore dell'opera ricevuta in appalto, una escursione sanzionatoria in cui detto valore opera come massimo edittale, e il minimo coincide con la pena pecuniaria (proporzionale) prevista per il subappaltatore; che l'accennata modifica legislativa impone pertanto la restituzione degli atti al giudice a quo perchè valuti se, alla luce di essa, la questione sollevata sia tuttora rilevante.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi, dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 21 della legge 13 settembre 1982, n. 646 (Disposizioni in materia di misure di prevenzione di carattere patrimoniale ed integrazioni alle leggi 27 dicembre 1956, n. 1423, 10 febbraio 1962, n. 57 e 31 maggio 1965, n. 575.

Istituzione di una commissione parlamentare sul fenomeno della mafia), nel testo modificato dall'art. 2- quinquies del decreto-legge 6 settembre 1982, n. 629 (Misure urgenti per il coordinamento della lotta contro la delinquenza mafiosa), convertito, con modificazioni, dalla legge 12 ottobre 1982, n. 726, e dall'art. 8 della legge 19 marzo 1990, n. 55 (Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale), sollevata dal Pretore di Parma - sezione distaccata di Fidenza, con l'ordinanza indicata in epigrafe;

ordina la restituzione degli atti al Pretore di Aosta.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 maggio 1995.

Antonio BALDASSARRE, Presidente

Vincenzo CAIANIELLO, Redattore

Depositata in cancelleria il 16 maggio 1995.