Sentenza n. 152 del 1995

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N.152

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente

-     Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-     Avv. Mauro FERRI

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 5 (recte: 6) della legge della Regione Abruzzo 19 luglio 1984, n. 47 (Norme per l'applicazione delle sanzioni amministrative in materia sanitaria), promossi con due ordinanze emesse il 18 giugno 1994 dal pretore di Pescara nei procedimenti civili vertenti tra Flaviano D'Intino e Comune di Spoltore iscritti rispettivamente ai nn. 632 e 633 del registro ordinanze 1994 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43 prima serie speciale dell'anno 1994.

Udito nella camera di consiglio del 22 febbraio 1995 il Giudice relatore Enzo Cheli.

Ritenuto in fatto

1.- Con due ordinanze di identico contenuto il pretore di Pescara, nel corso di procedimenti di opposizione ad ordinanze- ingiunzioni del sindaco del Comune di Spoltore di condanna per violazioni di norme a tutela dell'igiene dei luoghi di produzione di generi alimentari (art 29 del d.P.R. 26 marzo 1980, n. 327, sanzionato dall'art. 17 della legge 30 aprile 1962, n. 283), ha sollevato, in riferimento all'art. 117 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5 (recte: 6) della legge della Regione Abruzzo del 19 luglio 1984, n. 47, nella parte in cui - nell'ipotesi di una violazione depenalizzata ai sensi dell'art. 32 della legge 24 novembre 1981, n. 689, punita con sanzione amministrativa per la quale la legge prevede solo il massimo edittale - non consente all'interessato di accedere al pagamento del la sanzione in misura ridotta, come disciplinato dall'art. 16 della stessa legge n. 689, corrispondendo il doppio del minimo edittale ricavato, secondo l'interpretazione della Corte di cassazione, dal disposto dell'art. 26 del codice penale (R.O. nn. 632 e 633 del 1994).

2.- Il giudice remittente osserva che la norma impugnata consente l'oblazione mediante il pagamento di una somma pari al terzo del massimo edittale, mentre l'art. 16 della legge generale di depenalizzazione del 24 novembre 1981, n. 689, come interpretato dal "diritto vivente" della Corte di cassazione, stabilisce che nelle ipotesi - quali quelle per cui è causa - che sono state depenalizzate dall'art. 32 della stessa legge e per le quali la sanzione sia prevista solo nel massimo edittale, l'interessato possa corrispondere, se per lui più favorevole, il doppio del minimo previsto dall'art. 26 del codice penale.

Nell'ordinanza si afferma che la legge n. 689 del 1981 ha dettato una disciplina contenente i principi generali in materia di depenalizzazione degli illeciti amministrativi, all'interno della quale l'art. 16 regola specificamente la facoltà della parte di accedere al pagamento in misura ridotta corrispondendo una somma pari al doppio del minimo della sanzione ovvero al terzo del massimo edittale. Pertanto, il giudice a quo ritiene che la norma impugnata contrasti con tale principio della legislazione statale, nella parte in cui non consente all'interessato di accedere all'oblazione corrispondendo il doppio del minimo edittale, calcolato ai sensi dell'art. 26 del codice penale, dal momento che le ipotesi di illeciti sui quali verte il processo a quo sono state depenalizzate dall'art. 32 della legge n. 689.

Considerato in diritto

1.- Le due ordinanze pongono, con identiche argomentazioni, la stessa questione di legittimità costituzionale. I giudizi relativi vanno, pertanto, riuniti per essere decisi con unica pronuncia.

2.- Il Pretore di Pescara dubita della legittimità costituzionale dell'art. 6, secondo comma, della legge della Regione Abruzzo 19 luglio 1984, n. 47 (Norme per l'applicazione delle sanzioni amministrative in materia sanitaria), dove, in relazione all'ipotesi di pagamento della sanzione amministrativa in misura ridotta, si statuisce che "nel caso la disposizione non preveda il minimo di sanzione amministrativa, ma determini solo il massimo, è consentito il pagamento ridotto nella sola misura di un terzo del massimo".

Ad avviso del giudice a quo tale disposizione verrebbe a violare l'art. 117 Cost., in relazione all'art. 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689, nella parte in cui, nel caso di violazione amministrativa sanzionata nel solo massimo edittale, "non consente all'interessato di accedere all'oblazione corrispondendo anche il doppio del minimo edittale ricavato, secondo il diritto vivente, alla stregua del disposto di cui all'art. 26 cod. pen.".

3.- La questione è fondata.

L'art. 16 della legge 689 del 1981, recante "Modifiche al sistema penale", disciplina il pagamento in misura ridotta delle sanzioni amministrative statuendo che le stesse possono essere estinte mediante il pagamento di una somma "pari alla terza parte del massimo della sanzione prevista per la violazione commessa o, se più favorevole, al doppio del minimo della sanzione edittale".

A tale norma, per il suo rilievo nel contesto della disciplina generale posta in tema di sanzioni amministrative, va riconosciuto il valore di principio suscettibile di vincolare il legislatore regionale: e questo sia con riferimento alla previsione della possibilità di un pagamento della sanzione in misura ridotta sia con riferimento alla determinazione di tale misura, che la stessa norma viene a indicare nell'importo più favorevole al soggetto intimato, da individuare attraverso la scelta tra le misure rappresentate dal terzo del massimo e dal doppio del minimo della sanzione edittale.

La norma regionale impugnata riduce, di contro, questa alternativa all'unica ipotesi del pagamento di un terzo del massimo, là dove la sanzione risulti comminata solo nella misura massima. Tale soluzione sembra muovere dal presupposto che, quando la sanzione risulti fissata solo nel massimo, non sussista la possibilità di individuare per la stessa un minimo, con la conseguente necessità di correlare la misura della riduzione al solo parametro esplicitamente indicato.

Tale presupposto appare, peraltro, errato, perchè trascura di considerare che anche per le sanzioni indicate solo nel massimo e sprovviste di un minimo specifico sussiste pur sempre la possibilità di individuare un minimo nella disciplina generale posta per ciascun tipo di sanzione. Questo minimo, per le sanzioni di origine amministrativa, risulta indicato dall'art. 10 della legge n. 689 del 1981 (in una somma non inferiore a lire quattromila), mentre, per le sanzioni depenalizzate di cui all'art. 32, lo stesso può essere desunto dall'art. 38 della legge in questione, dove, per individuare l'entità della somma dovuta in relazione ad una sanzione amministrativa conseguente ad un illecito depenalizzato, si rinvia all'ammontare della multa e dell'ammenda. Nell'ipotesi di sanzione amministrativa derivante - come nel caso preso in esame nel giudizio a quo - da una contravvenzione depenalizzata (ex art. 17 della legge 30 aprile 1962, n. 283) la misura minima della sanzione può essere, dunque, desunta in via generale - così come indicato dalla giurisprudenza della Cassazione richiamata quale "diritto vivente" nell'ordinanza di rinvio - dall'art. 26 del codice penale, che indica, per l'ammenda, la misura minima di lire quattromila.

Il rispetto del principio sanzionato nell'art. 16 della legge n. 689 del 1981 impedisce, pertanto, alla Regione di bloccare la misura della sanzione ridotta solo in relazione al terzo del massimo edittale, dal momento che, in ogni caso, occorre garantire al soggetto colpito la possibilità di scelta della misura più favorevole tra le due dalla stessa norma indicate: con la conseguenza che la Regione, in assenza di un minimo specificamente sanzionato, non può sottrarre a chi sia interessato al pagamento in misura ridotta la possibilità di ottemperare al proprio obbligo utilizzando il richiamo anche al minimo desumibile in via generale dalla disciplina relativa al tipo di sanzione applicata.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi, dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 6, secondo comma, della legge della Regione Abruzzo 19 luglio 1984, n. 47 (Norme per l'applicazione delle sanzioni amministrative in materia sanitaria).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 04/05/95.

Antonio BALDASSARRE, Presidente

Enzo CHELI, Redattore

Depositata in cancelleria il 08/05/95.