Sentenza n. 3 del 1995

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SENTENZA N. 3

 

ANNO 1995

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

 

-    Prof. Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

-    Prof. Gabriele PESCATORE

 

-    Avv. Ugo SPAGNOLI

 

-    Prof. Antonio BALDASSARRE

 

-    Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

-    Avv. Mauro FERRI

 

-    Prof. Luigi MENGONI

 

-    Prof. Enzo CHELI

 

-    Dott. Renato GRANATA

 

-    Prof. Giuliano VASSALLI

 

-    Prof. Francesco GUIZZI

 

-    Prof. Cesare MIRABELLI

 

-    Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

-    Avv. Massimo VARI

 

-    Dott. Cesare RUPERTO

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell'art. 2, primo comma, della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, della richiesta di referendum popolare per l'abrogazione della legge 11 giugno 1971, n. 426, recante "Disciplina del commercio" e successive modificazioni e integrazioni, limitatamente alle seguenti parti:

 

articolo 11; articolo 12; articolo 14; articolo 15; articolo 16; articolo 18, limitatamente al comma 2: "Qualora le commissioni di cui agli articoli 15 e 16 non siano nominate entro i termini previsti, il Presidente della Giunta regionale invita a provvedere entro un termine da lui fissato non superiore a sessanta giorni. Trascorso tale termine senza che la nomina sia avvenuta, il Presidente della Giunta regionale provvede con proprio decreto, tenuto conto delle designazioni effettuate."; articolo 20; articolo 21; articolo 22; articolo 23; articolo 24, comma 2, limitatamente alle parole: "con la osservanza dei criteri stabiliti dal piano" nonché alle parole: "e quindi l'equilibrio commerciale previsto dal piano" e comma 3, limitatamente alle parole: "del piano e"; articolo 27, comma 2: "Il nullaosta della Giunta regionale di cui al precedente ed al presente articolo può essere concesso anche in deroga a quanto disposto dal secondo comma dell'articolo 12."; articolo 30; articolo 43, comma 2: "Fino a quando non siano approvati i piani di sviluppo e di adeguamento della rete distributiva, le autorizzazioni saranno rilasciate dai sindaci su conforme parere delle commissioni di cui agli articoli 15 e 16 nell'osservanza dei criteri previsti agli articoli 11 e 12, previo il nullaosta della Giunta regionale per le autorizzazioni di cui agli articoli 26 e 27 della presente legge.";

 

nonché del decreto-legge 1 ottobre 1982, n. 697, recante "Disposizioni in materia di imposta sul valore aggiunto, di regime fiscale delle manifestazioni sportive e cinematografiche e di riordinamento della distribuzione commerciale", convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 1982, n. 887, limitatamente a: articolo 8, comma 1, nel testo sostituito dall'art. 1 del decreto-legge 26 gennaio 1987, n. 9, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 marzo 1987, n. 121: "Limitatamente ai comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti sprovvisti del piano di sviluppo e di adeguamento della rete di vendita il consiglio comunale stabilisce ai sensi degli articoli 11 e seguenti della legge 11 giugno 1971, n. 426, i criteri ai quali la commissione comunale per il commercio prevista da tale legge deve attenersi nell'esaminare le domande di autorizzazione ai sensi dell'articolo 43, secondo comma, della legge stessa. I criteri sono validi sino all'approvazione del piano. La mancata indicazione dei criteri suddetti comporta la sospensione del rilascio delle autorizzazioni relative all'apertura di esercizi di vendita al dettaglio di generi di largo e generale consumo.", iscritto al n. 72 del registro referendum.

 

Vista l'ordinanza del 30 novembre 1994 con la quale l'Ufficio centrale per il referendum popolare presso la Corte di cassazione ha dichiarato legittima la richiesta e la successiva ordinanza del 20 dicembre 1994 con la quale l'Ufficio Centrale per il referendum ha modificato il quesito;

 

udito nella camera di consiglio del 9 gennaio 1995 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello;

 

udito l'avvocato Beniamino Caravita di Toritto per i presentatori Giuseppe Calderisi, Lorenzo Strik Lievers e Elio Vito.

 

Ritenuto in fatto

 

1.- L'Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di cassazione ha esaminato la richiesta, presentata da venti cittadini elettori il 4 novembre 1993, di referendum popolare per l'abrogazione di alcune disposizioni della legge 11 giugno 1971, n. 426, recante la "Disciplina del commercio"; l'annuncio dell'iniziativa e i termini del quesito sono stati pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 260 del 5 novembre 1993.

 

2.- Con ordinanza del 30 novembre 1994, il predetto Ufficio centrale ha dichiarato, a norma dell'art. 32 della legge 25 maggio 1970, n. 352, la legittimità della richiesta di referendum, provvedendo, su istanza dei promotori, alla integrazione e riformulazione del quesito gi pubblicato, includendovi l'art. 8, comma 1, del decreto-legge 1° ottobre 1982, n. 697, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 1982, n. 887, nel testo sostituito dall'articolo 1 del decreto-legge 26 gennaio 1987, n. 9, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 marzo 1987, n. 121.

 

3.- Ricevuta comunicazione dell'ordinanza dell'Ufficio centrale, il Presidente di questa Corte ha fissato il giorno 9 gennaio 1995 per la conseguente deliberazione in camera di consiglio, dandone regolare comunicazione.

 

4.- Con ordinanza del 20 dicembre 1994 l'Ufficio centrale per il referendum, preso atto dell'entrata in vigore del D.P.R. 18 aprile 1994, n. 384 - che, operando in materia delegificata a norma dell'art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, ed in attuazione dell'art. 2, commi 7, 8 e 9 della legge 24 dicembre 1993, n. 597, ha semplificato, tra l'altro, il procedimento di rilascio dei provvedimenti di autorizzazione all'apertura, ampliamento e trasferimento degli esercizi commerciali, eliminando il parere delle commissioni di cui agli articoli 15 e 16 della legge n. 426 del 1971 ed introducendo il meccanismo del silenzio-assenso quanto all'autorizzazione - ha ulteriormente precisato il quesito referendario, eliminando da esso i riferimenti a disposizioni oramai incompatibili con la nuova disciplina.

 

Il quesito referendario quale da ultimo riformulato dall'Ufficio centrale è il seguente:

 

"Volete voi che sia abrogata la legge 11 giugno 1971, n. 426, recante "Disciplina del commercio" e successive modificazioni e integrazioni, limitatamente alle seguenti parti:

 

articolo 11; articolo 12; articolo 14; articolo 15;

 

articolo 16; articolo 18, limitatamente al comma 2: "Qualora le commissioni di cui agli articoli 15 e 16 non siano nominate entro i termini previsti, il Presidente della Giunta regionale invita a provvedere entro un termine da lui fissato non superiore a sessanta giorni. Trascorso tale termine senza che la nomina sia avvenuta, il Presidente della Giunta regionale provvede con proprio decreto, tenuto conto delle designazioni effettuate."; articolo 20;

 

articolo 21; articolo 22; articolo 23; articolo 24, comma 2, limitatamente alle parole: "con la osservanza dei criteri stabiliti dal piano" nonché alle parole: "e quindi l'equilibrio commerciale previsto dal piano" e comma 3, limitatamente alle parole: "del piano e"; articolo 27, comma 2: "Il nullaosta della Giunta regionale di cui al precedente ed al presente articolo può essere concesso anche in deroga a quanto disposto dal secondo comma dell'articolo 12."; articolo 30; articolo 43, comma 2: "Fino a quando non siano approvati i piani di sviluppo e di adeguamento della rete distributiva, le autorizzazioni saranno rilasciate dai sindaci su conforme parere delle commissioni di cui agli articoli 15 e 16 nell'osservanza dei criteri previsti agli articoli 11 e 12, previo il nullaosta della Giunta regionale per le autorizzazioni di cui agli articoli 26 e 27 della presente legge.";

 

nonché il decreto-legge 1° ottobre 1982, n. 697, recante "Disposizioni in materia di imposta sul valore aggiunto, di regime fiscale delle manifestazioni sportive e cinematografiche e di riordinamento della distribuzione commerciale", convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 1982, n. 887, limitatamente a: articolo 8, comma 1, nel testo sostituito dall'art. 1 del decreto-legge 26 gennaio 1987, n. 9, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 marzo 1987, n. 121: "Limitatamente ai comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti sprovvisti del piano di sviluppo e di adeguamento della rete di vendita il consiglio comunale stabilisce ai sensi degli articoli 11 e seguenti della legge 11 giugno 1971, n. 426, i criteri ai quali la commissione comunale per il commercio prevista da tale legge deve attenersi nell'esaminare le domande di autorizzazione ai sensi dell'articolo 43, secondo comma, della legge stessa. I criteri sono validi sino all'approvazione del piano. La mancata indicazione dei criteri suddetti comporta la sospensione del rilascio delle autorizzazioni relative all'apertura di esercizi di vendita al dettaglio di generi di largo e generale consumo. "?".

 

5.- In data 3 gennaio 1995, i presentatori e promotori del referendum, avvalendosi della facolt prevista dall'art. 33 della legge n. 352 del 1970, hanno depositato una memoria nella quale, esaminati i diversi principi affermati da questa Corte in materia di referendum abrogativo, si conclude nel senso della ammissibilità dell'iniziativa in esame.

 

6.- Nella camera di consiglio del 9 gennaio 1995 è stato udito in qualità di difensore dei promotori l'avvocato Beniamino Caravita di Toritto, che ha insistito per l'ammissibilità della richiesta di referendum.

 

Considerato in diritto

 

1.- Questa Corte deve accertare la sussistenza dei requisiti di ammissibilità della richiesta di referendum abrogativo oggetto di esame. A tal fine deve stabilire se ricorrano i limiti espressamente previsti dall'art. 75, secondo comma, della Costituzione o comunque impliciti nell'ordinamento costituzionale, relativi alle normative non suscettibili di consultazioni referendarie abrogative, ed accertare altresì se la struttura del quesito proposto risponda alle esigenze di chiarezza, univocità ed omogeneità, quali definite dalla consolidata giurisprudenza costituzionale in tema di ammissibilità delle richieste referendarie.

 

2.- Oggetto di esame è la richiesta di abrogazione parziale della legge 11 giugno 1971, n. 426, recante "Disciplina del commercio", e precisamente di una serie di disposizioni - contenute nei capi secondo e terzo di detta legge; più l'art. 43, secondo comma, che è norma di carattere transitorio collegata alle prime - le quali delineano il sistema della pianificazione commerciale affidato ai Comuni, sistema incentrato sull'adozione da parte dei consigli comunali dello strumento del piano di sviluppo e di adeguamento della rete di vendita (artt. 11 e 12 della legge), cui devono conformarsi le autorizzazioni amministrative rilasciate dell'autorità comunale per l'apertura, il trasferimento e l'ampliamento degli esercizi di vendita (art. 24 della legge).

 

Il quesito riguarda altresì, nella formulazione definitiva quale risultante dalle integrazioni e precisazioni apportate dall'Ufficio centrale per il referendum con le ordinanze del 30 novembre e del 20 dicembre 1994, l'articolo 8, comma 1, del decreto-legge 1° ottobre 1982, n. 697 (Disposizioni in materia di imposta sul valore aggiunto, di regime fiscale delle manifestazioni sportive e cinematografiche e di riordinamento della distribuzione commerciale), convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 1982, n. 887 (nel testo sostituito dall'art. 1 del decreto-legge n. 9 del 1987 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 121 del 1987, come puntualizzato dall'Ufficio centrale). Questa disposizione riguarda la determinazione dei criteri finalizzati al rilascio delle autorizzazioni commerciali nei Comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti, che siano sprovvisti dello strumento del piano di sviluppo e adeguamento della rete commerciale, in collegamento espresso con la disposizione transitoria dell'art. 43, secondo comma, della legge n. 426 del 1971 inclusa, come si è detto, nella richiesta.

 

3.- Il quesito è ammissibile sotto tutti i profili.

 

Esso, infatti, non riguarda materie che espressamente non sono ammesse alla votazione popolare secondo l'indicazione testuale dell'art. 75, secondo comma, della Costituzione, né materie che implicitamente sono escluse dal referendum abrogativo secondo l'interpretazione logico-sistematica della medesima disposizione costituzionale, quale pi volte precisata dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. in particolare la sent. n. 16 del 1978). E' di tutta evidenza che la normativa in argomento non rientra nelle ipotesi riguardanti le leggi tributarie, di bilancio, di amnistia e indulto e di autorizzazione a ratificare trattati internazionali; n

 

la proposta di referendum ha per oggetto norme strettamente collegate a quelle espressamente escluse, o dotate di una forza passiva peculiare o, infine, disposizioni legislative a contenuto costituzionalmente vincolato.

 

4.- Sussistono altresì i requisiti di chiarezza, univocità e omogeneità del quesito.

 

Le disposizioni interessate dall'iniziativa referendaria, considerate nella loro struttura e nella loro finalità, contengono, obiettivamente, quel comune principio unitario la cui eliminazione o permanenza dipende dalla risposta che il corpo elettorale fornirà al quesito; l'alternativa sottesa ad esso è individuabile, con sufficiente chiarezza, nella scelta circa la prefigurazione o meno di criteri regolatori dell'equilibrio tra domanda e offerta dei servizi commerciali, in funzione degli obiettivi indicati in termini generali negli articoli 11 e 12 della legge n. 426 del 1971, attraverso strumenti di piano o - in difetto di questi - attraverso l'equipollente predeterminazione di criteri normativi e direttivi cui attenersi in sede di rilascio delle singole autorizzazioni commerciali.

 

5.- Neppure rileva nel senso della inammissibilità della richiesta referendaria la mancata inclusione, in essa, di altre norme regolatrici del settore commerciale, quali quelle contenute nelle leggi che disciplinano il commercio su aree pubbliche (legge 28 marzo 1991, n. 112) o nei pubblici esercizi (legge 25 agosto 1991, n. 278), e che prevedono anche per questi comparti procedure di pianificazione e conformazione del conseguente atto autorizzativo all'esercizio commerciale. Queste normative coinvolgono, infatti, interessi pubblici diversi ed ulteriori rispetto a quello della disciplina della distribuzione, quali l'utilizzazione di aree pubbliche, la tutela igienico-sanitaria, l'ordine e la sicurezza pubblica. La permanenza di dette discipline, tradizionalmente distinte da quella concernente l'attività commerciale in generale, non può dunque ritenersi in sè incoerente e contraddittoria con l'abrogazione delle norme oggetto del referendum (cfr. sent. n. 36 del 1993; n. 27 e n. 29 del 1981), neppure avuto riguardo alla specifica previsione di "adeguato equilibrio" tra densità della rete commerciale su aree pubbliche e "installazioni commerciali a posto fisso e altre forme di distribuzione in uso" (art. 3, comma 4, della legge n. 112 del 1991 citata): una previsione, questa, che non implica necessariamente la pianificazione del settore commerciale dalla stessa non regolato e cui genericamente essa fa richiamo.

 

6.- Analoghe considerazioni possono farsi in relazione ad altre norme che si ricollegano, sul piano degli effetti pratici, a quelle oggetto del quesito e che sono costituite: a) dalla disciplina del credito agevolato al commercio (legge 10 ottobre 1975, n. 517); b) dalla previsione contenuta nell'art. 4, comma 1, del decreto-legge 9 dicembre 1986, n. 832 (titolato "Misure urgenti in materia di contratti di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione"), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 febbraio 1987, n. 15.

 

Quanto alla prima normativa, l'eventuale esito positivo dell'iniziativa referendaria ne determina in modo automatico l'inoperatività per la parte in cui essa collega la concessione del credito agevolato alle finalità della pianificazione commerciale ivi richiamata (art. 1 e art. 6, quinto comma, punto 4, della legge n. 517 del 1975). Quanto alla seconda, va rilevato che essa consente alle autorità comunali di prefigurare ipotesi di incompatibilità tra insediamenti commerciali e zone di particolare interesse locale in funzione di interessi ambientali e storici; il che spiega l'esclusione di detta peculiare normativa - che pone un limite esterno alla libertà di commercio, con connotati di pianificazione - dall'ambito dell'iniziativa referendaria.

 

7.- Per tutte le ragioni svolte risulta chiaro che l'iniziativa referendaria incide esclusivamente sul momento della pianificazione commerciale e non è contraddittoria con la disciplina - contenuta nello stesso testo di legge e non toccata dal quesito referendario - relativa al potere del sindaco di autorizzare l'esercizio dell'attività commerciale, che può continuare a permanere in via autonoma, anche in assenza di poteri pianificatori, qualora il referendum avesse esito positivo.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara ammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione della legge 11 giugno 1971, n. 426, recante "Disciplina del commercio" e successive modificazioni e integrazioni, limitatamente alle seguenti parti:

 

articolo 11; articolo 12; articolo 14; articolo 15; articolo 16; articolo 18, limitatamente al comma 2: "Qualora le commissioni di cui agli articoli 15 e 16 non siano nominate entro i termini previsti, il Presidente della Giunta regionale invita a provvedere entro un termine da lui fissato non superiore a sessanta giorni. Trascorso tale termine senza che la nomina sia avvenuta, il Presidente della Giunta regionale provvede con proprio decreto, tenuto conto delle designazioni effettuate."; articolo 20; articolo 21; articolo 22; articolo 23; articolo 24, comma 2, limitatamente alle parole: "con la osservanza dei criteri stabiliti dal piano" nonché alle parole: "e quindi l'equilibrio commerciale previsto dal piano" e comma 3, limitatamente alle parole: "del piano e"; articolo 27, comma 2: "Il nullaosta della Giunta regionale di cui al precedente ed al presente articolo può essere concesso anche in deroga a quanto disposto dal secondo comma dell'articolo 12."; articolo 30; articolo 43, comma 2: "Fino a quando non siano approvati i piani di sviluppo e di adeguamento della rete distributiva, le autorizzazioni saranno rilasciate dai sindaci su conforme parere delle commissioni di cui agli articoli 15 e 16 nell'osservanza dei criteri previsti agli articoli 11 e 12, previo il nullaosta della Giunta regionale per le autorizzazioni di cui agli articoli 26 e 27 della presente legge.";

 

nonché del decreto-legge 1° ottobre 1982, n. 697, recante "Disposizioni in materia di imposta sul valore aggiunto, di regime fiscale delle manifestazioni sportive e cinematografiche e di riordinamento della distribuzione commerciale", convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 1982, n. 887, limitatamente a: articolo 8, comma 1, nel testo sostituito dall'art. 1 del decreto-legge 26 gennaio 1987, n. 9, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 marzo 1987, n. 121: "Limitatamente ai comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti sprovvisti del piano di sviluppo e di adeguamento della rete di vendita il consiglio comunale stabilisce ai sensi degli articoli 11 e seguenti della legge 11 giugno 1971, n. 426, i criteri ai quali la commissione comunale per il commercio prevista da tale legge deve attenersi nell'esaminare le domande di autorizzazione ai sensi dell'articolo 43, secondo comma, della legge stessa. I criteri sono validi sino all'approvazione del piano. La mancata indicazione dei criteri suddetti comporta la sospensione del rilascio delle autorizzazioni relative all'apertura di esercizi di vendita al dettaglio di generi di largo e generale consumo.";

 

richiesta dichiarata legittima, con ordinanze del 30 novembre 1994 e del 20 dicembre 1994, dall'Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di cassazione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’11/01/95.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Vincenzo CAIANIELLO, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 12 gennaio 1995.