Sentenza n. 338 del 1994

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SENTENZA N. 338

ANNO 1994

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA Presidente

Prof. Gabriele PESCATORE

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

Avv. Massimo VARI

Dott. Cesare RUPERTO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 3, 6, terzo e quinto comma, 7, primo e settimo comma e 8 del decreto legislativo 30 giugno 1993, n. 269 (Riordinamento degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, a norma dell'art. 1, comma 1, lettera h, della legge 23 ottobre 1992, n. 421), promossi con ricorsi delle Regioni Emilia-Romagna e Lombardia, notificati il 2 ed il 1° settembre 1993, depositati in cancelleria il 9 e l'11 settembre successivi ed iscritti ai nn. 46 e 51 del registro ricorsi 1993.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 22 marzo 1994 il Giudice relatore Cesare Mirabelli;

uditi gli avvocati Giandomenico Falcon per la Regione Emilia-Romagna e Valerio Onida per la Regione Lombardia e l'avvocato dello Stato Pier Giorgio Ferri per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

 

1. Con due distinti ricorsi le Regioni Emilia-Romagna e Lombardia hanno promosso questioni di legittimità costituzionale in via principale di alcune disposizioni del decreto legislativo 30 giugno 1993, n. 269 (Riordinamento degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, a norma dell'art. 1, comma 1, lettera h, della legge 23 ottobre 1992, n. 421), impugnando, in particolare, la Regione Emilia-Romagna gli artt. 1, terzo comma; 2, primo, secondo e terzo comma;3, secondo comma; 6, terzo e quinto comma; 7, primo e settimo comma;8, primo comma; la Regione Lombardia gli artt. 1, 2, 3, 6, quinto comma; 7, settimo comma; 8; evocando come parametro, entrambe, gli artt. 76, 117 e 118 della Costituzione ed assumendo la Regione Emilia-Romagna il contrasto anche con l'art. 119 della Costituzione.

Ad avviso delle ricorrenti, il decreto legislativo n. 269 del 1993 si discosta dalla finalità della legge delega (legge n.421 del 1992), il cui scopo consisteva nel "rendere piene ed effettive le funzioni che vengono trasferite alle regioni" (art. 1, primo comma, lettera h), e realizza invece un processo di accentramento e di sottrazione alle regioni di potestà ad esse spettanti, già trasferite, in materia di istituti di ricovero e cura a carattere scientifico. Il risultato complessivo della disciplina sarebbe quello di trasformare in organismi di pertinenza esclusivamente statale istituti che pure hanno, accanto a finalità di ricerca nel campo biomedico, altrettanto essenziali finalità di erogazione di prestazioni di ricovero e cura nell'ambito del Servizio sanitario, venendo a tale scopo finanziati dalle regioni.

Per quanto riguarda gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, la ripartizione delle competenze tra Stato e regioni, in attuazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione, è stata stabilita, per la prima volta, dall'art. 28 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, il quale ha posto tre principi fondamentali: il riconoscimento degli istituti viene "effettuato dallo Stato sentite le regioni interessate" (primo comma); spettano alle regioni le stesse funzioni che esse esercitano per la parte assistenziale nei confronti degli enti ospedalieri o nei confronti delle case di cura private, a seconda che si tratti di istituti pubblici o privati (secondo comma); il controllo sulle deliberazioni degli istituti con personalità giuridica di diritto pubblico è esercitato dalla regione nel cui territorio l'istituto ha sede (terzo comma). Questi principi sono stati ripresi e confermati dalla legge di riforma sanitaria (legge 23 dicembre 1978, n.833), che ha aggiunto alcune disposizioni riguardanti i rapporti con il Servizio sanitario nazionale.

Le ricorrenti sostengono che la delega data al Governo dal legislatore di disporre il "riordino" degli istituti non comporta il potere di modificare nella sostanza questo quadro di regolazione dei rapporti tra Stato e regioni. La ripartizione di attribuzioni tra Stato e regioni operata con legge ordinaria in attuazione della Costituzione non è intangibile, ma il legislatore delegato non può restringere le attribuzioni regionali, quando la delega nulla preveda in tal senso.

In particolare, la Regione Lombardia sottolinea che l'art. 1, primo comma, del decreto legislativo n. 269 del 1993, nel definire la natura e le finalità degli istituti, adotta una significativa inversione di termini: non più istituti che "insieme a prestazioni sanitarie di ricovero e cura svolgono attività di ricerca scientifica biomedica" (art. 42, primo comma, della legge n.833 del 1978), bensì enti che "perseguono finalità di ricerca nel campo biomedico ed in quello della organizzazione e gestione dei servizi sanitari, insieme con prestazioni di ricovero e cura". Le finalità degli istituti, estese alla ricerca nel campo della organizzazione e gestione dei servizi sanitari, sarebbero la premessa per un'ingerenza degli organi dello Stato nello svolgimento delle attività assistenziali rese dagli istituti.

Lo stesso rilievo varrebbe, secondo entrambe le ricorrenti, per il terzo comma del medesimo art. 1, per il quale "le strutture ed i presìdi ospedalieri degli istituti sono qualificati ospedali di rilievo nazionale e di alta specializzazione e assoggettati alla disciplina per questi prevista, compatibilmente con le finalità peculiari di ciascun istituto". La parificazione di diritto dei presìdi ospedalieri degli istituti a carattere scientifico agli ospedali di rilievo nazionale e di alta specializzazione inciderebbe sulla programmazione regionale della sanità e sull'impiego dei fondi che la regione destina al servizio sanitario, vincolandola ad utilizzare e finanziare istituti sul cui riconoscimento e sulla cui organizzazione e gestione non ha possibilità di influenza. Inoltre non sarebbe conforme ai criteri fissati, in attuazione dell'art. 1, primo comma, lettera n), della legge n. 421 del 1992, dall'art. 4, secondo comma, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (ove si specificano i requisiti degli ospedali di rilievo nazionale e di alta specializzazione).

La sottrazione di poteri alle regioni emergerebbe, secondo entrambe le ricorrenti, considerando le competenze disciplinate dal decreto legislativo in tema di riconoscimento del carattere scientifico degli istituti in questione. Nella precedente disciplina ciascuna regione interessata era necessariamente sentita. Nella nuova disciplina, invece, sulla definizione dei criteri e sui singoli provvedimenti viene sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato e le regioni. Tale parere non può essere ritenuto equivalente o sostitutivo di quello della regione interessata, in quanto gli istituti assumono veste di enti gestori di presìdi di ricovero e cura del Servizio sanitario nazionale e sono finanziati dalla regione stessa.

Entrambe le Regioni censurano inoltre la previsione dell'affidamento, che ritengono esclusivo, della funzione di controllo sull'attività degli istituti al Ministro della sanità, senza alcuna distinzione del tipo di attività, e la disciplina, mediante regolamento emanato con decreto del Presidente della Repubblica, degli atti degli istituti sottoposti a controllo e del relativo procedimento (art. 2, primo comma, lettera c, e terzo comma, lettera d), ritenendole in contrasto con gli artt. 117 e 118 della Costituzione.

Alle regioni sarebbe sottratta ogni possibilità di concreta influenza su un comparto assai rilevante dell'attività di assistenza sanitaria svolta nel proprio territorio. La Regione Emilia- Romagna prospetta la censura anche in riferimento all'art.119 della Costituzione, ravvisando la lesione nel fatto che le strutture assistenziali degli istituti sono di per sè, anche ai fini del finanziamento, parte del Servizio sanitario, senza che a questo corrisponda l'esistenza del necessario raccordo con la programmazione regionale.

Le ricorrenti si dolgono inoltre che l'art. 2, terzo comma, del decreto legislativo n. 269 del 1993 rinvii ad un regolamento statale - sentita la Conferenza la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome - la disciplina di ulteriori aspetti fondamentali degli istituti, quali i criteri per il riconoscimento, la definizione delle strutture e attrezzature destinate all'attività di ricerca biomedica, le procedure per il riconoscimento e la revoca di esso, i criteri per l'adeguamento degli statuti, le procedure per lo svolgimento di ricerche finalizzate ed a pagamento.

L'interesse della regione, già tutelato dalla legge, sarebbe rimesso ad un regolamento governativo, senza che siano prefissati adeguati criteri direttivi.

Per le stesse ragioni sarebbero illegittimi gli artt. 3 e 8 del decreto legislativo n. 269 del 1993, che cancellano la garanzia legislativa della presenza di rappresentanti regionali nell'organo di amministrazione degli istituti.

Infatti, il secondo comma dell'art. 3 demanda ad un regolamento governativo - sentita la Conferenza permanente per i rapporti Stato-regioni, senza la previsione di principi o direttive - la disciplina delle modalità di nomina, composizione, durata, attribuzioni e funzionamento degli organi degli istituti, nonchè delle modalità di nomina del direttore scientifico e delle relative attribuzioni. A sua volta l'art. 8 del decreto legislativo in questione abroga tutte le disposizioni incompatibili, fra cui, espressamente, le norme della legge n. 833 del 1978 (art. 42, settimo, ottavo, nono e decimo comma) e del d.P.R. n. 617 del 1980, che prevedevano, tra l'altro, la competenza della regione per la parte assistenziale e una partecipazione della stessa alla gestione degli istituti.

Altra disposizione che le ricorrenti censurano è l'art. 6, terzo e quinto comma, del decreto legislativo, a termini del quale l'attività di assistenza sanitaria svolta dagli istituti è finanziata dalla regione competente per territorio, sulla base delle disposizioni sugli ospedali di rilievo nazionale e di alta specialità di cui al decreto legislativo n. 502 del 1992. Tale modalità di finanziamento comporta che la regione sarebbe tenuta a destinare una quota del fondo sanitario alla copertura parziale delle spese di gestione dell'istituto, determinata in una percentuale "dei costi complessivi delle prestazioni che l'azienda è nelle condizioni di erogare, rilevabile sulla base della contabilità". In questo modo la regione dovrebbe finanziare a bilancio, e non in rapporto alle prestazioni rese, le strutture e la gestione di presìdi pubblici e privati sui quali non può esercitare alcuna potestà di programmazione e di controllo.

Una lesione dell'autonomia regionale è infine ravvisata nell'art.7, settimo comma, del decreto legislativo n. 269 del 1993, laddove si stabilisce che l'intesa della Conferenza Stato-regioni, richiesta dal primo comma dello stesso articolo per la revisione dei riconoscimenti già attribuiti, deve intervenire entro sessanta giorni dalla ricezione della richiesta, e che, decorso tale termine, "i provvedimenti relativi sono, comunque, adottati", senza alcuna garanzia procedimentale. Manca, come sarebbe invece necessario per non consegnare ogni potere di decisione allo Stato, un meccanismo sostitutivo della mancata intesa, secondo il principio di leale collaborazione, con oneri procedurali e di motivazione o apposite sedi di composizione del conflitto.

La Regione Emilia-Romagna prospetta l'illegittimità della disposizione anche in relazione al parere, e non solo all'intesa. Esso è infatti emesso dalla Conferenza Stato- regioni, presieduta e convocata da un organo dello Stato (il Presidente del Consiglio dei ministri, secondo la disciplina dell'art. 12 della legge n.400 del 1988), sicchè sarebbe incongruo far derivare un potere statale da un'inerzia che può dipendere in pratica soltanto dalla corrispondente omissione di un organo statale.

2.- In entrambi i giudizi si è costituito, con atti di identico contenuto, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la non fondatezza delle questioni.

L'Avvocatura premette che il criterio direttivo contenuto nell'art. 1, primo comma, lettera h), della legge n. 421 del 1992, nel senso di rendere piene ed effettive le funzioni trasferite alle regioni, appare specificamente indirizzato alle norme di riordinamento del Ministero della sanità. In ogni caso la direttiva formulata pone al legislatore delegato un obiettivo di rafforzamento della funzione regionale in materia sanitaria che non attiene alla latitudine delle competenze, bensì alla efficacia e alla incisività con cui esse sono esercitate.

L'Avvocatura esclude che il decreto legislativo abbia alterato l'assetto preesistente, sottraendo o attenuando competenze regionali.

In particolare già l'art. 4, ottavo comma, della legge n. 412 del 1991, giudicato costituzionalmente legittimo (sentenza n. 356 del 1992), aveva soppresso il controllo del comitato regionale di controllo sugli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico.

Il rapporto di strumentalità, ravvisato dalla Corte, tra attività di assistenza e attività di ricerca costituirebbe una risposta alle singole censure mosse nei confronti del decreto legislativo in questione.

La qualificazione degli istituti come ospedali di rilievo nazionale rappresenterebbe un ragionevole allineamento della componente assistenziale a quella scientifica.

Così pure non sarebbero lesivi delle competenze regionali le modalità di finanziamento degli istituti e, più in generale, l'intervento nel procedimento della Conferenza Stato-regioni in luogo della singola regione interessata, in quanto il riconoscimento del carattere scientifico non potrebbe non fondarsi su giudizi obiettivi ancorati a criteri generali.

Richiamando la sentenza di questa Corte n. 355 del 1993, l'Avvocatura conclude osservando che l'intreccio di competenze relative all'assistenza ed alla ricerca comporta la collaborazione fra Stato e Regione e giustifica la prevalenza degli interessi unitari relativi alla ricerca basata sull'assistenza sanitaria.

3.- In prossimità dell'udienza la Regione Lombardia ha depositato una memoria, nella quale anzitutto replica al rilievo dell'Avvocatura, secondo cui l'obiettivo di "rendere piene ed effettive le funzioni che vengono trasferite alle regioni" non sarebbe riferibile al riordinamento degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico. Se questa fosse l'interpretazione dell'art.1, primo comma, lettera h), della legge n. 421 del 1992, per la ricorrente se ne dovrebbe trarre la conclusione che il riordinamento di detti istituti ha costituito l'oggetto di una delega priva di criteri e quindi contrastante con l'art. 76 della Costituzione.

L'asserito carattere strumentale dell'attività di assistenza sanitaria rispetto all'attività di ricerca non potrebbe giustificare, ad avviso della Regione, una modifica dell'assetto preesistente nel senso della sottrazione o attenuazione di competenze regionali. Vi ostano, da un lato, la circostanza che l'attività di assistenza sanitaria (di ricovero e cura) è rivolta al fine primario di promuovere e garantire la salute delle persone; dall'altro, il rilievo che gli istituti svolgono attività assistenziale ed operano perciò nel campo specificamente appartenente alla competenza della regione, tant'è che tale loro attività è finanziata dalla regione medesima con le risorse, proprie e trasferite, destinate al finanziamento dei servizi sanitari.

La Regione osserva inoltre che la qualificazione di diritto dei presìdi degli istituti scientifici come ospedali di rilievo nazionale e di alta specializzazione non può essere giustificata sulla base della considerazione che si tratterebbe di un "ragionevole allineamento della componente assistenziale a quella scientifica"; e ciò in quanto un istituto potrebbe compiere un'attività di ricerca anche molto sofisticata e di pregio, in settori delle discipline biomediche, senza per questo svolgere quelle attività assistenziali di elevata specializzazione che unicamente rendono legittima la qualifica di ospedale di rilievo nazionale.

Richiamata la sentenza n. 355 del 1993 di questa Corte, la ricorrente sottolinea che l'automatica attribuzione di questa qualifica ai presìdi degli istituti scientifici manifesta un profilo, oltre che di incongruità e di indiretta riduzione delle potestà esercitabili dalla regione, altresì di violazione del criterio della delega (art. 1, primo comma, lettera n, della legge n.421 del 1992), e dunque dell'art. 76 della Costituzione.

La Regione esclude che il riferimento alla Conferenza, anzichè alla singola regione interessata, serva a conciliare, come invece sostiene l'Avvocatura, l'esigenza di rappresentanza dell'istanza regionale con quella della uniformità delle valutazioni.

Non sarebbe giustificata la sostituzione della regione interessata (già competente secondo gli artt. 28, primo comma, del d.P.R. n.616 del 1977 e 42, secondo comma, della legge n. 833 del 1978) con un organismo nazionale, di per sè inidoneo a compiere valutazioni su singole proposte di riconoscimento degli istituti.

Considerato in diritto

 

1.- Le Regioni Emilia-Romagna e Lombardia contestano la legittimità costituzionale delle norme di riordinamento degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, dettate con il decreto legislativo 30 giugno 1993, n. 269, in forza della delega concessa al Governo per la razionalizzazione e la revisione della disciplina in materia, tra le altre, di sanità (legge 23 ottobre 1992, n. 421).

Le ricorrenti sostengono che, a fronte di una delega diretta a rendere piene ed effettive le funzioni trasferite alle regioni, in realtà è stato diminuito il grado di regionalizzazione degli istituti in questione ed è stato attuato un accentramento di funzioni, che implica la sottrazione di competenze in precedenza trasferite. Ne risulterebbe il contrasto con gli artt. 76, 117, 118 e 119 della Costituzione.

Le Regioni denunciano in particolare le seguenti disposizioni del decreto legislativo n. 269 del 1993:

a) l'art. 1, primo comma, che, nel definire la natura degli istituti, comprende tra le loro finalità, unitamente alle prestazioni di ricovero e cura, la ricerca non solo nel campo biomedico, come era in precedenza, ma anche in quello dell'organizzazione e gestione dei servizi sanitari, estendendo quindi l'ambito di attività di tali enti;

b) l'art. 1, terzo comma, che qualifica le strutture ed i presìdi degli istituti come ospedali di rilievo nazionale e di alta specializzazione, indipendentemente dalla verifica caso per caso dei requisiti previsti per attribuire la stessa qualifica ai presìdi ospedalieri. Ne segue che la regione sarebbe vincolata a finanziare istituti sul cui riconoscimento, organizzazione e gestione, non ha alcuna influenza;

c) l'art. 2, che attribuisce al Ministro della sanità la competenza a riconoscere il carattere scientifico degli istituti, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome, ma non la regione interessata (primo comma, lettera a, e secondo comma). Lo stesso art. 2 prevede che l'attività di controllo sugli istituti è esercitata dal Ministero della sanità (primo comma, lettera c), senza mantenere, per le attività assistenziali, le competenze della regione, in precedenza indicate dall'art. 42 della legge n. 833 del 1978.

É censurato inoltre il terzo comma dello stesso art. 2, nella parte in cui rinvia ad un regolamento statale, da adottare sentita la Conferenza Stato-regioni, per aspetti fondamentali della disciplina degli istituti;

d) gli artt. 3 e 8, che cancellano la garanzia legislativa della presenza di rappresentanti regionali negli istituti, rinviando ad un regola mento, sentita la Conferenza Stato- regioni, per la disciplina della composizione e nomina degli organi di amministrazione e controllo, abrogando le disposizioni incompatibili, fra cui, espressamente, le norme della legge n. 833 del 1978 (art. 42, settimo, ottavo, nono e decimo comma) e del d.P.R. n. 617 del 1980;

e) l'art. 6, terzo e quinto comma, che dispone il finanziamento regionale dell'attività di assistenza svolta dagli istituti, secondo le disposizioni sugli ospedali di rilievo nazionale e di alta specialità;

f) l'art. 7, settimo comma, che nel porre un termine quando è previsto che la Conferenza Stato-regioni esprima un parere o un'intesa, come quella richiesta dal primo comma della stessa disposizione per la revisione dei riconoscimenti già attribuiti, consente che, decorso il termine di sessanta giorni, i provvedimenti siano comunque adottati dal Governo, senza altre garanzie procedimentali per le regioni.

2.- I due ricorsi hanno ad oggetto le stesse disposizioni legislative e prospettano, con argomentazioni in larga misura coincidenti, comuni profili di illegittimità costituzionale. I giudizi vanno pertanto riuniti per essere decisi con unica sentenza.

3.- Le diverse questioni si aggregano attorno ad alcuni nuclei essenziali, che toccano la disciplina degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico in aspetti che riguardano il momento genetico, la struttura e la funzione.

Questi istituti sono enti per i quali la peculiarità di disciplina è risalente nel tempo ed è stata mantenuta, con i necessari adeguamenti, anche dopo il trasferimento alle regioni a statuto ordinario e la delega di funzioni amministrative statali in materia di assistenza sanitaria ed ospedaliera (artt. 6 del d.P.R. 14 gennaio 1972, n. 4 e 28 del d.P.R. 24 luglio 1977, n.616).

L'istituzione del Servizio sanitario nazionale ha conservato, per gli istituti che "insieme a prestazioni sanitarie di ricovero e cura svolgono specifiche attività di ricerca scientifica biomedica", una disciplina particolare (art. 42 della legge n. 833 del 1978): il riconoscimento è riservato al Ministero della sanità, sentite le regioni interessate; per la parte assistenziale gli istituti sono considerati presìdi ospedalieri multizonali; coesistono funzioni regionali, per la parte assistenziale, e statali per il regime giuridico amministrativo, con una distinzione che si proietta sul sistema dei controlli. Su questa base, in forza della delega attribuita al Governo dall'art. 42, settimo comma, del d.P.R.n. 616 del 1977, sono stati poi delineati l'ordinamento ed il sistema di controlli e di finanziamento (d.P.R.n. 617 del 1980).

Dal complesso della disciplina che li riguarda risulta la caratteristica peculiare degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, quali enti che svolgono preminenti attività di studio e ricerca nel settore sanitario, rispetto alle quali assume carattere strumentale l'attività di assistenza sanitaria (sentenza n. 356 del 1992). L'ineliminabile duplicità di funzioni, che in concreto spesso si intrecciano ed in ordine alle quali si possono esprimere competenze diverse, ha determinato la coesistenza di distinte e complementari attribuzioni, dello Stato e delle regioni, anche in rapporto alla duplice fonte di finanziamento degli istituti per le loro attività di ricerca e di assistenza.

4.- La prima delle questioni prospettate coinvolge le stesse finalità degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, che sono estese sino a comprendere la ricerca non solo nel campo biomedico, secondo la definizione che di essi ha dato l'art. 42 della legge n. 833 del 1978, ma anche nel settore dell'organizzazione e gestione dei servizi sanitari. Inoltre è contestata la legittimità della qualificazione, immediatamente operata dalla legge, delle strutture e dei presìdi ospedalieri degli istituti stessi come ospedali di rilievo nazionale e di alta specializzazione (art. 1, primo e terzo comma, del decreto legislativo n. 269 del 1993).

Le censure non sono fondate.

Quanto alla prima di esse, i principi della delega al Governo in materia di sanità devono essere ricavati dall'intero testo normativo. L'art. 1 della legge n. 421 del 1992 enuncia tra le proprie finalità, tra l'altro, l'ottimale e razionale utilizzazione delle risorse e la migliore efficienza del servizio sanitario (sentenza n. 124 del 1994); il riordinamento si espande quindi, in via generale, allo studio ed all'applicazione di nuovi modelli organizzativi.

Anche se ci si colloca nel più ristretto versante della ricerca nel settore sanitario, è da rilevare come essa non si esaurisca nell'attività di laboratorio e di diagnosi e terapia. Lo studio di modelli di organizzazione e di gestione viene a costituire un elemento strettamente connesso alla ricerca biomedica, giacchè consente l'elaborazione e la verifica di protocolli di diagnosi e cura che richiedono attività coordinate e complesse, la cui fattibilità in rapporto ai profili organizzativi è necessario valutare, per apprezzare la possibilità di un'effettiva diffusione applicativa della ricerca, elaborando i relativi modelli di prescrizione.

Per quanto concerne la qualifica di ospedali di rilievo nazionale e di alta specializzazione, attribuita alle strutture ed ai presìdi ospedalieri degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, si tratta di una classificazione coerente con le caratteristiche proprie degli istituti e con il complessivo riordinamento della materia sanitaria disposto in attuazione della delega concessa dalla legge n. 421 del 1992.

In precedenza gli istituti, pur mantenendo la propria caratterizzazione ed autonomia, per la parte assistenziale erano considerati presìdi ospedalieri multizonali, come tali direttamente classificati non dalla legge regionale nell'ambito della programmazione sanitaria (come invece gli altri presìdi ai quali veniva attribuita la stessa qualifica), ma in base alla legge statale per il solo fatto del riconoscimento (artt. 18 e 42, terzo comma, della legge n. 833 del 1978).

Il decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 ha modificato lo schema organizzativo dei servizi sanitari, ora articolati in "azienda" unità sanitaria locale, ed in distinte "aziende" ospedaliere, costituite dagli ospedali di rilievo nazionale e di alta specializzazione. Questi assumono personalità giuridica e piena autonomia. Nel mutato contesto normativo gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico trovano razionale collocazione, per la parte assistenziale, in quest'ultima nuova figura, meglio assimilabile a quella in precedenza rivestita, adeguata alle peculiarità degli istituti, in coerenza con l'autonomia e la personalità giuridica ad essi propria. Queste caratteristiche consentono anche di escludere che la loro qualificazione come ospedali di rilevo nazionale, sulla base di criteri prefissati, ed il loro riconoscimento che avviene, come si vedrà, con la dovuta partecipazione delle regioni, possano rappresentare una rottura del "sistema chiuso" delineato dalla legge delega n. 421 del 1992 per limitare lo scorporo dalle unità sanitarie locali degli ospedali da costituire in aziende (v. sentenza n. 355 del 1993).

5.- Un nucleo di questioni proposte dalle Regioni ricorrenti riguarda lo stesso riconoscimento degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico.

Mantenuta la competenza del Ministro della sanità (art. 2, primo comma, lettera a), il procedimento di riconoscimento prevede che sia sentita la Conferenza Stato-regioni (art.2, secondo comma), il cui parere deve essere raccolto in via generale anche per l'adozione di un regolamento che indichi i criteri e le procedure per il riconoscimento.

Non è quindi più richiesto il parere delle regioni direttamente interessate, che era invece necessario per l'art. 42, secondo comma, della legge n. 833 del 1978.

Il parere della Conferenza Stato- regioni sui criteri per il riconoscimento - criteri che considerano la definizione delle strutture e delle attrezzature di ricerca richieste, l'organizzazione e gestione dei servizi sanitari, l'attività di ricerca e di assistenza svolte - è diverso dal parere che la stessa Conferenza è chiamata ad esprimere su ogni singolo riconoscimento. Ma anche se relative a ciascun atto di riconoscimento, le valutazioni della Conferenza non possono assorbire nè sostituire quelle della regione interessata. La distinzione tra pareri delle singole regioni e parere della Conferenza Stato-regioni risulta, del resto, con evidenza dalla stessa disciplina delle funzioni della Conferenza. Nel caso in cui le regioni siano chiamate ad esprimere pareri nell'ambito di un procedimento statale che interessi le loro competenze, tali pareri sono resi dai presidenti delle regioni nell'ambito della Conferenza (art.6, sesto comma, del decreto legislativo 16 dicembre 1989, n.418), ma conservano la loro consistenza di autonomo atto del procedimento.

In questo contesto la mancata previsione del parere della regione interessata sottrae una competenza consultiva ad essa in precedenza attribuita senza che ciò sia giustificato dal mutato sistema complessivo, in contrasto, quindi, con i principi della legge di delega. Inoltre permane l'esigenza di partecipazione regionale, attraverso il parere, alla procedura di riconoscimento degli istituti in ragione dell'attività di assistenza, finanziata dalle regioni, che essi svolgono.

6.- Egualmente fondate sono le questioni proposte per le norme concernenti la composizione del consiglio di amministrazione e del collegio dei revisori.

L'art. 3, secondo comma, del decreto legislativo n. 269 del 1993 rimette la disciplina degli organi degli istituti con personalità giuridica di diritto pubblico ad un successivo regolamento, da adottare sentita, tra l'altro, la Conferenza Stato-regioni. É venuta così meno la garanzia della presenza di rappresentanti della regione negli organi collegiali di gestione e di controllo interno. Difatti in precedenza il d.P.R. n. 617 del 1980 includeva nel collego dei revisori e nel consiglio di amministrazione rispettivamente uno e due rappresentanti della regione in cui ha sede l'istituto (artt. 6, primo comma, numero 6, e 8).

L'omissione di analoga previsione nella nuova disciplina legislativa, sia pure in un quadro normativo che legittimamente rimette ad un regola mento aspetti della struttura degli istituti che non toccano competenze regionali, non trova fondamento in alcun esplicito principio della legge di delega nè è resa necessaria dal contesto complessivo del riordinamento del settore. Inoltre anche in questo caso vi è l'esigenza di una partecipazione regionale, tenuto conto dell'attività di assistenza sanitaria svolta dagli istituti.

Le due disposizioni denunciate (artt. 3 e 8) vanno pertanto dichiarate costituzionalmente illegittime nella parte in cui non prevedono, rispettivamente, che siano assicurati in ogni caso due rappresentanti della regione in cui ha sede l'istituto nel consiglio di amministrazione ed uno nel collegio dei revisori.

7.- Le regioni ricorrenti si dolgono che lo Stato possa comunque adottare i provvedimenti indicati nella nuova disciplina degli istituti di ricerca e cura a carattere scientifico, anche quando, richiesto il parere o l'intesa (quest'ultima in particolare prevista per la revisione dei riconoscimenti già attribuiti) con la Conferenza Stato-regioni, tale atto non sia reso entro sessanta giorni dalla ricezione della richiesta. In assenza di altri oneri di procedura o di motivazione, questo equivarrebbe ad attribuire ogni potere di decisione allo Stato, giacchè la Conferenza è organo statale, convocato e presieduto dal Presidente del Consiglio dei ministri.

La censura non è fondata.

Interventi in sostituzione di una mancata intesa o in assenza di un parere richiesto non sono contrari a Costituzione a condizione che il Governo, nell'adottare il provvedimento sul quale non è intercorsa l'intesa nel termine previsto o non è stato espresso il parere, fornisca una adeguata motivazione. Non è necessario che tale obbligo sia previsto specificamente in ogni disposizione che richiede il parere o l'intesa, giacchè esso è connaturato al principio di leale cooperazione al quale si deve ispirare il sistema complessivo dei rapporti tra Stato e regioni (sentenze n. 116 del 1994 e n. 204 del 1993).

Sicchè, anche in assenza di una esplicita e ripetuta previsione, sussiste un dovere di correttezza nella tempestiva convocazione della Conferenza, chiamata ad esprimere il proprio parere o l'intesa, ed un obbligo di motivazione in rapporto alla mancata espressione del parere o dell'intesa anche in relazione al rispetto o meno dei termini previsti.

8.- Infondate sono le questioni di legittimità costituzionale attinenti al regime dei controlli.

Le regioni ricorrenti muovono dal presupposto interpretativo che il decreto legislativo n. 269 del 1993 - stabilendo che compete al Ministero della sanità "l'attività di controllo" (art. 2, primo comma, lettera c) e che con regolamento governativo sono disciplinati gli atti degli istituti sottoposti al controllo e il relativo procedimento (art. 2, terzo comma, lettera d) - abbia escluso ogni controllo regionale per la parte assistenziale, quale era in precedenza previsto dall'art. 42 della legge n. 833 del 1978 e specificato dagli artt. 16 e 19 del d.P.R. n. 617 del 1980.

Queste disposizioni, sulla base della distinzione tra regime giuridico amministrativo, di competenza statale, e attività assistenziale, di competenza regionale, attribuivano alle regioni il controllo sulle deliberazioni degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico di diritto pubblico relative all'assunzione del personale, alla stipulazione di contratti di ricerca, al trattamento economico del personale, alle alienazioni ed agli acquisti immobiliari, alle transazioni. Ma si tratta di controlli già aboliti, o diversamente disciplinati, dall'art.4, ottavo comma, della legge 30 dicembre 1991, n. 412. Con questa disposizione, inserita in un più ampio provvedimento in materia di finanza pubblica, è stato privilegiato il controllo sul bilancio e sulla determinazione complessiva del personale rispetto al controllo sui singoli atti. La stessa disposizione ha anche modificato la ripartizione di competenze, estendendo il controllo dello Stato ai provvedimenti riguardanti i programmi di spesa pluriennali ed alla disciplina ed attribuzione delle convenzioni. La Corte ha già ritenuto questa disposizione costituzionalmente legittima, in quanto "il carattere strumentale dell'attività di assistenza sanitaria svolta da detti istituti, rispetto allo studio e alla ricerca, giustifica, in ragione della rilevata connessione funzionale, la concentrazione nel medesimo organo del controllo su ogni attività" (sentenza n. 356 del 1992).

Rispetto a questo assetto di competenze, le nuove norme dettate dal decreto legislativo n. 269 del 1993 non concentrano nel Ministro tutti i residui compiti di controllo sugli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico sinora devoluti alle regioni, nè sottraggono ad esse ogni possibilità di vigilanza sulle attività di ricovero e cura svolte dagli stessi istituti. Difatti la qualificazione delle strutture e dei presìdi ospedalieri degli istituti come ospedali di rilievo nazionale e di alta specializzazione fa sì che essi siano "assoggettati alla disciplina per questi prevista, compatibilmente con le finalità peculiari di ciascun istituto" (art. 1, terzo comma, del decreto legislativo n. 269 del 1993).

Per la parte assistenziale operano, quindi, i controlli regionali che il decreto legislativo n. 502 del 1992 prevede per le aziende ospedaliere, purchè compatibili con le preminenti finalità di studio e di ricerca proprie degli istituti.

9.- Le regioni ricorrenti censurano anche il sistema di finanziamento degli istituti in questione, assumendo di doverne finanziare l'attività a bilancio, senza alcuna possibilità di programmazione e di controllo della spesa per l'attività sanitaria.

In proposito è da rilevare che l'art. 6 del decreto legislativo n.269 del 1993 prevede, al terzo comma, che l'attività di ricerca degli istituti è finanziata direttamente dallo Stato, attingendo alla quota dell'uno per cento del fondo sanitario nazionale che è destinata dal Ministero della sanità al finanziamento della ricerca corrente e finalizzata (art. 12, secondo comma, del decreto legislativo n. 502 del 1992). L'attività di assistenza sanitaria è invece finanziata dalle regioni "sulla base delle disposizioni sugli ospedali di rilievo nazionale e di alta specialità".

Ancora una volta la qualificazione dell'ente ne determina, per la parte assistenziale, il regime finanziario, che è quello proprio delle omologhe "aziende", la cui gestione è informata al principio dell'autonomia economico finanziaria e dei preventivi e consuntivi per centri di costo, basati sulle prestazioni effettuate (art. 4, primo comma, del decreto legislativo n. 502 del 1992).

Il finanziamento di tali aziende è determinato dalla regione in una percentuale "non superiore all'80 % dei costi complessivi delle prestazioni che l'azienda è in grado di erogare, rilevabile sulla base della contabilità" (art. 4, settimo comma, del decreto legislativo n. 502 del 1992). Ma, si è visto, la contabilità rispecchia le prestazioni effettuate. Per altro verso la disposizione denunciata fissa solo la misura massima del finanziamento, la cui concreta determinazione è riservata alla regione.

La disciplina dei finanziamenti regionali per l'attività assistenziale degli istituti di ricovero e cura è quella propria degli ospedali di rilievo nazionale e di alta specializzazione costituiti in aziende ospedaliere, e non appare lesiva della delega e delle competenze regionali.

10.- Ogni altro profilo, anche in riferimento alla disposizione finale di abrogazione, rimane assorbito.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

- dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 2, secondo comma, del decreto legislativo 30 giugno 1993, n. 269 (Riordinamento degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, a norma dell'art. 1, lettera h, della legge 23 ottobre 1992, n. 421), nella parte in cui non prevede che per il riconoscimento del carattere scientifico degli istituti e la relativa revoca è sentita la regione interessata;

- dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 3, secondo comma, dello stesso decreto legislativo, nella parte in cui non prevede che del consiglio di amministrazione e del collegio dei revisori degli istituti di ricovero e cura con personalità giuridica di diritto pubblico fanno parte, rispettivamente, due rappresentanti ed un rappresentante della regione;

- dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, primo e terzo comma; 2, primo comma, lettera c), e terzo comma, lettera d); 6, terzo e quinto comma; 7, primo e settimo comma; 8 dello stesso decreto legislativo, in riferimento agli artt.76, 117, 118 e 119 della Costituzione, sollevate dalle regioni Emilia-Romagna e Lombardia con i ricorsi indicati in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 luglio 1994.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Cesare MIRABELLI, Redattore

Depositata in cancelleria il 22 Luglio 1994.