Sentenza n.314 del 1994

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SENTENZA N. 314

ANNO 1994

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA Presidente

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

Avv. Massimo VARI

Dott. Cesare RUPERTO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge regionale del Lazio, approvata il 23 ottobre 1992 e riapprovata il 10 novembre 1993, avente per oggetto "Individuazione delle strutture organizzative degli Istituti per il diritto allo studio universitario -II.DI.S.U.- del Lazio e determinazione dell'organico del ruolo del personale degli Istituti", promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 21 dicembre 1993, depositato in cancelleria il 28 successivo ed iscritto al n. 81 del registro ricorsi 1993.

Udito nell'udienza pubblica del 7 giugno 1994 il Giudice relatore Massimo Vari;

uditi l'Avvocato dello Stato Antonio Bruno, per il ricorrente, e l'Avvocato Franco Gaetano Scoca per la Regione.

Ritenuto in fatto

 

1.- Con ricorso regolarmente notificato e depositato, il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato questione di legittimità costituzionale in via principale della legge regionale del Lazio, approvata il 23 ottobre 1992 e riapprovata il 10 novembre 1993, recante "Individuazione delle strutture organizzative degli Istituti per il diritto allo studio universitario - II.DI.S.U.- del Lazio e determinazione del ruolo del personale degli Istituti".

Formano, in particolare, oggetto di censura:

a) l'art. 8, secondo comma, che -prevedendo, ai punti uno e due, il reinquadramento, nella qualifica immediatamente superiore, del personale che già usufruì di benefici di carriera ai sensi delle precedenti legislazioni regionali o statali e, al punto tre, il conseguimento, per il restante personale, del duplice passaggio di livello- comporterebbe violazione del principio di "omogeneizzazione delle posizioni giuridiche", di cui all'art. 4 della legge n.93 del 1983, nonchè del principio di buona amministrazione di cui all'art.97 della Costituzione;

b) l'art. 8, quinto e sesto comma, che -fissando la decorrenza degli effetti giuridici dei reinquadramenti, previsti dalla legge, al 1° febbraio 1981 e al 1° gennaio 1983- viene denunciato, oltre che per la sua incongruità, anche per il contrasto con l'art. 97 della Costituzione;

c) l'art. 8, ottavo comma, che -estendendo, al personale ivi indicato le disposizioni a carattere transitorio ed eccezionale di cui alla legge regionale n. 33 del 1990 recante l'inquadramento nella qualifica superiore del personale non dirigente già preposto alle varie strutture- contrasterebbe con la "disciplina contrattuale", recepita dalla Regione, in tema di "mobilità verticale", oltre che con il principio di buona amministrazione di cui all'art. 97 della Costituzione;

d) l'art. 9, che - consentendo, a seguito dell'esperimento di concorsi speciali interni per la copertura dei posti ancora vacanti, concluse le procedure dei reinquadramenti giusta il precedente art. 8, "la possibilità dell'attribuzione del duplice passaggio di livello"- colliderebbe, oltre che con il principio di buona amministrazione, con la disciplina contrattuale in tema di "mobilità verticale".

Secondo l'atto di impugnazione, l'illegittimità delle ricordate disposizioni sarebbe ancora più evidente alla luce del nuovo ordinamento del pubblico impiego introdotto con la legge 23 ottobre 1992, n. 421 e relativo decreto legislativo n. 29 del 1993, modificato dal decreto legislativo n. 470 del 1993, secondo cui non sono più consentiti i passaggi automatici alla qualifica superiore e vengono stabiliti i criteri dell'organica regolamentazione delle modalità di accesso sia all'impiego sia a ciascuna qualifica.

2. - Davanti a questa Corte si è costituita la Regione Lazio, chiedendo, nell'atto di costituzione, che le questioni siano dichiarate non fondate.

Nell'imminenza dell'udienza, la Regione Lazio ha depositato una ulteriore memoria nella quale si sostiene che:

a) l'art. 8, secondo comma, lungi dal provocare l'asserita sperequazione, tende ad eliminarla, allineando il personale delle ex opere universitarie al personale proveniente dallo Stato e da altri enti, che, dopo essere stato inquadrato in base alle leggi regionali nn. 2 e 3 del 1983, a decorrere dal 1° febbraio 1981, aveva avuto la possibilità di chiedere un nuovo inquadramento in base alla legge regionale n. 15 del 1988;

b) la decorrenza retroattiva del reinquadramento ai soli fini giuridici (ex art.8, quinto e sesto comma) è dovuta al fatto che un inquadramento perequativo deve retrodatare la sua efficacia in ordine allo stato giuridico, se non anche in ordine agli effetti economici;

c) l'art. 8, ottavo comma, ha come presupposto e fondamento le analoghe ragioni di eccezionalità che hanno giustificato, a suo tempo, l'adozione della legge regionale n. 33 del 1990, atteso che la definizione degli organici viene disposta solo oggi, mentre per dieci anni il personale non dirigente è stato preposto alla direzione degli uffici; ciò non senza rammentare che al legislatore regionale è data facoltà di derogare agli accordi che contengano disposizioni in materie riservate alla legge, ex art. 2 legge n. 93 del 1983, e non senza sottolineare, altresì, che il legislatore si è posto l'obiettivo di operare una perequazione vincolata alle reali funzioni svolte dai dipendenti;

d) infine, i concorsi speciali di cui all'art. 9 sono quelli già previsti dalla legge regionale n. 6 del 1985 dei quali i dipendenti degli II.DI.S.U. non avevano potuto beneficiare per la mancata determinazione dei ruoli, non senza rilevare, nel contempo, che l'art.97, ultimo comma, della Costituzione, consente di derogare alla regola del pubblico concorso, quando le procedure siano congrue e ragionevoli.

Considerato in diritto

 

1.- L'oggetto del presente giudizio di costituzionalità, introdotto dal ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri indicato in epigrafe, è dato dalla legge regionale del Lazio, riapprovata il 10 novembre 1993, riguardante l'organizzazione degli Istituti per il diritto allo studio universitario (II.DI.S.U.) e la determinazione del ruolo del relativo personale.

Le doglianze investono gli artt.8 e 9 della legge, per i quali si deduce violazione dell'art. 97 della Costituzione e si lamenta, nel contempo, la contrarietà a taluni principi fondamentali in materia di pubblico impiego, prospettando così censure riferibili, plausibilmente, alla pretesa violazione dell'art. 117 della Costituzione, ancorchè non espressamente invocato.

2.- Quanto all'art. 8, si sostiene che detta disposizione:

a) nel prevedere, al secondo comma, punti uno e due, "il reinquadramento nella qualifica immediatamente superiore" del personale appartenente alle qualifiche ivi specificate e, al punto tre, "il conseguimento, per il restante personale, del duplice passaggio di livello", si pone in contrasto con il principio di "omogeneizzazione delle posizioni giuridiche di cui all'art. 4 della legge n. 93 del 1983", nonchè con il principio di buona amministrazione di cui all'art.97 della Costituzione;

b) nello stabilire, al quinto e sesto comma, la decorrenza degli effetti giuridici dei reinquadramenti al 1° febbraio 1981 e al 1° gennaio 1983, deve essere censurato, oltre che per la sua incongruità, per il contrasto con il predetto art.97 della Costituzione;

c) infine, nell'estendere, all'ottavo comma, al personale ivi indicato, le disposizioni a carattere eccezionale di cui alla legge regionale n. 33 del 1990, recante l'inquadramento nella qualifica superiore del personale non dirigente già preposto alle varie strutture, contrasta sia con l'art. 97 della Costituzione, sia con la disciplina contrattuale accolta dalla Regione in tema di mobilità verticale.

La Corte è chiamata, inoltre, a stabilire se l'art.9 della legge impugnata urti contro il principio di buona amministrazione e contro la disciplina contrattuale in materia di mobilità verticale, là dove prevede, a seguito dell'esperimento di concorsi speciali interni, per la copertura dei posti vacanti nelle qualifiche e nei profili dal quinto all'ottavo, "la possibilità di attribuzione del duplice passaggio di livello".

Ad avviso del ricorrente, il contrasto delle disposizioni ricordate con i principi generali del pubblico impiego sarebbe reso ancor più evidente dal nuovo ordinamento della materia -recato dalla legge 23 ottobre 1992, n. 421 e dal susseguente decreto legislativo n. 29 del 1993, modificato dal decreto legislativo n. 470 del 1993- secondo il quale, da una parte, non sono più consentiti passaggi automatici alla qualifica superiore e, dall'altra, vengono stabiliti i criteri dell'organica regolamentazione delle modalità di accesso sia all'impiego sia a ciascuna qualifica.

3.- Per una più chiara visione del quadro legislativo nell'ambito del quale si collocano le questioni portate all'esame della Corte, giova ricordare che, per il personale delle ex opere universitarie, trasferito alle regioni per effetto dell'art. 44 del d.P.R.n. 616 del 1977, fu disposto un iniziale inquadramento con l'art. 6, primo comma, della legge regionale del Lazio 17 gennaio 1981, n. 5, la quale stabilì che, al medesimo, si applicassero dal 1° novembre 1979, sia pure nei termini e nei limiti dalla norma stessa precisati, le disposizioni sullo stato giuridico e sul trattamento economico dei dipendenti della Regione Lazio.

Successivamente, la legge regionale n. 14 del 7 marzo 1983, nel dare vita agli Istituti per il diritto allo studio universitario, dispose (art. 18) che essi si avvalessero, per l'espletamento delle loro funzioni, di personale facente parte di un apposito ruolo, nel quale (art.48) veniva inserito il personale di ruolo delle soppresse opere universitarie.

In tale occasione, l'art.49 (a modifica dell'art. 6 della precedente legge n. 5 del 1981) anticipò che, con successiva legge regionale, sarebbero state dettate norme intese ad eliminare le eventuali situazioni di sperequazione economica in seno al personale delle disciolte opere.

Momento di rilievo per la definizione dello stato giuridico del personale in questione è costituito, infine, dalla legge regionale 11 gennaio 1985, n. 6, che, nel collocare, all'art. 24, i di pendenti regionali nei tre ruoli del personale degli uffici, del personale della formazione e del personale degli II.DI.S.U., rinviò, per questi ultimi, la determinazione della consistenza del ruolo di appartenenza a successiva legge.

Lo stesso provvedimento, facendo riferimento all'organico previsto dall'art.24, autorizzò intanto, con l'art. 26, la copertura, mediante concorsi interni, di posti vacanti nelle qualifiche funzionali dalla seconda all'ottava.

4.- Afferma, nella propria memoria difensiva, la Regione resistente che la legge impugnata ha in teso realizzare, per i dipendenti delle soppresse opere universitarie, quella perequazione di posizioni giuridiche, della quale si era fatta espressa riserva con la già menzionata legge n. 14 del 1983. Perequazione realizzata, estendendo a detto personale le disposizioni della legge regionale 25 marzo 1988, n. 15, di cui avevano fruito altre categorie di dipendenti e cioé quelli già inquadrati secondo le leggi regionali n. 2 e n. 3 del 1983.

Tale assunto, confortato, invero, dai lavori preparatori della legge impugnata, induce a ritenere non fondata la doglianza avanzata nei confronti dell'art. 8, secondo comma, punti uno, due e tre della legge impugnata, in relazione sia ai principi in materia di pubblico impiego, sia all'art. 97 della Costituzione.

Difatti, come più volte affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, la violazione del principio di buon andamento non può essere utilmente invocata se non quando si assuma l'arbitrarietà o la manifesta irragionevolezza della disciplina impugnata (sentenze nn. 65 del 1989; 269 del 1988 e 277 del 1983), mentre lo stesso principio non impedisce al legislatore di modificare l'assetto di rapporti definiti da precedenti leggi, quando risulti, ad un più approfondito esame o a seguito dell'esperienza derivata dalla loro applicazione, che esse non rispondano a criteri di equità.

Nel caso di specie, la legge regionale impugnata dà modo, al personale delle ex opere universitarie, di ottenere, a domanda, un nuovo inquadramento per far valere titoli e anzianità che altri avevano già potuto far valere, evidenziando, così, intenti correttivi delle sperequazioni derivanti dalle diverse normative, in base alle quali, in vari tempi, era stato inquadrato il personale comandato o comunque passato alla Regione.

5.- Neppure fondata è la doglianza rivolta all'art. 8, quinto comma, che fa decorrere il nuovo inquadramento, agli effetti giuridici, dal 1° febbraio 1981, in quanto tale data, rispecchiando analoghi criteri temporali desumibili dalla legge n. 15 del 1988 (v.art. 10 della medesima), ha il fine di ricondurre gli effetti del reinquadramento, sia pure sotto il solo profilo giuridico e non anche sotto quello economico, al momento in cui la sperequazione ha avuto inizio.

Per le stesse ragioni non può essere accolta la censura proposta nei riguardi del sesto comma del medesimo art. 8, il quale dispone l'inquadra mento, nella sesta qualifica funzionale di cui alla legge regionale 11 gennaio 1985, n.6, del personale indicato al precedente terzo comma facendo decorrere, a fini giuridici, gli effetti dal 1° gennaio 1983. Anche detta data tiene, infatti, conto delle decorrenze a suo tempo previste dalla legge n. 6 del 1985 (art. 28), ai sensi della quale la norma impugnata opera il reinquadramento; reinquadramento che, in sè, non forma oggetto di doglianza da parte del Governo.

6.- Altro motivo di censura investe poi -sotto il profilo del contrasto con la disciplina contrattuale e con il principio di buona amministrazione- l'art. 9, che consente, a seguito dell'esperimento di concorsi speciali interni per la copertura dei posti ancora vacanti nei ruoli II.DI.S.U., "la possibilità di attribuzione del duplice passaggio di livello".

Benchè la doglianza risulti formulata in termini non del tutto puntuali e circostanziati, la Corte ha motivo di ritenere che essa, per il fatto di censurare "la possibilità del duplice passaggio di livello", intenda aver riguardo a quella parte della norma che ammette ai concorsi speciali, per l'accesso alla sesta qualifica funzionale, anche il personale di quarta qualifica.

É da precisare, in proposito, che il detto art. 9, al primo comma, nel prevedere concorsi interni per titoli ed esami per i posti vacanti nelle qualifiche funzionali e nei profili professionali dal quinto all'ottavo, li riserva, in via di principio, al personale che, alla data di entrata in vigore della legge, rivesta la qualifica immediata mente inferiore a quella per cui concorre, alla duplice alternativa condizione che sia in possesso di una anzianità minima di anni tre, nella predetta posizione giuridica inferiore, e del titolo di studio richiesto per l'accesso dall'esterno a quest'ultima, ovvero del titolo di studio richiesto per l'accesso dall'esterno alla qualifica cui concorre. Con norma di carattere derogatorio, la seconda parte dello stesso primo comma dispone che "al concorso speciale per l'accesso alla sesta qualifica funzionale è altresì ammesso il personale di quarta qualifica".

In proposito la difesa della Regione, indugiando sulle linee generali della ricordata disciplina, tende ad evidenziarne le finalità perequative, deducendo che si tratterebbe di concorsi speciali già previsti dalla legge n. 6 del 1985, dei quali non avevano potuto fruire i dipendenti delle ex opere universitarie, in mancanza della definizione del ruolo di appartenenza.

Tuttavia, come già detto, il punto sul quale verte la doglianza non risulta tanto quello dei concorsi, quanto piuttosto quello della prevista possibilità del duplice passaggio di livello. Sicchè, prescindendo da ogni altra valutazione della norma in sè e restando nei limiti dell'impugnativa -secondo quello che appare esserne il plausibile specifico oggetto- la Corte non può non rilevare l'incongruità della disposizione che ammette anche il personale di quarta qualifica ai concorsi per la sesta qualifica funzionale.

Poichè detto personale viene parificato, quanto a presupposti di ammissione e quanto a criteri valutativi, al personale di quinta qualifica, il motivo di ricorso proposto su questo punto va accolto, non essendo corrispondente a principi di buon andamento, sotto il profilo della ragionevolezza, una identica considerazione, ai detti effetti, di esperienze maturate nell'esercizio di attività diverse quanto a livello e contenuti.

7.- Fondata è, altresì, la doglianza concernente l'estensione al personale non dirigente delle disposizioni della legge regionale n. 33 del 1990, così come previsto dall'ottavo comma dell'art. 8, secondo il quale, nei limiti dei posti vacanti, dopo l'effettuazione delle operazioni di cui al medesimo articolo, "il personale non dirigente che nell'arco temporale di cui all'art. 1 della legge regionale 23 marzo 1990, n. 33 abbia diretto per almeno tre anni, una delle strutture organizzative denominate settore, purchè istituita con regolare formale provvedimento o abbia formalmente svolto le funzioni di direttore per almeno tre anni dalla data di costituzione dell'II.DI.S.U. alla data di entrata in vigore" della legge impugnata, è inquadrato nella qualifica immediatamente superiore a quella posseduta.

Come altre volte chiarito da questa Corte, il legislatore può, in presenza di peculiari situazioni giustificatrici, derogare al principio del pubblico concorso -previsto dall'art. 97 della Costituzione, secondo una regola riferibile anche al passaggio ad una fascia funzionale superiore- purchè i diversi criteri seguiti soddisfino l'esigenza di buon andamento della pubblica amministrazione.

Ma neanche in questa prospettiva la norma appare idonea a superare lo scrutinio di costituzionalità. La precedente legge regionale 23 marzo 1990, n. 33, alla quale la norma impugnata fa rinvio, teneva conto, infatti, di esigenze peculiari che, proprio per la loro eccezionalità, non consentono di apprezzare l'argomento addotto, sul piano analogico, dalla difesa della Regione, in chiave di mera trasposizione delle regole della stessa precedente legge. Sotto questo aspetto, va osservato che la norma impugnata, nel dare rilievo alla preposizione di fatto ad una struttura a livello di settore o allo svolgimento delle funzioni di direttore per un certo periodo di tempo, fa riferimento ad un arco temporale -quello ricompreso, secondo l'art. 1 della legge 23 marzo 1990, n.33, tra il 1° gennaio 1983 e il 16 febbraio 1988- che aveva una sua specifica ratio e giustificazione in relazione a quelle particolari situazioni.

É evidente, perciò, l'incongruità della norma, la cui portata precettiva è quella di assicurare agli interessati, a fronte di situazioni di fatto tutt'altro che puntualmente definite, l'acquisizione della qualifica superiore a quella posseduta, con un automatismo che, oltre a contrastare con i canoni dell'art. 97 della Costituzione, collide con i principi generali del pubblico impiego richiamati in via generale nell'impugnativa del Governo, ai quali è estranea la regola secondo la quale lo svolgimento di fatto delle mansioni fonda il diritto all'acquisizione della qualifica superiore. Di ciò è recente conferma l'art. 57, secondo comma, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n.29, che, recependo il principio di cui all'art. 2, lettera n) della legge 23 ottobre 1992, n.421, prevede che, nel caso di attribuzione temporanea di mansioni superiori, il dipendente ha diritto soltanto al trattamento economico corrispondente all'attività svolta per il periodo di espletamento delle medesime.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale:

a) dell'art. 8, ottavo comma, della legge regionale del Lazio, approvata il 23 ottobre 1992 e riapprovata il 10 novembre 1993, recante norme sulla "Individuazione delle strutture organizzative degli Istituti per il diritto allo studio universitario - II.DI.S.U.- del Lazio e determinazione dell'organico del ruolo del personale degli Istituti";

b) dell'art. 9, primo comma, della stessa legge, nella parte in cui prevede l'ammissione ai concorsi speciali per la sesta qualifica anche degli appartenenti alla quarta qualifica;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale:

dell'art. 8, secondo comma, punti uno, due e tre, della legge predetta, sollevata, in riferimento agli artt. 97 e 117 della Costituzione, in relazione quest'ultimo ai principi fondamentali in materia di pubblico impiego, invocati nel ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, di cui in epigrafe;

dell'art. 8, quinto e sesto comma, della legge stessa, sollevata, in riferimento all'art. 97 della Costituzione, con il medesimo ricorso.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 luglio 1994.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Massimo VARI, Redattore

Depositata in cancelleria il 15 Luglio 1994.