Sentenza n.283 del 1994

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SENTENZA N. 283

ANNO 1994

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

Avv. Massimo VARI

Dott. Cesare RUPERTO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 7, commi 12 bis e 12 ter, del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416 (Norme urgenti in materia di asilo politico, di ingresso e soggiorno dei cittadini extracomunitari e di regolarizzazione dei cittadini extracomunitari ed apolidi già presenti nel territorio dello Stato), convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1990, n. 39, così come aggiunti dall'art.8, primo comma, del decreto-legge 14 giugno 1993, n. 187 (Nuove misure in materia di trattamento penitenziario, nonchè sull'espulsione dei cittadini stranieri), convertito, con modificazioni, dalla legge 12 agosto 1993, n. 296, promossi con ordinanze emesse il 10 agosto 1993 dal Tribunale di Bergamo, il 3 ed il 20 dicembre 1993 dal Tribunale di Roma, il 2 dicembre 1993 dal Tribunale di Roma (n. 2 ordinanze), il 19 gennaio 1994 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Roma, il 2 dicembre 1993 dal Tribunale di Roma ed il 29 dicembre 1993 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Roma, rispettivamente iscritte ai nn.8, 21, 26, 48, 66, 101, 108 e 207 del registro ordinanze 1994 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 6, 7, 9, 11, 12, 17, prima serie speciale, dell'anno 1994.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 25 maggio 1994 il Giudice relatore Antonio Baldassarre.

Ritenuto in fatto

1.- Nel corso di un giudizio nel quale uno straniero extracomunitario, Lamlih Hicham, condannato in primo grado alla pena di anni nove di reclusione per i reati di ratto a fine di libidine, violenza carnale e atti di libidine e sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere, chiedeva di essere espulso dal territorio dello Stato italiano, il Tribunale di Bergamo ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dei commi 12 bis e 12 ter dell'art. 7 del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416, convertito dalla legge 28 febbraio 1990, n. 39, i quali sono stati introdotti dall'art. 8, primo comma, del decreto-legge 14 giugno 1993, n.187, convertito dalla legge 12 agosto 1993, n. 296, nella parte in cui consentono al giudice procedente di disporre, su richiesta dello straniero o del suo difensore, l'immediata espulsione nello stato di appartenenza o in quello di provenienza degli stranieri extracomunitari sottoposti a custodia cautelare per uno o più delitti, consumati o tentati, diversi da quelli indicati nell'art.275, terzo comma, c.p.p..

Ritenuta la rilevanza della questione e ricordata la giurisprudenza costituzionale sulla possibilità di attaccare norme penali di favore, il giudice a quo dubita che le disposizioni contestate creino una disparità di trattamento tra cittadini e stranieri, in conseguenza del sostanziale privilegio accordato agli stranieri con il provvedimento di espulsione, e che le stesse disposizioni configurino in modo irragionevole e contradittorio l'istituto dell'espulsione, ove questo sia considerato in rapporto alle esigenze cautelari tipiche, come la pericolosità sociale e il pericolo di fuga, praticamente neutralizzate dalle disposizioni medesime.

2.- Una questione analoga, ancorchè riferita al solo comma 12 bis del già citato decreto-legge n. 416 del 1989, è stata sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, dal Tribunale di Roma, chiamato a decidere sull'istanza di espulsione dello straniero extracomunitario Viruez Solano Pedro, condannato con sentenza irrevocabile alla pena di anni cinque e mesi quattro di reclusione e venti milioni di multa per il reato di spaccio di stupefacenti.

Verificata la rilevanza della questione in relazione alle condizioni soggettive dell'istante, al titolo del reato per il quale il richiedente era stato condannato e al residuo di pena da scontare, il giudice rimettente denuncia, innanzitutto, il possibile contrasto della norma impugnata con l'art. 3 della Costituzione, in conseguenza dell'ingiustificata posizione di privilegio accordata allo straniero rispetto al cittadino relativamente ai diritti fondamentali coinvolti dall'espiazione di una pena, nonchè dell'irragionevolezza connessa alla contradittorietà dell'istituto dell'espulsione considerato rispetto ad altri tipi di espulsione (artt. 211 e 235 c.p. e 86 del d.P.R. n.309 del 1990), i quali esigono la previa espiazione della pena. In secondo luogo, la norma contestata impedirebbe la realizzazione della finalità rieducativa del condannato collegata dall'art. 27, terzo comma, della Costituzione alla detenzione penitenziaria, oltre a inficiare il perseguimento delle ulteriori finalità previste dallo stesso art.27, consistenti nella dissuasione, nella prevenzione e nella difesa sociale.

3.- Con ulteriori quattro ordinanze dal contenuto identico, adottate nel corso di altrettanti procedimenti instaurati a seguito delle istanze di espulsione rispettivamente proposte da Rapalino Avila Miguel, sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere, e dai condannati con sentenza irrevocabile Cepeda Vengoechea Rafael Angel, Waundah Martin Nzauo e Oluebeka Gregory, tutti ritenuti responsabili dei reati di illecita detenzione e importazione di sostanza stupefacente, il Tribunale di Roma ha sollevato, in riferimento all'art. 27, terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del menzionato art. 7, comma 12 bis.

Ritenuta la rilevanza della questione in relazione a ciascuno dei procedimenti in atto, il tribunale rimettente, muovendo dalla premessa valutativa per la quale l'espulsione viene configurata, in sostanza, come una parziale impunità prevista nei confronti dello straniero, sospetta che essa violi il principio costituzionale sulla funzione rieducativa della pena, considerato che questa Corte (v. sent. n. 313 del 1990) ha esteso l'applicazione di tale principio al di là della mera fase esecutiva della pena, avendolo definito come una delle qualità essenziali e generali che caratterizzano la pena nel suo contenuto ontologico e l'accompagnano da quando nasce nell'astratta previsione normativa fino a quando in concreto si estingue. Così inteso, tale principio sarebbe contraddetto dall'impugnata espulsione, poichè quest'ultima renderebbe inefficaci tanto le valutazioni fatte dal legislatore nel prevedere, in funzione di prevenzione generale, un determinato trattamento sanzionatorio in rapporto alla diversa gravità delle azioni criminose prefigurate, quanto le determinazioni sulla pena effettuate dal giudice della cognizione anche nella prospettiva della funzione rieducativa della sanzione penale.

Su tali basi si chiede a questa Corte di valutare se non sia irragionevole un bilanciamento in conseguenza del quale le finalità di politica penitenziaria sottese alla disciplina denunciata sono ritenute così preponderanti da giustificare la sostanziale inattuazione, per una categoria limitata di persone, delle finalità costituzionalmente connesse alla sanzione penale. Tanto più ciò vale in relazione ai reati ascritti ai richiedenti l'espulsione nei giudizi a quibus, poichè nel caso del traffico internazionale di sostanze stupefacenti, praticato dalle grandi organizzazioni criminali, l'applicazione della norma denunciata rischia di tradursi in un incentivo all'attività criminosa di numerosi stranieri, generalmente utilizzati come "corrieri".

Nè la misura dell'espulsione, concludono le ordinanze di rimessione, potrebbe avere una qualche giustificazione ipotizzando una sua equiparazione con l'istituto dell'indulto, dal momento che, mentre in quest'ultimo caso si tratta di un provvedimento di clemenza di carattere generale, la cui temporaneità sarebbe confermata dalla prescritta inapplicabilità dell'indulto ai reati commessi successivamente alla proposta di delegazione, nel caso della contestata espulsione, invece, non si riscontrano limiti temporali di applicazione, riguardando tale misura anche i reati commessi successivamente all'entrata in vigore della legge che lo istituisce.

4.- A seguito di un'istanza di espulsione avanzata da Fernandez Fernandez Carlos Armando, sottoposto a misura cautelare per il delitto di illecita importazione di sostanze stupefacenti, anche il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Roma ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 7, comma 12 bis, del decreto- legge n. 416 del 1989 in riferimento all'art. 3 della Costituzione. Gli argomenti addotti a sostegno dei propri dubbi di costituzionalità sono gli stessi formulati, sotto il medesimo profilo, dall'ordinanza del Tribunale di Roma sintetizzata nel precedente punto n.2.

5.- Una questione analoga è stata sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Roma, nei confronti del ricordato art. 7, comma 12 bis, con una distinta ordinanza adottata nel corso di un procedimento instaurato a seguito di un'istanza di espulsione presentata da Ahmed Safar Mohammed, detenuto in espiazione della pena di anni sei di reclusione e di quaranta milioni di lire di multa inflittagli con sentenza irrevocabile. Anche tale ordinanza, muovendo dalla configurazione dell'espulsione come una sorta di impunità di fatto, totale o parziale, adduce argomenti analoghi a quelli sviluppati dalle ordinanze di rimessione precedenti sulla presunta disparità di trattamento fra cittadini e stranieri, nonchè sulla vanificazione delle finalità della pena.

6.- Il Presidente del Consiglio dei Ministri, nel costituirsi nei giudizi introdotti dalle ordinanze riportate nei precedenti punti nn. 1 e 2 e da una delle ordinanze riassunte nel punto n. 3 (segnatamente nell'ordinanza del 2 dicembre 1993, iscritta con il numero 48 al Registro delle ordinanze di rimessione del 1994), ha chiesto una pronunzia d'inammissibilità o d'infondatezza, che ripeta le motivazioni contenute nella sentenza n. 62 del 1994, resa in relazione a questioni di legittimità costituzionale del tutto simili a quelle proposte con le ordinanze in esame.

Considerato in diritto

1.- Pur se la prima delle ordinanze di rimessione riassunte nella narrativa in fatto contesta formalmente l'art.7, commi 12 bis e 12 ter, mentre tutte le altre impugnano soltanto il comma 12 bis dello stesso articolo, le otto ordinanze indicate in epigrafe dubitano della legittimità costituzionale dell'istituto dell'espulsione, come risulta regolato dai suddetti commi dell'art. 7 del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416 (Norme urgenti in materia di asilo politico, di ingresso e soggiorno dei cittadini extracomunitari e di regolarizzazione dei cittadini extracomunitari e apolidi già presenti nel territorio dello Stato), convertito con modificazioni dalla legge 28 febbraio 1990, n. 39, nel testo integrato con gli emendamenti aggiuntivi introdotti dall'art. 8, primo comma, del decreto- legge 14 giugno 1993, n. 187 (Nuove misure in mate ria di trattamento penitenziario, nonchè sull'espulsione dei cittadini stranieri), convertito con modificazioni dalla legge 12 agosto 1993, n. 296. Mentre le ordinanze di rimessione riassunte nei punti nn. 2 e 5 della narrativa in fatto dubitano della costituzionalità della norma impugnata sotto i profili degli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, al contrario le ordinanze riportate nei precedenti punti nn.1 e 4 prospettano dubbi di legittimità costituzionale solamente in riferimento all'art. 3 della Costituzione e quelle riferite nel precedente punto n. 3 solamente in riferimento all'art. 27, terzo comma, della Costituzione.

Poichè tutte le otto ordinanze sollevano questioni di costituzionalità identiche o simili, aventi ad oggetto la medesima norma, i relativi giudizi possono essere riuniti per venir decisi con un'unica sentenza.

2.- Va, innanzitutto, dichiarata la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale della norma contestata in riferimento ai vari profili attinenti all'art. 3 della Costituzione. Infatti, con la sentenza n. 62 del 1994 questa Corte si è già pronunziata nel senso della non fondatezza della medesima questione sotto i diversi profili di legittimità costituzionale sollevati dal Tribunale di Bergamo, dal Tribunale di Roma e dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Roma con le ordinanze riferite nei punti nn. 1, 2, 4 e 5 della narrativa in fatto.

E, tenuto anche conto che i giudici a quibus non adducono nelle ordinanze appena citate argomenti nuovi rispetto a quelli esaminati nella precedente decisione, non sussistono motivi per non ribadire la pronunzia adottata con la sentenza n. 62 del 1994.

3.- Non fondata è, invece, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 7, comma 12 bis, del decreto-legge n.416 del 1989 nel testo introdotto dall'art. 8, primo comma, del decreto-legge n. 187 del 1993, sollevata, in riferimento all'art. 27, terzo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Roma e dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Roma con le ordinanze riferite nei punti nn. 2, 3 e 5 della narrativa in fatto.

Per quanto anche una delle ordinanze introduttive del precedente giudizio avesse proposto la medesima questione di costituzionalità in riferimento all'art. 27, terzo comma, della Costituzione, tuttavia in quell'occasione questa Corte non è entrata nel merito, ma ha adottato una pronunzia d'inammissibilità avendo il giudice a quo espressamente sol levato la detta questione in modo ipotetico. Ora, invece, le sei ordinanze che prospettano dubbi di costituzionalità in riferimento al citato art. 27 propongono la medesima questione in modo attuale ovvero argomentano plausibilmente sulla rilevanza della questione stessa rispetto al giudizio principale.

Venendo al merito dei dubbi di legittimità costituzionale sollevati, occorre premettere che questa Corte nella ricordata sentenza n. 62 del 1994 ha affermato che l'espulsione dello straniero extracomunitario disciplinata dall'impugnato art. 7, comma 12 bis, lungi dal costituire, come pretendono i giudici a quibus, una sostanziale impunità dello straniero che si trovi nelle condizioni richieste dalla legge, comporta semplicemente la sospensione della esecuzione della custodia cautelare in carcere ovvero della espiazione della pena, tanto che, in caso di rientro dello straniero espulso nel territorio dello Stato o in caso di mancata esecuzione dell'espulsione, si impone il ripristino dello stato di detenzione (v. comma 12 quater del medesimo art. 7).

Pur se questa Corte, come ricordano alcuni dei giudici a quibus, ha recentemente affermato che la finalità rieducativa della pena è una proprietà essenziale che caratterizza quest'ultima nel suo contenuto ontologico e "l'accompagna da quando nasce, nell'astratta previsione normativa, fino a quando in concreto si estingue" (v. sent. 313 del 1990), è indubitabile che la connotazione ora considerata, al pari delle altre che con essa coesistono, concernono il trattamento penitenziario in quanto applicato, mentre non possono venire in questione quando tale trattamento è interrotto ovvero, come nel caso della espulsione esaminata, quando è sospeso.

In altri termini, con riferimento ai momenti durante i quali lo Stato legittimamente non svolge i poteri inerenti all'esecuzione della pena o della custodia cautelare, non si può pretendere, come questa Corte ha da tempo precisato (v. sentt. nn. 12 e 48 del 1966), che trovino applicazione le esigenze e gli imperativi che la Costituzione collega alla predetta esecuzione. Sotto questo profilo, pertanto, i dubbi di costituzionalità prospettati dai giudici a quibus in riferimento alle finalità che l'art. 27, terzo comma, della Costituzione con nette alla pena non hanno valore rispetto alla disciplina dell'espulsione dello straniero contenuta nelle disposizioni impugnate, dal momento che quest'ultima comporta necessariamente, come si è prima ricordato, la sospensione del trattamento penitenziario, tanto ove questo sia conseguenza dell'esecuzione di una pena, quanto ove sia effetto di una misura cautelare detentiva.

Ciò non toglie, tuttavia, che l'applicazione dell'espulsione prevista dall'art. 7, comma 12 bis, del decreto-legge contestato, proprio perchè produce l'effetto di sospendere la pena, implica un'interferenza su quest'ultima e, conseguentemente, sull'adempimento delle funzioni connesse all'applicazione del trattamento penitenziario.

Ma la legittimità costituzionale di tale incidenza non può essere valutata in riferimento ai connotati costituzionali che la pena deve avere, bensì con riguardo alla non manifesta irragionevolezza della scelta discrezionale con la quale il legislatore ha introdotto nell'ordinamento penale un istituto, come l'espulsione disciplinata dalle disposizioni impugnate, comportante la sospensione dell'esecuzione della pena o della custodia cautelare e, quindi, la temporanea astensione, da parte dello Stato, dal perseguimento delle finalità costituzionalmente connesse al trattamento penitenziario. Ma, sotto il profilo ora precisato, questa Corte non ha che da ribadire le considerazioni già svolte nel senso del rigetto nella sentenza n. 62 del 1994 (punto n. 5 in diritto) in relazione alle censure di palese irragionevolezza allora sollevate contro le disposizioni oggetto dei presenti giudizi.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 7, comma 12 bis, del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416 (Norme urgenti in materia di asilo politico, di ingresso e soggiorno di cittadini extracomunitari e di regolarizzazione dei cittadini extracomunitari e apolidi già presenti nel territorio dello Stato), convertito con modificazioni dalla legge 28 febbraio 1990, n. 39, nel testo introdotto dall'art. 8, primo comma, del decreto-legge 14 giugno 1993, n. 187 (Nuove misure in materia di trattamento penitenziario, nonchè sull'espulsione dei cittadini stranieri), convertito con modificazioni dalla legge 12 agosto 1993, n. 296, sollevata, in riferimento all'art. 27, terzo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Roma e dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Roma con le ordinanze indicate in epigrafe;

dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale del citato art. 7, commi 12 bis e 12 ter, sollevate, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di Bergamo e dal Tribunale di Roma con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23/06/94.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Antonio BALDASSARRE, Redattore

Depositata in cancelleria il 06/07/94.