Ordinanza n. 227 del 1994

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ORDINANZA N. 227

 

ANNO 1994

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

Avv. Massimo VARI

 

Dott. Cesare RUPERTO

 

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 43, primo e secondo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), promosso con ordinanza emessa il 13 novembre 1992 dalla Commissione tributaria di secondo grado di Roma sul ricorso proposto da Pellicani Emilio contro l'Ufficio Imposte Dirette di Roma iscritta al n. 738 del registro ordinanze e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 52, prima serie speciale, dell'anno 1993.

 

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nella camera di consiglio del 27 aprile 1994 il Giudice relatore Renato Granata;

 

Ritenuto che con ordinanza del 13 novembre 1992 la Commissione tributaria di secondo grado di Roma - in riferimento agli artt.3, 24 e 53 Cost. - ha sollevato questione di costituzionalità dell'art. 43, commi 1 e 2, d.P.R. 29 settembre 1973 n.600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi) - nella parte in cui non equipara in ogni caso, al fine della durata del termine di decadenza per la notifica dell'avviso di accertamento, la presentazione del certificato di cui all'art.1, comma 4, lett. d), d.P.R. n.600/73 cit. (c.d. modello 101), alla presentazione della dichiarazione dei redditi per sospetta violazione, in particolare, del principio di eguaglianza atteso che - con riferimento a due situazioni sostanzialmente omogenee (quella del contribuente che si limita a presentare il modello 101, pur avendo redditi ulteriori e diversi rispetto a quelli da lavoro dipendente, e quella del contribuente che presenti l'ordinaria dichiarazione dei redditi con modello 740 omettendo anch'egli di indicare i redditi diversi da quelli da lavoro dipendente) - sono previsti dalla norma censurata due diversi termini di decadenza rispettivamente fino al 31 dicembre del sesto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata (art. 41, comma 2) ovvero fino al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione dei redditi (art. 42, comma 1);

 

che nella specie la Commissione tributaria di primo grado di Roma - adita a seguito di ricorso di Pellicani Emilio, che deduceva in via preliminare la intervenuta decadenza del potere di rettifica della dichiarazione dei redditi - aveva annullato l'accertamento per essere spirato il termine di de cadenza (di cinque anni) previsto dall'art. 43 d.P.R. n.600/73 cit., termine questo ritenuto applicabile pur avendo il Pellicani presentato, al fine della dichiarazione dei redditi per l'anno 1982, il solo certificato (mod. 101), rilasciato dal proprio datore di lavoro, senza che ricorressero le condizioni previste dal quarto comma, lett.d), dell'art. 1 d.P.R. 29 settembre 1973 n.600, per essere egli percettore di altri redditi oltre quello da lavoro dipendente;

 

che l'Ufficio appellante sosteneva invece la tempestività dell'atto di accertamento impugnato in quanto la presentazione del modello 101 fuori dalle ipotesi previste dalla legge costituisce omessa presentazione della dichiarazione dei redditi sicchè il termine di decadenza (ex art.43 cit.) è, non già di cinque anni, come ritenuto dalla Commissione tributaria di primo grado, bensì di sei anni;

 

che il contribuente appellato insisteva nel sostenere invece la equiparabilità in ogni caso della presentazione del modello 101 alla presentazione della dichiarazione dei redditi;

 

che la Commissione rimettente, nel prospettare l'alternativa esegetica in ordine alla portata della norma censurata secondo le contrapposte tesi delle parti in giudizio, ritiene che, < < ove si accedesse alla tesi prospettata dall'ufficio>>, la norma esonerativa dalla presentazione della dichiarazione per i lavoratori dipendenti porrebbe gli stessi nella disuguale condizione, rispetto ad altri soggetti non esonerati e tenuti alla presentazione della dichiarazione dei redditi, di dover sottostare ad un termine più lungo (sei anni) concesso all'ufficio dal secondo comma dell'art. 43 per effettuare l'accertamento dei redditi, nono stante l'avvenuta presentazione del mod.101, attestante i redditi da lavoro percepiti;

 

che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile sotto il triplice profilo che l'ordinanza di rimessione è priva di motivazione sia in generale sulla rilevanza, sia anche nel merito limitatamente alle censure riferite alla prospettata violazione degli artt. 24 e 53 Cost.; che la Commissione tributaria rimettente ha invertito l'ordine logico delle questioni da esaminare; che viene chiesta una pronuncia additiva a contenuto non obbligato;

 

che comunque - secondo l'Avvocatura dello Stato - la questione è manifestamente infondata;

 

Considerato che l'ordinanza di rimessione prospetta una questione di costituzionalità fondata su un'alternativa interpretativa in ordine alla quale il giudice a quo non prende posizione sicchè la questione stessa risulta sollevata in forma eventuale per l'ipotesi in cui non si ritenga che la presentazione del modello 101 sia equiparabile in ogni caso alla presentazione della dichiarazione dei redditi;

 

che è costante giurisprudenza di questa Corte che è < < compito del giudice rimettente di individuare con esattezza l'oggetto della questione, effettuare la scelta interpretativa e quindi proporre il quesito di costituzionalità in modo non alternativo>> (ord. n.207 del 1993 , ord. n.285 del 1992, sent.n.473 del 1989, sent. n.472 del 1989); che non sono quindi ammissibili questioni poste in via meramente ipotetica, qual è quella sollevata da giudice rimettente (ord. n.45 del 1994 , sent. n.166 del 1992, sent.n.242 del 1990);

 

che pertanto la questione di costituzionalità è inammissibile (risultando così assorbito l'esame delle eccezioni d'inamissibilità della stessa per le ulteriori ragioni indicate dall'Avvocatura di Stato);

 

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953 n.87 e 29, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 43, commi 1 e 2, d.P.R.29 settembre 1973 n.600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 53 della Costituzione, dalla Commissione tributaria di secondo grado di Roma con l'ordinanza indicata in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 maggio 2021.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Renato GRANAYA, Redattore

 

Depositata in cancelleria il  08/06/1994.