Ordinanza n. 226 del 1994

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ORDINANZA N. 226

 

ANNO 1994

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Prof. Fernando SANTUOSOSSO

 

Avv. Massimo VARI

 

Dott. Cesare RUPERTO

 

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 11, comma 2- bis, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito in legge, con modificazioni, con la legge 8 agosto 1992, n. 359 promossi con ordinanze emesse il 24 settembre 1993 dal Pretore di Verona ed il 10 maggio, 2 marzo, 16 giugno e 20 luglio 1993 dal Pretore di Venezia, rispettivamente iscritte al n. 717 del registro ordinanze 1993 ed ai nn.13, 14, 60 e 61 del registro ordinanze 1994 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50, prima serie speciale, dell'anno 1993 e nn. 6 e 10, prima serie speciale, dell'anno 1994.

 

Visti l'atto di costituzione della Confedilizia nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nella camera di consiglio del 13 aprile 1994 il Giudice relatore Cesare Mirabelli.

 

Ritenuto che con ordinanza emessa il 24 settembre 1993 (R.O. n. 717 del 1993) nel corso di un procedimento per convalida di licenza per finita locazione promosso da Camilla Pozzani ed Alfredo Berlendis nei confronti di Mario Kozina, il Pretore di Verona ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 42 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 11, comma 2-bis, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito in legge, con modificazioni, con la legge 8 agosto 1992, n. 359, nella parte in cui non prevede per il locatore che abbia la necessità di disporre dell'immobile per adibirlo ad abitazione propria o dei familiari il diritto di recedere dal rapporto alla scadenza convenzionale ovvero nel corso della proroga legale;

 

che la norma denunciata stabilisce, per le locazioni in corso e con scadenza successiva all'entrata in vigore della legge di conversione del decreto, la proroga di diritto del contratto per due anni, nel caso in cui "le parti non concordino sulla determinazione del canone";

 

che il giudice rimettente ricorda che la Corte, con la sentenza n. 323 del 1993, ha dichiarato non fondata la medesima questione di legittimità costituzionale, perchè la disposizione denunciata, interpretata secondo un criterio sistematico ed in conformità ai principi enunciati dalla legislazione di settore, consente di ritenere che la proroga può essere impedita quando ricorrano le specifiche e comprovate esigenze del locatore, nei casi ed alle condizioni previsti dalla legge;

 

che il giudice a quo, ritenendo di non poter pervenire all'applicazione del recesso in via interpretativa, prospetta di nuovo la questione di legittimità costituzionale nei sensi sopra riportati;

 

che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la non fondatezza della questione di legittimità costituzionale, rilevando che i dubbi prospettati dal giudice rimettente trovano già risposta nella sentenza n. 323 del 1993;

 

che, inoltre, nel giudizio dinanzi alla Corte ha depositato atto di costituzione la Confederazione italiana della proprietà edilizia (Confedilizia), chiedendo che sia ritenuta ammissibile la sua costituzione in giudizio e prendendo conclusioni anche nel merito;

 

che il Pretore di Venezia, con quattro ordinanze di identico contenuto, emesse il 10 maggio 1993 (R.O. n. 13 del 1994), il 2 marzo 1993 (R.O. n. 14 del 1994), il 16 giugno 1993 (R.O. n. 60 del 1994) ed il 20 luglio 1993 (R.O. n. 61 del 1994), ma pervenute alla Corte successivamente alla pubblicazione della sentenza n. 323 del 1993 (le prime due il 10 gennaio 1994, le altre il 2 febbraio 1994), in altrettanti giudizi di convalida di licenza per finita locazione per scadenze contrattuali successive al 14 agosto 1992, ha sollevato, in riferimento all'art. 42 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell'art. 11, comma 2- bis, del decreto-legge n. 333 del 1992;

 

che il giudice rimettente prospetta l'illegittimità della disposizione legislativa nella sua interezza, perchè essa comprimerebbe in maniera indiscriminata il diritto di proprietà, non correlando il limite imposto al diritto di godimento ad alcun vantaggio per l'utilità generale, e sacrificherebbe unilateralmente il locatore, impedendo una valorizzazione delle sue concrete situazioni personali e patrimoniali;

 

che in tutti i giudizi, tranne in quello promosso dal Pretore di Venezia con ordinanza emessa il 2 marzo 1993 (R.O. n. 14 del 1994), è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso, richiamando la sentenza n. 323 del 1993 di questa Corte, per la manifesta infondatezza o inammissibilità delle questioni.

 

Considerato che i giudizi, prospettando questioni identiche e connesse, relative alla stessa disposizione legislativa, possono essere riuniti e vanno decisi congiuntamente;

 

che in via pregiudiziale deve essere dichiarata inammissibile la costituzione della Confedilizia, intervenuta davanti al Pretore di Verona dopo che era stata depositata, in data 24 settembre 1993, l'ordinanza di rimessione degli atti alla Corte costituzionale ed il relativo giudizio era stato sospeso, non potendosi ritenere che in capo ad essa sussista un interesse proprio e diretto a stare nel giudizio incidentale di costituzionalità che sia sorto dall'ordinanza di rimessione (sentenza n. 314 del 1992) con la quale il Pretore di Verona ha sollevato la questione di legittimità costituzionale;

 

che la Corte, con la sentenza n. 323 del 1993, ha già esaminato le questioni prospettate dai giudici rimettenti ed ha affermato che la proroga biennale prevista dall'art. 11 del decreto-legge n.333 del 1992 per i contratti di locazione con scadenza successiva all'entrata in vigore della legge di conversione, se le parti, alla prima scadenza del contratto, non concordino sulla determinazione del canone, non è fine a sè stessa nè è tale da configurare una riedizione del regime vincolistico, ma risponde all'esigenza eccezionale e transitoria di consentire, per un periodo di tempo limitato e attraverso un meccanismo bilanciato, volto a secondare l'accordo delle parti, un graduale passaggio ad un nuovo sistema, caratterizzato dal tendenziale superamento del principio della quantificazione legale del corrispettivo per le locazioni abitative (ordinanze n.354, 394, 469 del 1993 e 59 del 1994);

 

che la Corte ha inoltre rilevato come il sistema preveda costantemente che ad un regime che impone la protrazione coattiva, generale ed automatica del contratto si accompagni il rimedio della sua anticipata cessazione in presenza della necessità del locatore di disporre dell'immobile per sè o per i propri familiari.

 

Tale principio, enunciato dalla giurisprudenza costituzionale ed espresso dalla legislazione di settore, ha assunto, nella comune interpretazione adeguatrice (sentenza n. 132 del 1972), funzione di bilanciamento dei contrapposti interessi, rimanendo sacrificati quelli dei conduttori, altrimenti prevalenti, di fronte all'esigenza del locatore-proprietario di ottenere la disponibilità dell'immobile in caso di necessità (sentenza n. 22 del 1980);

 

che nello specifico contesto normativo e nel sistema in cui si colloca la disposizione denunciata sono individuate le ipotesi che, in presenza di patto in deroga, legittimano il diniego di rinnovazione del contratto alla prima scadenza. Gli stessi casi consentono di evitare la proroga biennale, garantendo, pertanto, al locatore che ne abbia necessità di rientrare nella disponibilità del bene;

 

che il giudice rimettente, nella ricognizione del contesto normativo della disposizione, deve sempre e costantemente essere guidato dall'esigenza di rispetto dei principi costituzionali e quindi, ove un'interpretazione appaia confliggente con uno o più di essi, è tenuto ad adottare una lettura diversa, maggiormente aderente ai parametri costituzionali altrimenti vulnerati (sentenza n. 149 del 1994), soprattutto quando, come nella specie, essa trovi riscontro negli orientamenti giurisprudenziali formatisi successivamente alla ricordata decisione della Corte;

 

che, pertanto, le questioni sollevate devono essere dichiarate manifestamente infondate.

 

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riuniti i giudizi, dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 11, comma 2-bis, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito in legge, con modificazioni, con la legge 8 agosto 1992, n. 359, sollevate dai Pretori di Verona e Venezia, in riferimento agli artt.3, 24 e 42 della Costituzione, con le ordinanze in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 maggio 1994.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Cesare MIRABELLI, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 08/06/1994.