Sentenza n. 225 del 1994

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SENTENZA N. 225

 

ANNO 1994

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Giudici

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

Avv. Massimo VARI

 

Dott. Cesare RUPERTO

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dal combinato disposto degli artt. 2118 del codice civile; 6, quarto comma, del decreto-legge 22 dicembre 1981, n. 791 (Disposizioni in materia previdenziale), convertito, con modificazioni, nella legge 26 febbraio 1982, n. 54; e 10 della legge 15 luglio 1966, n. 604 (Norme sui licenziamenti individuali), promosso con ordinanza emessa il 19 febbraio 1993 dal Tribunale di Firenze nel procedimento civile vertente tra Bianchi Corrado e la s.p.a. Assicurazioni Generali, iscritta al n. 370 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.29, prima serie speciale, dell'anno 1993.

 

Visti gli atti di costituzione di Bianchi Corrado e della s.p.a. Assicurazioni Generali nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nell'udienza pubblica del 10 maggio 1994 il Giudice relatore Fernando Santosuosso;

 

uditi gli avvocati Oronzo Mazzotta per Bianchi Corrado, Sergio Magrini per la s.p.a. Assicurazioni Generali e l'Avvocato dello Stato Stefano Onufrio per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Nel corso di un giudizio vertente tra Bianchi Corrado e le Assicurazioni Generali s.p.a., relativo alla dichiarazione di illegittimità del recesso per raggiungimento del limite di età intimato dalla seconda nei confronti del primo (dipendente delle Assicurazioni Generali s.p.a. con qualifica di dirigente), nonostante l'opzione da questi esercitata ai sensi dell'art. 6 del decreto-legge 22 dicembre 1981, n. 791, convertito, con modificazioni, nella legge 26 febbraio 1982, n. 54, il Tribunale di Firenze ha sollevato questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 2118 del codice civile; 6, quarto comma, del decreto-legge 22 dicembre 1981, n. 791 (Disposizioni in materia previdenziale), convertito, con modificazioni, nella legge 26 febbraio 1982, n. 54; e 10 della legge 15 luglio 1966, n. 604, (Norme sui licenziamenti individua li), nella parte in cui consente il licenziamento per limiti di età del dirigente che abbia esercitato l'opzione prevista dall'art. 6, primo comma, della richiamata legge n. 54 del 1982.

 

I parametri costituzionali invocati sembrano ravvisabili negli artt. 3 e 38 della Costituzione.

 

Nell'ordinanza di rimessione il giudice a quo, dopo aver richiamato la sentenza n. 309 del 1992, con cui questa Corte ha dichiarato non fondata questione analoga alla presente, sollevata dallo stesso giudice con precedente ordinanza, sottolinea la diversità della presente questione, consistente nell'ampliamento delle norme oggetto del giudizio e nella specificazione dei motivi posti a sostegno della non manifesta infondatezza della questione.

 

Secondo il Tribunale di Firenze con la pronuncia richiamata la Corte avrebbe affermato l'applicabilità dell'art. 6 della legge n. 54 del 1982 (rectius: dell'art. 6 del decreto-legge 22 dicembre 1981, n. 791, convertito nella legge 26 febbraio 1982, n. 54) anche ai dirigenti, con conseguente impossibilità (riconosciuta anche dalla giurisprudenza di merito) di un recesso esercitato sulla base del "raggiungimento del limite di età per la pensione" nell'ipotesi in cui l'interessato abbia esercitato l'opzione. Tuttavia a parere del giudice a quo residuerebbe un dubbio di legittimità costituzionale, in quanto l'affermazione circa la nullità del licenziamento del dirigente sarebbe derivata in via meramente deduttiva dall'interpretazione onnicomprensiva dell'art. 6, primo comma, della legge n. 54 del 1982, nonostante il permanente ostacolo testuale costituito dagli artt. 2118 del codice civile (che consente senza limitazione alcuna il recesso ad nutum del dirigente); 10 della legge 15 luglio 1966, n. 604 (che esclude i dirigenti dalla disciplina del recesso giustificato); 6, quarto comma, della legge 26 febbraio 1982, n.54 (che non disciplina gli effetti dell'opzione del dirigente).

 

Secondo il giudice a quo, pertanto, la norma che disciplina gli effetti dell'opzione sarebbe contenuta nella disposizione di cui al quarto comma dell'art. 6, in base al quale l'esercizio dell'opzione comporta l'applicabilità della disciplina di cui alla legge 15 luglio 1966, n. 604: disciplina la cui applicabilità ai dirigenti è però esclusa dall'art. 10 della stessa legge. La questione di costituzionalità deve pertanto correttamente riferirsi al suddetto art. 6, quarto comma, del decreto-legge 22 dicembre 1981, n. 791, convertito nella legge 26 febbraio 1982, n. 54, nella parte in cui stabilisce l'applicabilità a favore dei lavoratori che esercitano l'opzione delle disposizioni della legge 15 luglio 1966, n. 604, senza stabilire una deroga all'art. 10 della stessa legge.

 

La novità rispetto alla questione precedentemente sollevata dallo stesso giudice sarebbe altresì rappresentata da due diversi profili di incostituzionalità, consistenti nella ritenuta irrazionalità della disciplina, come vivente nell'interpretazione consolidata (si ritiene che gli effetti indicati dal quarto comma si pongano in contraddizione rispetto allo scopo previdenziale che il legislatore si prefigge al primo comma); nonchè nella presunta contraddittorietà della stessa, in quanto l'art. 6, primo comma, applicandosi anche ai dirigenti, comporterebbe che il diritto di opzione non possa rimanere privo di effetto adeguato allo scopo.

 

La soluzione consisterebbe pertanto, a parere del giudice a quo, nel negare efficacia al recesso che risulti in sè motivato per ragioni di età: tale risultato non potrebbe tuttavia essere raggiunto in via interpretativa sulla base della normativa vigente: il che spiegherebbe il carattere contraddittorio del diritto vivente, che riconosce un diritto (art. 6, primo comma) ma non i mezzi per conseguirlo, e che potrebbe essere rimosso soltanto mediante una fonte avente valore normativo che incida su tali norme in maniera vincolante per il giudice.

 

2. - Si è costituito Bianchi Corrado, concludendo per l'accoglimento della questione.

 

A sostegno di tale richiesta, la parte sottolinea come a seguito della richiamata sentenza di questa Corte (n. 309 del 1992) la censura deve appuntarsi con maggiore fondatezza sul quarto comma dell'art. 6 del decreto-legge 22 dicembre 1981, n. 791, convertito nella legge 26 febbraio 1982, n. 54, precisamente nella parte in cui non dispone la deroga all'art. 10 della legge 15 luglio 1966, n. 604, norma che escluderebbe (implicitamente) il dirigente dalla tutela contro i licenziamenti. Se infatti la questione, riguardata sotto il limitato angolo visuale del primo comma dell'art. 6 richiamato, non si pone in contrasto nè con l'art. 3 nè con l'art. 38 della Costituzione, diversa valutazione discende dalla considerazione del quarto comma, che appare irragionevole rispetto alla ratio della disciplina, diretta a salvaguardare insieme o attraverso la posizione previdenziale del singolo lavoratore anche e soprattutto le casse degli enti che gestiscono le assicurazioni obbligatorie.

 

3. - Si è costituita la s.p.a. Assicurazioni Generali, chiedendo che la questione sia dichiarata "improponibile" ai sensi dell'art. 24, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.87, e comunque manifestamente infondata per le ragioni già dedotte nel precedente giudizio di legittimità instaurato con ordinanza sollevata nel corso del medesimo procedimento davanti al Tribunale di Firenze.

 

4. - É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'inammissibilità (in quanto la questione sarebbe identica a quella già dichiarata infondata con la sentenza n. 309 del 1992) od in subordine per l'infondatezza della questione, atteso che la richiamata pronuncia della Corte è tale da far ritenere implicitamente confutati ed assorbiti i nuovi profili sotto i quali si è voluto riproporre la questione.

 

Considerato in diritto

 

1. - La questione che viene all'esame di questa Corte è se il combinato disposto degli artt. 2118 del codice civile; 6, quarto comma, del decreto-legge 22 dicembre 1981, n. 791 (Disposizioni in materia previdenziale), convertito, con modificazioni, nella legge 26 febbraio 1982, n. 54; e 10 della legge 15 luglio 1966, n. 604 (Norme sui licenziamenti individuali), nella parte in cui consente il licenziamento per limiti di età del dirigente che abbia esercitato l'opzione prevista dall'art. 6, primo comma, della legge 25 febbraio 1982, n. 54 (rectius: del decreto-legge 22 dicembre 1981, n. 791, convertito, con modificazioni, nella legge 26 febbraio 1982, n. 54), sia in contrasto con i parametri costituzionali presumibilmente ravvisabili negli artt. 3 e 38 della Costituzione.

 

2. - La questione non è fondata nei termini appresso precisati.

 

Va premesso che detta questione è stata sollevata dallo stesso giudice a quo (Tribunale di Firenze) nel corso del medesimo giudizio in cui era stata in precedenza sollevata una questione con rilevanti profili di analogia rispetto alla presente, dichiarata non fondata da questa Corte, "nei limiti in cui (era) posta", con sentenza n. 309 del 1992.

 

In quella pronuncia, si rilevava anzitutto la mancata impugnazione del quarto comma dell'art. 6 del decreto-legge n.791 del 1981, che prevede l'applicazione delle norme limitative dei licenziamenti solo per gli impiegati e gli operai, ma non per i dirigenti.

 

Detta sentenza, tuttavia, dopo aver richiamato la giurisprudenza secondo cui il diritto di opzione non ha l'effetto di riconoscere ai dirigenti la stessa stabilità goduta dagli altri lavoratori subordinati, affermava da un lato che la denunziata irrazionalità del diverso trattamento non sussiste (attesa la non omogeneità tra le due categorie), e, dall'altro, che "nè dalla disposizione denunciata può ritenersi l'irrazionalità per mancanza di effetti utili. Invero, in presenza della effettuata opzione, non può negarsi la nullità del licenziamento intimato solo per ragioni di età". Rispondendo pertanto al dubbio sollevato dal giudice a quo, la Corte concludeva che: "nè sussiste la violazione dell'art. 38 della Costituzione in quanto è assicurato al ricorrente un trattamento pensionistico adeguato".

 

3. - Torna ora il Tribunale di Firenze a sollevare analoga questione di legittimità costituzionale, provvedendo anzitutto ad ampliare le disposizioni impugnate, con particolare denunzia del quarto comma dell'art.6 del decreto-legge n. 791 del 1981, e sviluppando ampiamente i profili di incostituzionalità precedentemente esposti.

 

Pur riconoscendo il giudice a quo che la situazione dei dirigenti non è omogenea a quella degli altri lavoratori subordinati, lo stesso denunzia in particolare: a) l'incoerenza della sentenza n. 309 del 1992, in quanto la Corte, pur avendo richiamato la giurisprudenza secondo cui l'esercizio dell'opzione del dirigente comporta la perdita della facoltà datoriale di collocarlo a riposo per limiti di età, non ha dichiarato illegittime le disposizioni confliggenti col menzionato principio; b) la irrazionalità del quarto comma del citato art. 6 (che nega ai dirigenti qualunque elemento di stabilità), per contraddizione col primo comma dello stesso articolo, che consente anche ai dirigenti di esercitare il diritto di opzione per la prosecuzione del rapporto. In base a tali rilievi, secondo il giudice rimettente, la giustificazione contrattuale del recesso per limiti di età del dirigente (con la sola conseguenza del pagamento di una certa somma) colliderebbe con la nullità legale del recesso per detto motivo.

 

4. - Da quanto sopra esposto, consegue che va respinta l'eccezione di inammissibilità prospettata in questa sede, dal momento che in realtà con la seconda ordinanza sono state denunziate disposizioni diverse rispetto alla precedente, si è fatto riferimento all'art. 3 della Costituzione anche sotto il profilo della irragionevolezza, e si sono dedotti argomenti non coincidenti con quelli precedentemente esposti.

 

Invero, poichè l'effetto preclusivo alla riproposizione di questioni nel corso dello stesso giudizio deve ritenersi operante soltanto allorchè risultino identici tutti e tre gli elementi che compongono la questione (norme impugnate, profili d'incostituzionalità dedotti, argomentazioni svolte a sostegno della ritenuta incostituzionalità), quella ora in esame non può ritenersi identica alla precedente, e non vale di conseguenza la preclusione operante in forza del principio del ne bis in idem (cfr. sentenze n. 257 del 1991 e n. 55 del 1968).

 

5. - Nel merito, va ricordato che le norme denunziate sono state interpretate dalla giurisprudenza della Corte di cassazione, con una costanza che assume i connotati di diritto vivente, fatto proprio anche da questa Corte nella sentenza n. 309 del 1992, nel senso che, qualora il dirigente abbia esercitato il diritto di opzione alla prosecuzione del rapporto - diritto riconosciuto a tutti gli iscritti all'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità e vecchiaia - egli non consegue una stabilità ulteriore rispetto ai limiti di quella già goduta, permanendo cioé la possibilità di un licenziamento ad nutum (per inefficienza, invalidità, inoperosità, e in genere per il venir meno di quella fiducia che caratterizza il rapporto di lavoro dei dirigenti), ma non anche per il motivo connesso al mero conseguimento di limiti di età prima della scadenza del termine stabilito a seguito della prosecuzione del rapporto consentita dalla legge.

 

L'onere della prova - secondo il principio dell'art. 2697 del codice civile - incombe sulla parte che agisce per far dichiarare la nullità di un siffatto licenziamento.

 

6. - Una volta riconosciuti dalla giurisprudenza di legittimità e da questa Corte gli enunciati principi, non appare ravvisabile alcuna incoerenza nelle norme denunziate, le quali quindi, qualora così interpretate, non risultano inficiate da vizi di incostituzionalità.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 2118 del codice civile; 6, quarto comma, del decreto-legge 22 dicembre 1981, n.791 (Disposizioni in materia previdenziale), convertito, con modificazioni, nella legge 26 febbraio 1982, n. 54; e 10 della legge 15 luglio 1966, n. 604 (Norme sui licenziamenti individuali), in riferimento agli artt.3 e 38 della Costituzione, sollevata dal Tribunale di Firenze con l'ordinanza indicata in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 maggio 1994.

 

Gabriele PESCATORE, Presidente

 

Fernando SANTOSUOSSO, Redattore

 

Depositata in cancelleria il Deposito del 08/06/1994