SENTENZA
N. 224
ANNO 1994
REPUBBLICA
ITALIANA
In
nome del Popolo Italiano
composta dai signori:
Presidente
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Giudici
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Giuliano VASSALLI
Prof. Francesco GUIZZI
Prof. Cesare MIRABELLI
Prof. Fernando SANTOSUOSSO
Avv. Massimo VARI
Dott. Cesare RUPERTO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt.
15, primo, terzo e quarto comma, 47, secondo e terzo comma, 152, primo comma, e
159 del decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385, recante "Testo
unico delle leggi in materia bancaria e creditizia", promosso con ricorsi
della Provincia autonoma di Bolzano, della Regione Sardegna, della Provincia
autonoma di Trento e della Regione Trentino- Alto Adige, rispettivamente
notificati il 30 e 29 settembre 1993, depositati in cancelleria il 4 e 5
novembre successivi ed iscritti ai nn. 67, 68, 69 e
70 del registro ricorsi 1993.
Visti gli atti di costituzione del
Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 12 aprile 1994 il Giudice
relatore Enzo Cheli;
uditi gli avvocati Roland Riz e
Sergio Panunzio per
Ritenuto in fatto
1. - Con ricorso in data 27 ottobre 1993
(n. 67 del 1993)
Nel ricorso si ricorda che ai sensi
dell'art. 11, primo e secondo comma, dello Statuto speciale del Trentino-Alto
Adige, alla Provincia autonoma di Bolzano spetta il potere di autorizzare
l'apertura e il trasferimento di sportelli bancari di aziende di credito a
carattere locale, provinciale e regionale, sentito il parere del Ministero del
tesoro, nonchè il potere di esprimere parere ai fini
dell'autorizzazione concessa dal Ministero del tesoro all'apertura e al
trasferimento nella provincia di sportelli bancari delle altre aziende di
credito. Si sottolinea, inoltre, che, in materia di ordinamento delle aziende
di credito a carattere regionale, la norma di attuazione contenuta nell'art. 1
del d.P.R. n.234 del 1977 dispone che le attribuzioni
delle amministrazioni statali in materia di ordinamento degli istituti di
credito a carattere regionale sono esercitate, nell'ambito del proprio
territorio, dalla Regione Trentino-Alto Adige "ad eccezione delle
attribuzioni spettanti, ai sensi dell'art. 11 dello stesso decreto, alle
Province di Trento e Bolzano".
Ciò premesso,
Secondo la ricorrente, tali norme
priverebbero
Nel ricorso si osserva che
l'incostituzionalità denunciata riguarda diversi profili, riferiti all'art. 11
dello Statuto speciale.
Innanzitutto, dagli artt. 15 e 159
discenderebbe la completa soppressione del potere spettante alla Provincia di
autorizzazione all'apertura e al trasferimento di sportelli bancari di aziende
di credito a carattere locale, provinciale e regionale. In secondo luogo,
risulterebbe violato il diritto della Provincia a esprimere il proprio parere
prima che il Ministero del tesoro autorizzi l'apertura o il trasferimento nella
provincia di sportelli di aziende di credito non locali, provinciali e
regionali.
Nel ricorso si afferma, infine, che il
vizio di incostituzionalità investirebbe anche i commi terzo e quarto dell'art.
15, che disciplinano il diritto di stabilire succursali nel territorio della Repubblica italiana da parte di banche comunitarie ed
extracomunitarie, attribuendo i controlli relativi alla Banca d'Italia e alla
CONSOB: anche queste disposizioni sarebbero in contrasto con l'art. 11 dello
Statuto speciale nella parte in cui, escludendo il potere autorizzatorio
del Ministero, sottraggono alla Provincia il diritto di essere sentita dal
Ministero del tesoro e di dare il preventivo parere all'autorizzazione
all'apertura e al trasferimento nel territorio provinciale di sportelli bancari
di tali aziende di credito.
2. - Con ricorso in data 29 ottobre 1993
(n. 69 del 1993) anche
Nè, secondo
Con riferimento all'ammissibilità del
ricorso,
3. - Con ricorso in data 25 ottobre 1993
(n. 70 del 1993)
Tale assunto troverebbe conferma nel
secondo comma dell'art. 159 del testo unico che, attribuendo alla Banca
d'Italia il potere di esprimere parere vincolante in ordine a una serie di
provvedimenti di competenza regionale, svuoterebbe di ogni contenuto
sostanziale la stessa competenza.
Nè si potrebbe sostenere, sempre ad avviso della Regione,
che le valutazioni concernenti la vigilanza, in quanto eminentemente tecniche,
sarebbero insuscettibili di essere compiute dagli organi regionali, dal momento
che l'art. 9, primo comma, del decreto impugnato prevede avverso i
provvedimenti adottati dalla Banca d'Italia nell'esercizio dei poteri di
vigilanza il reclamo ad un organo politico-governativo quale il Comitato
interministeriale per il credito ed il risparmio.
Nel ricorso si rileva anche che il
contrasto con le norme di attuazione dello Statuto risulta ancora più evidente
ove si consideri che l'art. 3, secondo comma, del d.P.R.
n. 234 del 1977 disciplina in modo puntuale i raccordi
tra
Inoltre,
Infine, la ricorrente denuncia la
violazione da parte del secondo comma dell'art.
4. - Con ricorso in data 29 ottobre 1993
(n. 68 del 1993)
Dopo aver richiamato le norme statutarie
che attribuiscono alla Regione Sardegna competenza legislativa e amministrativa
di tipo concorrente in materia di ordinamento degli enti di credito fondiario
ed agrario, delle casse di risparmio, delle casse rurali, dei monti frumentari
e di pegno e degli altri istituti di credito di carattere regionale, nel
ricorso sono in primo luogo illustrate le censure di costituzionalità relative
all'art.152 del decreto impugnato. Questa disposizione stabilisce che entro il
1o gennaio 1996 le casse comunali e i monti di credito su pegno che non
raccolgono risparmio devono assumere iniziative che portino alla cessazione
dell'esercizio dell'attività creditizia ovvero alla estinzione
degli enti stessi e, in caso di inerzia, trascorso il termine suddetto, sono
posti in liquidazione. Ad avviso della Regione una siffatta disciplina sarebbe
incostituzionale, dal momento che svuoterebbe di contenuto la competenza
regionale in materia di istituzione ed ordinamento degli enti di credito
agrario di carattere regionale, senza, d'altro canto, prevedere alcuna forma di
intervento della Regione nel procedimento di messa in liquidazione delle casse
in questione, in violazione del principio di leale collaborazione tra lo Stato
e le Regioni.
Passando all'esame dell'art. 159 il
ricorso denuncia varie lesioni dell'autonomia regionale. In primo luogo, con la
norma impugnata si sarebbe inteso "subordinare" al parere vincolante
della Banca d'Italia il potere della Regione in ordine ad ogni singolo
provvedimento autorizzatorio in materia creditizia e
questo in contrasto con i poteri che gli artt. 4 e 6 dello Statuto speciale
riservano alla Regione. Inoltre, l'art.
Sotto questo profilo l'art. 159, ad
avviso della Regione ricorrente, contrasterebbe, oltre che con le citate norme
statutarie, anche con l'art. 76 della Costituzione per violazione dei limiti
della delega.
Un ulteriore profilo di
incostituzionalità dell'art. 159 riguarda il combinato disposto del secondo,
terzo e quarto comma di tale articolo, dove si dispone l'inderogabilità della
norma che prescrive il parere vincolante della Banca d'Italia e la sua
prevalenza sulle disposizioni già emanate o sulle norme di recepimento della
direttiva CEE n. 89/646 che venissero in futuro emanate dalla Regione nella
materia disciplinata dalla stessa direttiva.
Nel ricorso si contesta anche che
l'art.159 disciplini il parere vincolante della Banca d'Italia, mentre secondo
la previsione dell'art. 46 del decreto legislativo n. 481 del 1992, questo
potere doveva essere disciplinato dalla legge regionale: anche sotto questo
profilo, secondo
Viene poi censurato l'art. 47 del testo
unico, che, dopo avere stabilito, al primo comma, che tutte le banche possono
erogare finanziamenti assistiti da agevolazioni previste dalle leggi vigenti purchè regolati da convenzione con l'amministrazione
pubblica competente, al secondo e terzo comma disciplina tale convenzione,
prevedendo che essa sia preceduta da un parere obbligatorio della Banca
d'Italia.
Nel ricorso si fa osservare che numerose
leggi regionali hanno istituito fondi pubblici di agevolazione creditizia in
materie di competenza esclusiva della Regione Sardegna (es. industria
alberghiera e turistica, artigianato) e che gli artt. 109 del
d.P.R. 24 luglio 1977, n.616 e 71, quarto comma,
del d.P.R. 19 giugno 1979, n. 348, hanno
integralmente trasferito alla Regione tutte le funzioni legislative e
amministrative concernenti ogni tipo di intervento per favorire l'accesso al
credito agevolato, ivi compresa la disciplina dei rapporti tra
Al fine di prevenire eventuali eccezioni
d'inammissibilità
5. - In tutti i giudizi è intervenuto il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura
generale dello Stato, per chiedere che le questioni sollevate siano dichiarate
inammissibili o infondate.
La difesa dello Stato ripercorre le
vicende che hanno preceduto l'emanazione del testo unico impugnato, richiamando
i contenuti della direttiva CEE n. 89/646, in tema di coordinamento delle
disposizioni relative all'accesso all'attività degli enti creditizi, e del
decreto legislativo 14 dicembre 1992, n. 481, con il quale, in attuazione della
delega prevista dalla legge comunitaria per il 1991 (artt. 2 e 25 della L. 19
febbraio 1992, n. 142), è stata recepita la direttiva in questione. In parti
colare, si osserva che la delega contenuta nella legge comunitaria prevedeva
che il Governo emanasse una disciplina attuativa non solo dei contenuti
espliciti della direttiva, ma anche dei principi di armonizzazione da essa
ricavabili, quali quelli relativi alla convergenza degli ordinamenti, alla
"despecializzazione" istituzionale delle
banche ed al rafforzamento degli strumenti di vigilanza sulle stesse. La delega
è stata quindi esercitata con l'emanazione del decreto legislativo n. 481 del
1992 dove, all'art. 46, si prevedeva che le Regioni a statuto speciale
emanassero entro 180 giorni le norme di recepimento della direttiva e che tali
norme, ferme le competenze regionali, riservassero alla Banca d'Italia le
valutazioni in tema di vigilanza, modifiche statutarie e fusioni.
Inoltre - rileva ancora la difesa dello
Stato - in attuazione dell'ulteriore delega prevista dall'art. 25 della citata
legge comunitaria (concernente il coordinamento delle specifiche disposizioni
di attuazione della direttiva n. 89/646 con la precedente disciplina di
settore, apportando "le modifiche necessarie" ai fini del
coordinamento) si è proceduto all'approvazione del testo unico impugnato. In
tale occasione il Governo, preso atto del mancato recepimento della direttiva
da parte delle Regioni, riformulava la norma destinata a riprodurre l'art. 46
del decreto legislativo n. 481 del
Ciò premesso, in relazione alle
questioni sollevate dalla Provincia autonoma di Bolzano, l'Avvocatura dello
Stato afferma che la progressiva attuazione dell'ordinamento comunitario ha
comportato dapprima una maggiore apertura nel rilascio delle autorizzazioni e
successivamente la soppressione dello stesso istituto dell'autorizzazione. Tale
soppressione avrebbe determinato il venir meno del potere autorizzatorio
sia per
Inoltre, l'Avvocatura rileva che
l'apertura di nuovi sportelli può oggi essere vietata ai sensi dell'art. 15,
primo comma, del testo unico solo nell'ipotesi in cui la banca non disponga di
strutture organizzative ovvero di una adeguata
situazione finanziaria ed economica, mentre non è più connessa alla finalità di
commisurare lo sviluppo territoriale delle banche alle esigenze economiche
delle piazze di insediamento: pertanto, la valutazione tecnica di questi
aspetti atterrebbe esclusivamente alla vigilanza sull'esercizio dell'attività
creditizia - funzione strutturalmente estranea alle competenze regionali -
mentre l'inderogabilità prevista dall'art. 159 risulterebbe stabilita solo in
funzione del rispetto dei principi comunitari.
In relazione al ricorso proposto dalla
Regione Sardegna l'Avvocatura osserva, poi, in primo luogo - con riferimento
alle censure formulate nei confronti dell'art. 152 - che l'attuazione della
direttiva n.89/646 ha determinato il superamento delle categorie speciali degli
enti creditizi e la conseguente abrogazione delle norme che ne disciplinavano
l'attività. Nel nuovo sistema l'attività creditizia è riservata, infatti, alle
imprese bancarie e agli intermediari finanziari organizzati in forma
societaria. Pertanto, secondo l'Avvocatura, la necessità di trasformazione
delle casse comunali di credito agrario discenderebbe da tali modificazioni
introdotte in attuazione dei principi comunitari, pur restando ferma la
preesistente competenza regionale in materia di ordinamento delle aziende di
credito locali. Sotto questo profilo la difesa dello Stato rileva che il testo
unico impugnato non sarebbe tale da incidere sulle competenze regionali, dal
momento che la trasformazione e liquidazione delle casse comunali di credito
agrario resterebbe pur sempre disciplinata dalla normativa previgente.
L'Avvocatura dello Stato richiama
inoltre - in relazione alle censure formulate nei confronti dell'art. 159 - le
disposizioni contenute nella direttiva n. 89/646 che affidano alle autorità di
ciascun Stato membro abilitate all'esercizio del controllo sugli enti creditizi
nazionali compiti di vigilanza sulla loro solidità finanziaria e che impongono
a tali autorità di negare l'autorizzazione all'esercizio dell'attività qualora
non risulti assicurata la "sana e prudente gestione". L'attribuzione
alle Regioni a statuto speciale di competenze in materia di ordinamento delle
aziende bancarie locali avrebbe, pertanto, reso necessario il coordinamento
dell'esercizio di tali competenze con le funzioni di vigilanza.
L'Avvocatura ribadisce anche che
l'attuazione della normativa comunitaria avrebbe comportato la soppressione
della valutazione delle esigenze economiche del mercato e la necessità di
estendere la valutazione di vigilanza ai momenti organizzativi dell'impresa
prevedendo in materia l'intervento dell'organo tecnico statale. Pertanto, la
normativa impugnata non lederebbe alcuna prerogativa regionale, dal momento che
la giurisprudenza costituzionale ha affermato che le norme di attuazione della
disciplina comunitaria possono porsi come li mite che
vincola l'autonomia delle Regioni anche nell'esercizio di potestà legislativa
esclusiva. Quanto all'obbligo di prevedere l'acquisizione di un parere
vincolante della Banca d'Italia per le valutazioni di vigilanza, nella memoria
dell'Avvocatura si rileva che tale obbligo era stato già previsto dall'art. 46
del decreto legislativo n. 481 del 1992 e che, pertanto, tale previsione
vincolava già il legislatore regionale.
Infine - in relazione alle censure
formulate nei confronti dell'art.47 del testo unico - si osserva che tale
disposizione concerne una materia riservata allo Stato dall'art. 109 del d.P.R. n. 616 del 1977.
Quanto al disposto del secondo e del
terzo comma dell'art. 47 - che disciplinano le forme attraverso le quali le
banche possono essere coinvolte nella gestione di fondi pubblici di
agevolazione - la difesa dello Stato ricorda che furono le commissioni
competenti della Camera e del Senato a richiedere che la scelta delle banche
con le quali stipulare convenzioni in questa materia fosse effettuata dalla
pubblica amministrazione sulla base di criteri che tengano conto della struttura
tecnica organizzativa ai fini della prestazione del servizio.
Con argomentazioni analoghe a quelle ora
esposte l'Avvocatura dello Stato ha chiesto che siano dichiarate inammissibili
o comunque infondate anche le questioni sollevate dalla Provincia autonoma di
Trento e dalla Regione Trentino-Alto Adige.
6. - In prossimità dell'udienza
In particolare,
Nella memoria si osserva anche che il
testo unico ha riservato alla Banca d'Italia poteri di ingerenza
assai rilevanti, consistenti nella facoltà di vietare l'istituzione di
succursali di banche nazionali. Secondo
7. - Nella sua memoria
Anche in relazione all'art. 159 del
testo unico
Infine, nella memoria si insiste nella
censura relativa all'eccesso di delega in cui sarebbe incorso l'art. 159,
secondo comma, dal momento che le fattispecie contenute negli artt. 31 e 36 del
testo unico (per cui è previsto il parere vincolante della Banca d'Italia)
risulterebbero diverse da quelle regolate negli artt. 21 e 25 del decreto
legislativo n. 481 del 1992.
8. - Nella memoria presentata
dall'Avvocatura dello Stato si rileva preliminarmente che la diretta
derivazione dell'art. 159 impugnato dall'art. 46 del decreto legislativo n. 481
del 1992 non può non riflettersi negativamente sull'ammissibilità dei ricorsi
presentati nel presente giudizio, dal momento che quest'ultima disposizione non
è stata impugnata dalle parti ricorrenti: ad avviso dell'Avvocatura, infatti,
l'art. 159 del testo unico riproduce sostanzialmente l'art. 46 del decreto
legislativo n. 481, attuativo della direttiva n. 89/646, in riferimento alle
corrispondenti disposizioni degli artt. 15, 16, 26 e 47 dello stesso testo
unico.
Sotto diverso profilo l'Avvocatura
sostiene che le Regioni ricorrenti hanno competenza di tipo concorrente in
materia di ordinamento degli enti di credito a carattere regionale e devono,
pertanto, rispettare, nell'esercizio di tale competenza, i limiti derivanti dai
principi posti dalle leggi dello Stato (e quindi, nella specie, dal testo unico
impugnato), dagli obblighi internazionali e dagli interessi nazionali.
L'Avvocatura prosegue affermando che la
materia relativa alla disciplina della raccolta del risparmio e dell'esercizio
del credito rimane riservata allo Stato e che resta esclusa dalla competenza
regionale la disciplina di tutto ciò che attiene all'attività degli enti creditizi.
Dopo aver ribadito che l'attribuzione
alla Banca d'Italia del potere di esprimere parere vincolante ai fini
dell'adozione di provvedimenti di competenza regionale rientra nell'attività di
vigilanza di competenza statale, la difesa dello Stato conclude affermando che
le modifiche introdotte nell'ordinamento nazionale in applicazione delle
direttive comunitarie in materia di attività creditizia hanno profondamente
cambiato il quadro di riferimento normativo presupposto dagli statuti speciali
delle Regioni autonome e delle relative norme di attuazione. Di conseguenza, il
mutato assetto di questo quadro, in esecuzione di obblighi comunitari, non può
non riflettersi sulle competenze in materia delle Regioni a statuto speciale (e
delle Province autonome), dal momento che si tratta di competenze non
attribuite a titolo originario, ma derivate da quelle statali.
La legge dello Stato, sottraendo
preliminarmente certe attività al controllo amministrativo, avrebbe, quindi, reso inoperanti le previsioni statutarie senza per questo
invadere le competenze regionali.
Considerato in diritto
1. - I quattro ricorsi in esame
investono questioni di costituzionalità in parte identiche e in parte connesse.
I giudizi relativi vanno, pertanto, riuniti per essere decisi con una stessa
sentenza.
2. - Le Province autonome di Bolzano e
di Trento,
In particolare, di tale decreto
legislativo:
a)
b)
c)
La disciplina impugnata, introducendo a
fini di vigilanza il parere vincolante della Banca d'Italia in ordine all'esercizio
di talune competenze regionali, avrebbe sostanzialmente svuotato tali
competenze, derogando altresì alle norme di attuazione dello Statuto speciale
senza il rispetto della parti colare procedura
prevista per queste norme e sottraendo alla stessa Regione, mediante la
previsione dell'immediata operatività dell'obbligo di tale parere vincolante,
il potere di adeguarsi alla nuova disciplina statale entro il termine di sei
mesi;
d)
3. - Va in primo luogo esaminata
l'eccezione di inammissibilità prospettata dalla difesa dello Stato in
relazione al fatto che parte delle disposizioni impugnate, contenute nel testo
unico, avrebbero sostanzialmente riprodotto norme già formulate nel decreto
legislativo 14 dicembre 1992, n. 481, attuativo della direttiva CEE n.89/646, a
suo tempo non impugnate dalle ricorrenti. L'eccezione viene riferita, in
particolare, all'art. 159 del testo unico, in relazione al contenuto dell'art.
46 del decreto legislativo n. 481.
Tale eccezione non può essere accolta.
Come rilevano le Regioni e le Province
ricorrenti, il testo unico approvato con il decreto legislativo n. 385 del 1993
non è "compilatorio" ma "normativo" (o
"innovativo"), trovando il suo fondamento nella delega conferita al
Governo con l'art.25, secondo comma, della legge 19 febbraio 1992, n. 142. Le
norme formulate in tale testo unico hanno, pertanto, assunto una propria forza
dispositiva suscettibile di incidere autonomamente nella sfera regionale,
quand'anche si siano venute a configurare come ripetitive, in tutto o in parte,
dei contenuti espressi in precedenti disposizioni di legge.
Nè - come questa Corte ha spesso sottolineato - nei
giudizi di costituzionalità in via principale il giudizio può essere precluso
in conseguenza della mancata impugnazione di un precedente atto legislativo di
contenuto identico o analogo, non operando in questo giudizio l'istituto
dell'acquiescenza così come elaborato dalla giurisprudenza amministrativa (v. sentt.
nn. 49 del 1987; 19 del 1970;113 del 1967).
I ricorsi in esame sono, pertanto,
ammissibili in quanto proposti con tempestività.
4. - Passando all'esame del merito delle
questioni sollevate, va innanzitutto richiamato l'iter che ha condotto
all'adozione del nuovo testo unico delle leggi in materia bancaria e
creditizia, approvato con il decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385.
La prima fase di tale iter si collega
alla direttiva approvata dal Consiglio delle comunità europee il 15 dicembre
1989 (89/646/CEE), relativa al coordinamento delle disposizioni legislative,
regolamentari e amministrative riguardanti l'accesso e l'esercizio delle
attività degli enti creditizi. Questo testo (comunemente qualificato come
"seconda direttiva" in materia bancaria), sviluppando e modificando
la precedente direttiva CEE del 12 dicembre 1977 (77/780) - recepita nel
diritto interno con il decreto legislativo 27 giugno 1985, n.350 - ha posto
alcuni principi di notevole portata innovativa. In particolare la "seconda
direttiva", al fine di consentire la libera concorrenza tra le imprese
bancarie nell'ambito comunitario, ha, tra l'altro, disposto: a) il reciproco
riconoscimento e la validità su scala europea delle autorizzazioni rilasciate
dagli Stati membri per l'esercizio dell'attività bancaria; b) la subordinazione
del reciproco riconoscimento alla armonizzazione
minima delle condizioni relative all'accesso all'attività bancaria ed al suo
esercizio, condizioni specificate nei titoli II e IV della stessa direttiva; c)
l'affidamento della "vigilanza prudenziale" alle autorità competenti
dello Stato membro di origine, cui viene riconosciuto il compito di valutare
l'adeguatezza della organizzazione amministrativa e contabile delle singole
banche e di sorvegliare sulla loro gestione e situazione finanziaria; d) la
possibilità per le banche aventi sede nella comunità di aprire succursali negli
Stati membri senza necessità di autorizzazioni particolari (c.d. "libertà
di stabilimento"), nonchè di svolgere
liberamente i propri servizi in settori regolati dalla stessa direttiva (c.d.
"libera prestazione dei servizi").
In un secondo momento, con la legge 18
febbraio 1992, n. 142 (Legge comunitaria per il 1991) il Governo veniva
delegato ad attuare la direttiva CEE 89/646, nel rispetto dei principi elencati
al primo comma dell'art. 25.
Contestualmente, con il secondo comma
dello stesso articolo, il Governo riceveva anche la delega ad emanare, entro
diciotto mesi, un testo unico delle disposizioni che sarebbero state adottate,
ai sensi del primo comma, in attuazione della direttiva, testo da coordinare
"con le altre disposizioni vigenti nella stessa materia, apportandovi le
modifiche necessarie a tal fine".
Veniva, quindi, emanato il decreto
legislativo 14 dicembre 1992, n. 481, di attuazione della direttiva 89/646,
dove i principi della stessa venivano adattati al contesto italiano con
riferimento sia all'esercizio dell'attività bancaria (riservata agli enti
creditizi) che allo svolgimento dell'attività di vigilanza (riservata alla
Banca d'Italia).
In tale decreto la sfera delle
attribuzioni spettanti alla Regioni a statuto speciale in materia creditizia
veniva disciplinata dall'art. 46, dove si attribuiva alle stesse Regioni il
potere di emanare, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del
decreto, norme di recepimento della direttiva comunitaria. Con lo stesso
articolo si introduceva anche la previsione di un parere vincolante della Banca
d'Italia, per gli aspetti rilevanti ai fini della vigilanza, sull'esercizio dei
poteri regionali in tema di autorizzazione all'attività bancaria, di modificazioni
degli statuti degli enti creditizi, di fusioni e scissioni interessanti gli
stessi enti, (secondo comma), nonchè l'indicazione
del carattere inderogabile, rispetto alla legislazione regionale, di una serie
di norme formulate nello stesso decreto legislativo (terzo comma).
Veniva, infine, approvato il decreto
legislativo 1 settembre 1993 n.385, recante il testo unico delle norme in
materia bancaria e creditizia, che, oltre a recepire i contenuti del decreto
legislativo 14 dicembre 1992 n. 481, riordinava organicamente l'assetto della
materia, sostituendo pressochè integralmente - sulla
scorta di principi fortemente innovativi - il complesso di norme varato con la
c.d. "legge bancaria" del 1936-38.
La nuova disciplina posta dal testo
unico n. 385 si è venuta, dunque, a caratterizzare sia come disciplina
direttamente attuativa di una direttiva comunitaria (per lo stretto
collegamento esistente tra il testo unico ed il decreto attuativo n. 481 del 1992),
sia come legge di grande riforma economico- sociale.
La vicenda normativa che abbiamo
richiamato induce, dunque, preliminarmente, a sottolineare un dato di ordine
storico. Mentre con i ricorsi in esame le Regioni e le Province ricorrenti
lamentano la lesione delle proprie competenze in materia creditizia così come
le stesse risultano ancor oggi configurate negli Statuti speciali e nelle
relative norme di attuazione, questi Statuti e queste norme, in relazione al
tempo in cui furono adottati, assumono a loro presupposto un quadro generale di
riferimento che, trovando la sua base nella "legge bancaria" del
1936-38, risulta ispirato a principi notevolmente diversi da quelli che, in
base ai più recenti sviluppi della normazione
comunitaria, sono venuti a caratterizzare il nuovo assetto della materia
bancaria e creditizia.
5. - Poste queste premesse, si può ora
passare ad esaminare le singole censure proposte con i ricorsi, seguendo
l'ordine progressivo delle disposizioni impugnate.
Le Province autonome di Bolzano e di
Trento impugnano, in primo luogo, l'art. 15, primo comma, del testo unico, dove
si riconosce alle banche italiane la facoltà di stabilire succursali nel
territorio della Repubblica e degli altri Stati comunitari senza richiedere una
specifica autorizzazione, salvo il potere della Banca d'Italia di vietare lo
stabilimento della nuova succursale "per motivi attinenti all'adeguatezza
delle strutture organizzative o della situazione finanziaria, economica e
patrimoniale della banca".
Ad avviso delle ricorrenti tale
disciplina, non prevedendo alcuna competenza, nè
deliberativa nè consultiva, delle Province autonome
in tema di apertura di nuove succursali nell'ambito provinciale, verrebbe a
violare l'art. 11 dello Statuto speciale (con le relative norme di attuazione),
che, al primo comma, subordina al rilascio di una autorizzazione
provinciale - sentito il parere del Ministero del tesoro - l'apertura ed il
trasferimento di sportelli bancari di aziende di credito a carattere locale,
provinciale e regionale e, al secondo comma, prevede, per le altre aziende di
credito, il rilascio della autorizzazione da parte del Ministero del tesoro,
previo parere della Provincia interessata.
La questione non è fondata nei termini
che verranno di seguito precisati.
I poteri deliberativi e consultivi
riconosciuti, in materia di apertura e trasferimento di sportelli bancari, alle
Province autonome venivano a trovare, nel precedente ordinamento bancario, la
loro giustificazione nella presenza di un mercato bancario
"controllato" nonchè nell'esigenza di
regolare l'insediamento di nuove imprese bancarie anche in funzione dello
sviluppo dell'economia e della società locale. Tali poteri non appaiono,
peraltro, più rispondenti al quadro della nuova disciplina del credito
conseguente al recepimento della direttiva CEE 89/649, che, in funzione della
definizione del mercato interno europeo e della concorrenza tra le imprese
bancarie comunitarie, ha introdotto la "libertà di stabilimento" per
le succursali di tali imprese, salva la "vigilanza prudenziale"
affidata all'autorità monetaria dello Stato membro di origine (v. artt. 6, 13 e
18 della direttiva 89/646). La "libertà di stabilimento" deve,
infatti, ritenersi incompatibile con la previsione di autorizzazioni aggiuntive
rispetto a quella rilasciata dallo Stato membro all'ente crediti zio per
l'inizio della propria attività (v.art. 3 direttiva CEE 77/780) ovvero con la previsione di limiti
connessi a finalità diverse da quelle inerenti alla "vigilanza
prudenziale", spettante all'autorità competente dello Stato membro di
origine. Nè la particolare forza propria delle norme
poste nello Statuto speciale può essere tale da giustificare la sopravvivenza
di competenze provinciali quali quelle in esame, una
volta che le stesse vengano a contrastare con discipline adottate in sede
comunitaria nonchè con il riassetto organico dell'intera
materia operato, in attuazione della normativa comunitaria, nell'ambito del
diritto interno.
In questi casi la competenza provinciale
non può restare immutata, una volta che sia divenuto inoperante, in conseguenza
della nuova disciplina attuativa introdotta dal legislatore statale,
l'"originario presupposto" su cui la competenza stessa risultava
fondata (v. sent.
n. 150 del 1993 e n. 13 del 1964).
6. - Le considerazioni che precedono
consentono di affermare l'infondatezza anche della rivendicazione avanzata
dalla Provincia di Trento in ordine al potere di veto affidato, dal primo comma
dell'art. 15, alla Banca d'Italia, potere fondato sulla vigilanza spettante in
via esclusiva a tale ente (art. 159, primo comma) e, in ogni caso,
differenziato, nei suoi presupposti e nelle sue finalità, dal potere autorizzatorio già riconosciuto alla Provincia dall'art.
11, primo comma, dello Statuto speciale.
Parimenti, ma sotto un diverso profilo,
non appare neppure condivisibile la tesi affermata nella memoria della Provincia
di Bolzano al fine di escludere dagli effetti liberalizzanti della
"seconda direttiva" le banche nazionali e fondata
sul presupposto che la stessa verrebbe a disciplinare esclusivamente il regime
di apertura delle succursali in uno Stato membro della comunità da parte di
enti creditizi appartenenti ad un altro Stato membro, senza investire il regime
dell'apertura di dipendenze bancarie nel territorio di uno Stato da parte di
banche appartenenti allo stesso Stato. E invero, ove tale tesi venisse condivisa,
lo stesso principio della concorrenza e della libertà di mercato, che ispira la
disciplina comunitaria - e che risulta fondato sulla parità di trattamento tra
le imprese bancarie dei paesi membri della Comunità - verrebbe alterato a danno
delle imprese nazionali che, nella sfera territoriale delle due Province
autonome, si troverebbero condizionate - attraverso la sottoposizione ad un
potere autorizzatorio non operante per le altre
imprese - da limitazioni maggiori di quelle consentite nei confronti delle
banche degli altri paesi della Comunità. E questo in aperto contrasto con il
criterio di ragionevolezza cui non può non ispirarsi l'interpretazione e
l'attuazione della normativa comunitaria.
Va, peraltro, considerato che in una ipotesi - quella cioé
contemplata dal quarto comma dell'art. 15 e riferita all'apertura di succursali
da parte delle banche extracomunitarie già operanti nel territorio della
Repubblica - il potere autorizzatorio permane e viene
affidato alla Banca d'Italia.
In questo caso - estraneo alla
"libertà di stabilimento" riconosciuta per le banche nazionali e
comunitarie - la permanenza di un potere autorizzatorio
statale (sia pure trasferito dal Ministero del tesoro alla Banca d'Italia) non
può non trovare rispondenza nella parallela sopravvivenza del potere consultivo
affidato, dal secondo comma dell'art. 11 dello Statuto speciale, alle Province
autonome. Mancando nel testo unico un'esplicita previsione di segno contrario,
non può, dunque, dubitarsi del fatto che,
nell'ipotesi contemplata dall'art.15, quarto comma, spetti tuttora alle
Province autonome di Bolzano e Trento il potere di esprimere il proprio parere
sulle autorizzazioni da tale norma previste, da concedere, nei rispettivi
ambiti provinciali, alle succursali di banche extracomunitarie.
7. -
Ad avviso della ricorrente queste
disposizioni risulterebbero lesive delle attribuzioni regionali, dal momento
che la materia del credito agevolato spetterebbe alla Regione a titolo di
competenza esclusiva e che nessun richiamo al parere in questione compare nel
terzo comma dell'art. 6 del decreto legislativo n. 481 del 1992, dove si trova
enunciato il primo nucleo di questa disciplina.
La questione è infondata.
Non può essere innanzitutto condivisa la
tesi secondo cui il settore regolato dall'art.47 del testo unico spetterebbe
alla Regione ricorrente a titolo di competenza esclusiva, in quanto attinente
alla gestione del credito agevolato relativo a materie
di competenza esclusiva. A tale conclusione non può condurre, infatti, nè l'esame delle norme dello Statuto speciale (dove la
competenza regionale nella materia del credito risulta inquadrata dall'art. 4,
lett. b), tra le competenze concorrenti), nè il
richiamo all'art. 109 del d.P.R. 24 luglio 1977, n.
616 (che concerne soltanto il trasferimento delle funzioni amministrative nel
settore dell'accesso al credito agevolato, con la previsione, peraltro, di
un'ampia riserva statale).
In ogni caso l'introduzione di un parere
quale quello in contestazione non può ritenersi lesiva
delle attribuzioni regionali, dal momento che tale parere viene a configurare
un semplice apporto tecnico alle determinazioni che
8. - Anche l'art 152, primo comma, del
testo unico forma oggetto di censura da parte della Regione sarda.
Con tale disposizione si è stabilito
l'obbligo per le casse comunali di credito agrario ed i monti di credito su
pegno di seconda categoria di adottare, entro il 1o gennaio 1996, iniziative
che portino alla cessazione dell'attività creditizia ovvero alla
estinzione degli enti, prevedendosi, in difetto, la messa in
liquidazione degli stessi.
Secondo la ricorrente la disposizione in
parola verrebbe a violare l'art.4 lett. b) dello Statuto speciale per
Anche tale questione non risulta
fondata.
La disciplina posta dalla disposizione
impugnata si caratterizza, infatti, come conseguenza diretta e necessaria del
nuovo assetto istituzionale del sistema bancario introdotto dalla normazione comunitaria. Tale assetto - muovendo dalla
qualificazione della banca come impresa (v. art. 1, primo alinea, della
direttiva 77/780 e art. 1, n.1 della direttiva 89/646) nonchè
dalla esigenza di armonizzazione tra le discipline
nazionali - è stato orientato verso l'adozione di un modello unico di banca
(banca c.d. "universale") che ha condotto al superamento dei diversi
moduli organizzativi connessi ai vari tipi di crediti speciali, determinando un
effetto di "despecializzazione
istituzionale".
In questo quadro si può, dunque,
spiegare la trasformazione o la soppressione delle casse comunali di credito
agrario e di credito su pegno di seconda categoria: istituti caratterizzati non
solo dalla specialità e settorialità delle loro
funzioni creditizie, ma anche dalla limitatezza delle loro strutture, poco
adeguate alle nuove dimensioni del mercato e della concorrenza bancaria. Nè a tale scelta del legislatore - determinata dalla
necessità di dare diretta attuazione agli indirizzi adottati in sede
comunitaria -
9. - Tutti i ricorsi sollevano questione
di legittimità costituzionale nei confronti dell'art. 159 del testo unico,
specificamente dedicato alle competenze spettanti alle Regioni a Statuto
speciale. Ma, mentre le due Province autonome limitano l'impugnativa al solo
terzo comma (nella parte in cui si dichiara inderogabile l'art. 15), le due
Regioni ad autonomia speciale estendono l'impugnativa all'intero articolo dove
si prevede: a) la riserva alla Banca d'Italia delle valutazioni di vigilanza
(primo comma);b) la previsione di un parere vincolante
della Banca d'Italia nei casi in cui i provvedimenti previsti dagli artt. 14
(autorizzazione all'attività bancaria), 31 (trasformazioni riguardanti banche
popolari e fusioni), 36 (fusioni riguardanti banche di credito cooperativo), 56
(modificazioni statutarie) e 57 (fusioni e scissioni) siano attribuiti alla
competenza regionale (secondo comma); c) il riconoscimento della inderogabilità
da parte della normazione regionale delle
disposizioni dettate dai primi due commi dello stesso art.159 e dagli artt. 15
(succursali), 16 (libera prestazione dei servizi), 26 (requisiti di
professionalità e di onorabilità degli esponenti aziendali) e 47 (finanziamenti
agevolati e gestione dei fondi pubblici) (terzo comma); d) l'attribuzione alle
Regioni speciali, dotate di competenza in materia di credito, del potere di
emanare norme di recepimento della direttiva 89/646 nel rispetto delle
disposizioni di principio non derogabili elencate nello stesso articolo (quarto
comma).
Avendo già esaminato le censure
formulate dalle Province autonome nei confronti dell'art. 15 anche in
riferimento all'art.159, restano ora da valutare i profili di impugnativa
specificamente enunciati nei confronti di quest'ultimo articolo dalla Regione
Trentino-Alto Adige e dalla Regione autonoma della Sardegna.
Secondo
A sua volta
Nè l'uno nè
l'altro ordine di censure appare, peraltro, fondato.
10. - Con riferimento ai motivi
enunciati nel ricorso della Regione Trentino-Alto Adige si può, infatti,
rilevare:
a) per quanto concerne il secondo comma
dell'art. 159, la previsione di un parere vincolante della Banca d'Italia
rispetto ai provvedimenti autorizzatori, affidati
alla competenza regionale, elencati dalla stessa norma trova la sua
giustificazione nel principio di libera concorrenza posto a base dalle due
direttive comunitarie in materia di credito e destinato a vincolare l'attività
di tutte le imprese bancarie, ivi comprese le banche di interesse locale e
regionale. Per controbilanciare la maggiore libertà riconosciuta all'impresa
bancaria la "seconda direttiva" ha però affermato l'esigenza di
rafforzare la "vigilanza prudenziale", da affidare "alle
autorità competenti dello Stato membro di origine" così da garantire che
ciascun ente creditizio "sia dotato di una buona organizzazione
amministrativa e contabile e di adeguate procedure di controllo interno"
(art. 13, primo e secondo comma, della direttiva 89/646). Più in generale, la
"vigilanza prudenziale" è stata orientata verso il fine della
"sana e prudente gestione della banca" (v. art. 15, secondo comma,
della stessa direttiva), mentre, di contro, è stato vietato che le
autorizzazioni all'esercizio dell'attività creditizia possano essere
subordinate a considerazioni relative alle "esigenze economiche del
mercato" (art. 1, secondo comma, lett. a], della direttiva 77/788). A
questo va aggiunto che, nel nostro ordinamento, i poteri connessi alla
"vigilanza prudenziale" sono stati riservati, in via esclusiva, alla
Banca d'Italia (v. Capo III del decreto legislativo n. 481 del 1992 e art.159,
primo comma, del testo unico).
Si può, pertanto, escludere che la
previsione del parere vincolante attribuito alla Banca d'Italia nei casi
elencati dal secondo comma dell'art. 159, pur riducendo la sfera della
discrezionalità regionale, sia tale da apportare lesione alle competenze
attualmente spettanti nella materia creditizia alla Regione ricorrente. Basti
solo considerare che tutti i provvedimenti di competenza regionale elencati nel
secondo comma dell'art.159 mettono in gioco
valutazioni che attengono, in linea preminente, alla "sana e prudente
gestione" dell'ente creditizio e che vengono, di conseguenza, a
inquadrarsi nella sfera della vigilanza che soltanto
b) Diversamente da quanto risulta
affermato nel ricorso, l'art. 159 del testo unico, ai commi terzo e quarto, non
ha inteso operare un indebito trasferimento di competenze dalle Regioni allo
Stato nè rafforzare, trasformandole in principi
inderogabili, illegittime restrizioni o spoliazioni operate nei confronti delle
competenze regionali. Le norme in questione - che hanno ricalcato i contenuti
della disciplina già formulata con l'art. 46 del decreto legislativo n.481 del
1992 - hanno in teso soltanto applicare al settore in esame il meccanismo di
recepimento delle direttive da parte delle Regioni speciali e delle Province autonome introdotto dall'art. 9 della legge 9
marzo 1989, n. 86, indicando come inderogabili da parte delle leggi regionali e
provinciali alcune disposizioni della disciplina statale attuativa - quali
quelle di cui agli artt. 15, 16, 26 e 47 del testo unico - più strettamente
connesse alla realizzazione dei principi di concorrenza e di sana gestione dell'impresa
bancaria posti a fondamento della direttiva 89/646.
c) Non sussiste l'invasione di materia
riservata alle norme di attuazione nè la conseguente
violazione dell'art. 107, primo comma, dello Statuto speciale
lamentata dalla ricorrente. A parte il richiamo alla possibilità che le
leggi statali necessarie ad attuare le direttive comunitarie vengano a incidere
sull'esercizio delle competenze regionali quand'anche le stesse risultino
fissate in norme di rango costituzionale (ma sempre a condizione di non
intaccare i principi supremi dell'ordinamento: v. sentt.
n. 117 del 1994; nn.
306 e 437
del 1992; n.349
del 1991; n.
632 del 1988; n.
399 del 1987), resta il fatto che, nella specie, le disposizioni impugnate
non hanno nè modificato nè
derogato alla speciale disciplina formulata - ai sensi dell'art.107, primo
comma, dello Statuto speciale - con il d.P.R.n. 234
del 1977, ma soltanto introdotto alcune norme di raccordo tra le preesistenti
competenze delle Regioni a statuto speciale e le nuove competenze statali,
norme rese necessarie dal riassetto organico della materia bancaria operato con
il testo unico.
d) Infondata si prospetta, infine, la
censura riferita all'art. 2 del d.P.R. n. 266 del
1992 e collegata al fatto che l'immediata applicabilità del parere vincolante
della Banca d'Italia di cui al secondo comma dell'art. 159 avrebbe violato la
speciale procedura prevista per l'adeguamento della legislazione regionale e
provinciale del Trentino-Alto Adige ai principi e norme costituenti limiti
indicati dagli artt. 4 e 5 dello Statuto speciale, con riferimento particolare
al termine di sei mesi previsto per tale adeguamento. In proposito basti solo
rilevare che tale termine era stato richiamato, dall'art. 46, primo comma, del
decreto legislativo n. 481 del 1992, ai fini del recepimento della direttiva n.
89/646 da parte delle Regioni speciali, risultando, di conseguenza, già
consumato alla data di emanazione del testo unico n. 385 del 1993.
11. - Con riferimento alle censure
formulate, sempre nei confronti dell'art. 159, con il ricorso proposto dalla
Regione autonoma della Sardegna si può, infine, osservare:
a) valgono innanzitutto i rilievi già
prospettati in sede di esame dell'impugnativa proposta dalla Regione
Trentino-Alto Adige nei confronti del secondo comma dell'art.
b) Non sussiste la violazione dell'art.
76 della Costituzione contestata in relazione al profilo che l'art. 159,
secondo comma, ha esteso la previsione del parere vincolante - al di là delle
ipotesi richiamate nell'art.46, secondo comma, del decreto legislativo n.481
del 1992 (artt. 9, primo comma, 21, primo comma, e 25,
primo comma, corrispondenti agli artt. 14, 56 e 57 del testo unico n. 385) -
anche alle ipotesi regolate dagli artt. 31 e 36 dello stesso testo unico
(trasformazioni di banche popolari in società per azioni ovvero fusioni alle
quali prendono parte banche popolari e da cui risultino società per azioni;
fusioni tra banche di credito cooperativo e banche di diversa natura da cui
risultino banche popolari o banche costituite in forma di società per azioni).
Tali ipotesi - per quanto non espressamente richiamate nel decreto legislativo
n. 481 del 1992 - si presentano, infatti, come specificazioni delle fattispecie
più generali regolate sia nell'art, 21, primo comma
(modificazioni statutarie), che nell'art. 25, primo comma (funzioni e
scissioni) dello stesso decreto legislativo n.
c) Infondata si prospetta anche la
censura riferita al combinato disposto del secondo, terzo e quarto comma,
dell'art. 159, per avere tali disposizioni - in violazione dell'art. 76 della
Costituzione, con riferimento all'art. 46, terzo comma, del decreto legislativo
n.481 del 1992 - reso in derogabile la disciplina posta dal secondo comma dello
stesso articolo in tema di parere vincolante della Banca d'Italia.
La previsione dell'inderogabilità della
disciplina relativa al parere vincolante della Banca d'Italia può trovare,
infatti, la sua spiegazione nelle stesse caratteristiche del limite in
questione, dal momento che detto limite è stato definitivamente attuato non più
attraverso l'impiego della fonte regionale (secondo quanto inizialmente previ sto dal secondo comma dell'art. 46 del decreto
legislativo n. 481), ma immediatamente dalla fonte statale (così come statuito
con l'art.159, secondo comma, del testo unico). Nè,
d'altro canto, risulta giustificato affermare che, disponendo in questi
termini, l'art. 159 avrebbe violato, oltre l'art. 76 della Costituzione, anche
la competenza della Regione a disciplinare con proprie norme di recepimento
della direttiva l'intervento della Banca d'Italia, dal momento che tale
competenza - già riconosciuta dal primo comma dell'art. 46 - non è stata di
fatto esercitata nel termine previsto dalla Regione. L'assenza di un intervento
tempestivo del legislatore regionale ha, pertanto, resa necessaria, al fine di
garantire il rispetto del vincolo comunitario, la successiva disciplina
statale, adottata in sede di testo unico.
PER QUESTI MOTIVI
riuniti i giudizi;
dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni
di legittimità costituzionale dell'art. 15, commi primo, terzo e quarto, e
dell'art. 159, terzo comma, del decreto legislativo 1o settembre 1993, n.385
(Testo unico della legge in materia bancaria e creditizia) per violazione
dell'art. 11, primo comma, dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige
(D.P.R. 31 agosto 1972, n. 670) e delle relative norme di attuazione, questioni
sollevate con i ricorsi proposti dalla Provincia autonoma di Bolzano e dalla
Provincia autonoma di Trento di cui in epigrafe (nn.
67 e 69 del 1993);
dichiara non fondata la questione di legittimità
costituzionale dell'art. 159 del decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385,
per violazione degli artt. 5, n. 3, 16, primo comma, e 107, primo comma, dello
Statuto speciale per Trentino-Alto Adige, nonchè
delle norme di attuazione di cui all'art. 1 ed all'art. 3, primo, secondo e
terzo comma, del d.P.R. 26 marzo 1977, n. 234 ed
all'art. 2 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266, questione sollevata
dalla Regione Trentino- Alto Adige con il ricorso di cui in epigrafe (n. 70 del
1993);
dichiara non fondate le questioni di legittimità
costituzionale degli artt. 47, secondo e terzo comma, 152, primo comma, e 159
del decreto legislativo 1o settembre 1993, n.385, per violazione degli artt. 3,
4 e 6 dello Statuto speciale per
Così deciso in Roma, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il .
Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
Enzo CHELI, Redattore
Depositata in cancelleria il 08/06/1994.