Ordinanza n. 201 del 1994

CONSULTA ONLINE

 

ORDINANZA N. 201

 

ANNO 1994

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco CASAVOLA,

 

Giudici

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Avv. Massimo VARI

 

Dott. Cesare RUBERTO,

 

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

 nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 29 del codice penale militare di pace, promosso con ordinanza emessa il 6 luglio 1993 dal Tribunale militare di Padova nel procedimento penale a carico di Spinelli Cosimo ed altro, iscritta al n. 605 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell'anno 1993.

 

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nella camera di consiglio del 23 marzo 1994 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello.

 

Ritenuto che il Tribunale militare di Padova, nell'ambito di un giudizio penale a carico di un brigadiere dei carabinieri e di un carabiniere, entrambi in servizio permanente, imputati di concorso nel reato di violata consegna aggravata, ha sollevato con l 'ordinanza in epigrafe, in riferimento all 'art . 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art.29 del codice penale militare di pace, nella parte in cui detta norma consente l'applicazione automatica della pena accessoria della rimozione dal grado nei riguardi dei militari non legati da un rapporto di impiego con l'amministrazione militare nonchè nei riguardi dei militari non più in servizio;

 

che, secondo la prospettazione del giudice a quo, l'accennata possibilità si porrebbe in contrasto con il parametro costituzionale invocato, nel raffronto con la situazione del militare legato all'amministrazione da un rapporto di pubblico impiego al quale viceversa-sempre secondo il rimettente - la richiamata pena accessoria non sarebbe applicabile, giacchè l'art. 29 denunciato risulterebbe < parzialmente abrogato> dall'art. 9 della legge 7 febbraio 1990, n. 19, e precisamente non sarebbe più operante nei confronti dei militari che, legati da un rapporto di impiego in atto con l'amministrazione, sarebbero soggetti (soltanto) alla nuova disciplina della destituzione quale recata dalla citata legge n. 19 del 1990; una disciplina, quest'ultima, che avrebbe in tal modo interferito sulla materia delle pene accessorie, delimitandone l'automatismo ai soli casi in cui non sia operante l'istituto della destituzione e il correlativo necessario procedimento disciplinare;

 

che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o, in subordine, non fondata.

 

Considerato che, secondo la stessa prospettazione del rimettente, la questione sollevata potrebbe assumere rilievo, relativamente alla posizione del militare rivestito del grado di brigadiere, solo se e quando quest'ultimo dovesse subire l'esecuzione della sentenza di condanna < per la revoca della (sospensione) condizionale> e < in un momento in cui egli abbia cessato dal servizio>;

 

che la configurazione doppiamente condizionata rende la questione, così come impostata dal rimettente, puramente ipotetica ed anzi, a contrario, presuppone da parte del medesimo giudice la avvenuta prognosi di concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena che, come tale, si estende alle pene accessorie (art. 166, primo comma, del codice penale, nel testo modificato dall'art. 4 della già citata legge n. 19 del 1990) e dunque anche a quella della rimozione dal grado;

 

che, peraltro, deve essere ribadito quanto già osservato da questa Corte (sent. n. 197 del 1993 e, da ultimo, ord. n. 137 del 1994) in merito alla assoluta estraneità della nuova disciplina della destituzione dei pubblici dipendenti, introdotta dall'art. 9 della legge n. 19 del 1990, rispetto a quella che regola l'applicazione delle pene accessorie anche di carattere interdittivo;

 

che il rilievo che precede da un lato rende privo di fondamento l'assunto interpretativo dal quale muove il giudice a quo, nella delimitazione dell'ambito applicativo dell'impugnato art. 29 c.p.m.p., non risultando questa norma ricollegabile all'essere o meno in atto un rapporto di impiego;

 

dall'altro implica la individuazione di altra norma , non denunciata dal giudice a quo, quale eventuale origine del problema da questi dedotto, concernente l'automatismo applicativo delle pene accessorie, e precisamente l'art. 58, secondo comma, c.p.m.p., che è applicabile nei riguardi del militare che concorra nel reato con l'inferiore e che sia condannato a pena detentiva (una situazione, questa, verificatasi appunto nell'ambito del processo principale);

 

mentre l'art. 29 impugnato contiene, nel primo comma, soltanto la descrizione del contenuto della pena accessoria in argomento, nonchè, nel secondo comma, una ipotesi di sua applicazione, collegata all'entità di pena applicata in concreto, che è estranea al giudizio a quo;

 

che sotto entrambi i profili accennati la questione si rivela in conclusione manifestamente inammissibile, perchè assume nella sua formulazione, carattere ipotetico, e perchè investe, nella più esatta configurazione dei suoi presupposti argomentativi, una norma da cui comunque non deriva il vizio di incostituzionalità lamentato.

 

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.87 e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 29 del codice penale militare di pace, sollevata, in riferimento all 'art . 3 della Costituzione, dal Tribunale militare di Padova con l'ordinanza indicata in epigrafe.

 

 Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 maggio 1994.

 

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Vincenzo CAIANIELLO, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 26/05/1994.