Sentenza n.165 del 1994

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SENTENZA N. 165

ANNO 1994

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

Avv. Massimo VARI

Dott. Cesare RUPERTO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

 nel giudizio promosso con ricorso della Provincia autonoma di Trento notificato il 18 dicembre 1993, depositato in Cancelleria il 29 successivo, per conflitto di attribuzione sorto a seguito della deliberazione del Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica del 13 luglio 1993, recante: "Ripartizione dei fondi recati per il 1993 per l'attuazione della legge 29 gennaio 1992, n. 113, relativa all'obbligo per i Comuni di residenza di porre a dimora un albero per ogni neonato" ed iscritto al n. 42 del registro conflitti 1993.

Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 22 marzo 1994 il Giudice relatore Cesare Ruperto;

uditi l'avv. Valerio Onida per la Provincia autonoma di Trento e l'Avvocato dello Stato Pier Giorgio Ferri per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

 1. - Con ricorso notificato il 18 dicembre 1993 la provincia autonoma di Trento ha proposto conflitto di attribuzioni nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri in relazione alla deliberazione del Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica (C.I.P.E.), datata 13 luglio 1993 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n.249 del 22 ottobre 1993) e recante "Ripartizione dei fondi recati per il 1993 per l'attuazione della legge 29 gennaio 1992, n. 113, relativa all'obbligo per i Comuni di residenza di porre a dimora un albero per ogni neonato".

La ricorrente Provincia autonoma, dopo aver affermato la propria potestà legislativa esclusiva in materia di foreste, espone che la legge 29 gennaio 1992, n. 113, ha stabilito l'obbligo per i Comuni di porre a dimora un albero nel territorio comunale entro dodici mesi dalla registrazione anagrafica di ogni neonato residente. A riguardo la legge autorizza la spesa di cinque miliardi stabilendo che le modalità di ripartizione tra le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano siano determinate dal C.I.P.E., sentita la Conferenza permanente. Viceversa il C.I.P.E., con l'impugnata deliberazione, ha ripartito per il 1993 la somma di cui sopra tra tutte le Regioni (autonome e a statuto ordinario) ma ha escluso del tutto la sola regione del Trentino Alto Adige, pur recando in allegato una tabella definita "di riparto tra le Regioni e le Province autonome per l'anno 1993".

A parere della ricorrente, la ragione di tale esclusione va ricercata in una errata interpretazione dell'art. 4, comma 3, del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266, recante norme di attuazione dello statuto speciale, à mente del quale nelle materie di competenza regionale o provinciale le amministrazioni statali non possono disporre spese, nè concedere, direttamente o indirettamente, finanziamenti o contributi per attività nell'àmbito del territorio regionale o provinciale. La ratio della norma va individuata nei limiti che essa pone all'attività amministrativa dello Stato. In particolare ciò che si vuole precludere sarebbe l'attività di spesa diretta dello Stato nella Regione, cioè erogazioni a carico del bilancio dello Stato a favore di imprese, famiglie o enti pubblici sub-provinciali. Resterebbe invece fermo il finanziamento delle attività amministrative delle Province, secondo quanto previsto dallo statuto speciale. In sostanza con l'art. 4 si sarebbe soltanto inteso garantire le Province da possibili invasioni del loro àmbito di competenze da parte dello Stato a mezzo d'interventi diretti di spesa, non già precludere il finanziamento delle Province stesse mediante trasferimento dal bilancio dello Stato.

Anche il riferimento all'"ambito territoriale" contenuto nel citato art.4 renderebbe palese che ci si riferisce non già al riparto di somme tra Regioni, bensì alla destinazione finale delle somme dirette a finanziare determinate attività onde evi tare spese statali dirette che "saltino" le Province restando estranee al loro bilancio.

2. - Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'inammissibilità o comunque per l'infondatezza del ricorso.

Preliminarmente rileva l'Avvocatura generale che il ricorso non potrebbe comportare una contestazione sulla competenza dell'organo statale, o comunque configurare una lesione delle competenze provinciali.

Nel merito, essa deduce che la lettura data dal C.I.P.E. all'art. 4 del decreto legislativo n. 266 del 1992 è del tutto corretta, in quanto la norma intende escludere ogni forma di interferenza statale nelle materie (come quella forestale) di competenza propria delle Province autonome, vietando categoricamente che le amministrazioni statali possano disporre spese ovvero concedere (direttamente o indirettamente) finanziamenti o contributi.

3. - Nell'imminenza dell'udienza la Provincia autonoma di Trento ha depositato una memoria, preliminarmente sottolineando che il conflitto concerne un'ipotesi di cattivo uso di un potere da parte del C.I.P.E. (e non la contestazione circa la titolarità di tale potere), a seguito del quale si è determinata una lesione della sfera di attribuzioni della ricorrente.

Nel merito la difesa della Provincia ribadisce che il senso dell'art.4, comma 3, del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266, sta nel precludere esclusivamente le attività amministrative di spesa diretta nella Regione da parte dello Stato, non già il finanziamento delle attività stesse se svolte dalle Province autonome. Nella specie l'erogazione del contributo per la messa a dimora delle piante risponderebbe esattamente alla ratio legis, ponendo la Provincia nelle condizioni per adempiere ai propri compiti. Di talchè l'"ingerenza statale" consisterebbe proprio nell'immotivata esclusione del finanziamento.

Considerato in diritto

 1. - La Provincia autonoma di Trento si duole che la deliberazione del Comitato interministeriale per la programmazione economica del 13 luglio 1993 non l'abbia inclusa tra i destinatari del riparto delle somme stanziate per l'attuazione della legge 29 gennaio 1992, n. 113 (concernente l'obbligo, per i comuni di residenza, di porre a dimora un albero per ogni neonato).

2. - L'Avvocatura generale dello Stato ha preliminarmente eccepito l'inammissibilità del ricorso, sull'argomento che manca in esso la contestazione della competenza dell'organo statale ad emettere l'atto oggetto del proposto conflitto.

In realtà la ricorrente ha dedotto che, con l'atto impugnato, essa è stata esclusa da un finanziamento cui assume d'aver diritto e che in tal modo, attraverso un cattivo uso del potere statale in ordine a quanto previsto dalle legge, è stato menomato l'esercizio della sua sfera di attribuzioni in materia forestale. Il ricorso è volto appunto ad ottenere che la Provincia autonoma di Trento sia posta in grado di svolgere pienamente una sua attività (peraltro impostale dalla stessa legge).

Pertanto, l'eccezione risulta priva di fondamento, poichè è ormai pacifico che vi è materia di conflitto, non solo in caso di vindicatio potestatis, ma anche quando l'asserito cattivo uso di un potere da parte dell'organo o dell'ente titolare della competenza determini la menomazione della sfera di altro organo o ente.

3. - Nel merito la doglianza è fondata.

La legge n. 113 del 1992 dispone l'obbligo dei Comuni di mettere a dimora un albero nel loro territorio per ogni neonato residente, nei dodici mesi dalla registrazione anagrafica; e a tal fine autorizza una spesa di cinque miliardi di lire. "Le modalità di ripartizione della predetta somma - precisa l'art. 4, comma 1 - tra le regioni e le pro vince autonome di Trento e di Bolzano, sono determinate dal Comitato interministeriale per la programmazione economica".

La deliberazione da quest'ultimo assunta in data 13 luglio 1993, impugnata dalla ricorrente, prevede una distribuzione del finanziamento che, pur recando l'intestazione "tabella di riparto dei fondi tra le Regioni e le Province autonome", non contempla le province stesse tra i destinatari dei singoli importi.

Dalle premesse dell'atto si evince che la ragione dell'esclusione risiede nella norma dell'art. 4, comma 3, del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266. La soluzione del conflitto, dunque, deve muovere dall'individuazione della por tata di tale disposizione, la quale è contenuta nel provvedimento di attuazione dello statuto speciale concernente il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali nonchè la potestà statale di indirizzo e coordinamento (mentre - giova notare - alle norme di attuazione in materia di finanza regionale e provinciale è dedicato altro provvedimento legislativo, di pari data, recante il numero 268).

Ebbene, secondo la norma de qua, "fermo restando quanto disposto dallo statuto speciale e dalle relative norme di attuazione" nelle materie di competenza propria della regione o delle province autonome, "le amministrazioni statali, comprese quelle autonome e gli enti dipendenti dallo Stato, non possono disporre spese nè concedere, direttamente o indirettamente, finanziamenti o contributi per attività nell'àmbito del territorio regionale o provinciale".

La collocazione del divieto - nel corpo di una norma intitolata "funzioni amministrative" e nell'àmbito di un provvedimento volto a disciplinare il rapporto tra due sfere di potestà legislativa - è il primo elemento che induce a limitare il senso della preclusione.

Questa è volta a garantire l'ente locale da possibili invasioni della sua sfera di competenza a mezzo d'interventi diretti di spesa, non certo a precludere il finanziamento di attività amministrative dell'ente stesso, massime quando - come nella specie - queste sono imposte dalla legge statale insieme con lo stanziamento dei fondi necessari.

La ratio della previsione sta, in sostanza, nel ripartire la misura dell'amministrazione nel senso di destinare i finanziamenti esclusivamente a chi ha il compito di gestirli, così da evitare fra l'altro il verificarsi di soppressioni o di duplicazioni in favore dei medesimi soggetti per attività che siano contemporaneamente disciplinate dalle regioni o dalle province autonome in quanto si svolgono nel loro territorio.

Del resto questa Corte, proprio in un caso di sovrapposizione delle agevolazioni economiche dirette (disposte dalla legge in favore di imprese già beneficiarie di incentivi erogati dalla provincia autonoma) ha chiarito come l'entrata in vigore del citato art. 4 non avrebbe de futuro più consentito "i finanziamenti diretti nelle materie di competenza propria delle province" (sentenza n. 382 del 1992).

La Corte, inoltre, ha in più occasioni sottolineato il carattere di norma di attuazione rivestito dall'art. 5 della legge 30 novembre 1989, n.386, nel senso della sua immodificabilità al di fuori del meccanismo dell'accordo Stato-Province autonome ex art. 104 dello statuto speciale (sentenza n. 366 del 1992 e sentenza n. 123 del 1992). Ebbene, per effetto di tale norma, "i finanziamenti recati da qualunque altra disposizione di legge statale, in cui sia previsto il riparto o l'utilizzo a favore delle regioni, sono assegnati alle province autonome ed affluiscono al bilancio delle stesse per essere utilizzati, secondo normative provinciali, nell'àmbito del corrispondente settore...". A sua volta l'art. 12 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n.268 (che - ripetesi - è la sede propria della normativa concernente la finanza provinciale), si raccorda direttamente al citato art. 5 stabilendo che le procedure descritte "si applicano con riferimento alle leggi statali d'intervento ivi previste, anche se le stesse non sono espressamente richiamate".

Più in generale, è da rilevarsi come l'art. 4, comma 3, in esame non faccia che ribadire per la Regione Trentino-Alto Adige e le Province autonome, una garanzia di autonomia amministrativa già vivente nell'ordinamento. Il decreto legislativo 24 luglio 1977, n. 616, proprio al fine di impedire interventi diretti dello Stato nelle materie trasferite alle Regioni a statuto ordinario recita all'art. 126, terzo comma : "É vietato conservare o istituire nel bilancio dello Stato capitoli con le stesse denominazioni e finalità di quelli soppressi, e comunque relativi a spese concernenti le funzioni trasferite.".

É quindi evidente:

a) che il sistema complessivo della finanza derivata resta rafforzato dalla nuova normativa, la quale prevede il riparto delle somme in favore delle province;

b) che tale riparto non può essere escluso sulla base di un erroneo richiamo al citato art. 4, comma 3, il quale contiene una norma di garanzia delle regioni e delle province e di razionalizzazione della spesa, finalizzata ad escludere il frazionamento della stessa in favore di singoli destinatari (naturalmente allorchè essi operino entro un certo àmbito territoriale) ed il conseguente pregiudizio che da ciò deriverebbe ad una corretta amministrazione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 dichiara che non spetta allo Stato e per esso al Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica (C.I.P.E.) escludere la Provincia autonoma di Trento dal riparto dei finanziamenti statali previsti dall'art. 4, comma 1, della legge 29 gennaio 1992, n.113, e, per l'effetto, annulla la de libera del C.I.P.E. datata 13 luglio 1993.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14/04/94.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Cesare RUPERTO, Redattore

Depositata in cancelleria il 28/04/94.