Ordinanza n. 44 del 1994

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ORDINANZA N. 44

ANNO 1994

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Avv. Massimo VARI

Dott. Cesare RUPERTO

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 555, primo comma, lett. c), e secondo comma, 178, lett. b) e c), 179 e 180 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 30 aprile 1993 dal Pretore di Torino, addetto alla sezione distaccata di Moncalieri, nel procedimento penale a carico di Pozzolo Giuseppe ed altro, iscritta al n. 355 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, prima serie speciale, dell'anno 1993.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 12 gennaio 1994 il Giudice relatore Enzo Cheli.

Ritenuto che nel corso di un procedimento penale a carico di Pozzolo Giuseppe e Folino Francesco, il Pretore di Torino, addetto alla sezione distaccata di Moncalieri, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, 101, secondo comma, e 102, primo comma, della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 555, primo comma, lett. c), e secondo comma, 178, lett. b) e c), 179 e 180 del codice di procedura penale nella parte in cui - secondo l'interpretazione operata dalla Corte di cassazione con sentenza del 21 maggio 1992 - non prevedono che il Pretore nella qualità di giudice del dibattimento "possa e debba verificare anche d'ufficio la validità del decreto di citazione a giudizio quanto alla sufficienza della enunciazione del fatto ed emettere i conseguenti eventuali provvedimenti dichiarativi di nullità assoluta o intermedia";

che il giudice remittente espone che, a seguito di impugnazione da parte della Procura della Repubblica dell'ordinanza del Pretore di Torino, addetto alla sezione distaccata di Moncalieri, del 25 novembre 1991 - mediante la quale era stata dichiarata la nullità, per insufficiente enunciazione del fatto, del decreto di citazione a giudizio di Pozzolo Giuseppe e Folino Francesco - la Corte di cassazione, con sentenza del 21 maggio 1992, ha accolto il ricorso della Procura e, ritenuta l'abnormità del provvedimento impugnato lo ha annullato, ritenendolo, peraltro, adottato nel corso di un'udienza preliminare e riferito ad una richiesta di citazione a giudizio emessa dal giudice per le indagini preliminari della Pretura di Torino, sezione distaccata di Moncalieri;

che lo stesso giudice remittente, nel sollevare la questione di costituzionalità ha osservato: a) che l'oggetto della dichiarazione pretorile di nullità emanata nell'udienza del 25 novembre 1991 non é una richiesta di rinvio a giudizio, (atto non previsto per il processo penale pretorile), ma un decreto di citazione a giudizio; b) che l'ordinanza emessa nell'udienza suddetta non é stata pronunciata durante un'udienza preliminare (non esistendo tale istituto nel processo davanti al pretore), ma in udienza dibattimentale, nella fase che precede la dichiarazione di apertura del dibattimento; c) che l'ordinanza medesima é stata pronunciata dal Pretore di Torino, addetto alla sezione distaccata di Moncalieri, e non dal giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Torino;

che ad avviso del giudice remittente si offrono all'interprete due diverse soluzioni interpretative, potendosi, da un lato, ritenere che la citata sentenza della Corte di cassazione, riferendosi ad un provvedimento diverso da quello adottato dal Pretore di Torino il 25 novembre 1991, non sia tale da vincolare lo stesso Pretore ai sensi dell'art.623, lett. a), del codice di procedura penale, con la conseguenza che in tal caso la questione di costituzionalità sollevata sarebbe irrilevante; dall'altro, che la sentenza pronunciata dalla Corte di cassazione sia, invece, suscettibile di operare nel processo a quo, nel senso che, seppure con i travisamenti sopra evidenziati, essa abbia inteso annullare, ritenendola abnorme, proprio l'ordinanza dichiarativa di nullità del decreto di citazione emessa dal Pretore nell'udienza dibattimentale del 25 novembre 1991;

che nell'ordinanza di rimessione si osserva che, ove si aderisse a questa seconda ipotesi interpretativa, sussisterebbero gli effetti vincolanti di cui all'art. 623, lett. a), del codice di procedura penale e la questione sollevata sarebbe rilevante dal momento che risulterebbero preclusi sia l'emanazione di un provvedimento identico a quello annullato sia la verifica della sufficienza dell'enunciazione del fatto nel decreto di citazione a giudizio;

che la stessa ordinanza rileva che le norme impugnate, cosi' come interpretate dalla Corte di cassazione con la sentenza del 21 maggio 1992, contrasterebbero con gli artt.101, secondo comma e 102, primo comma, e 24, secondo comma, della Costituzione, dal momento che il Pretore sarebbe impedito nell'esercizio della funzione giurisdizionale in ordine al controllo sulla completezza dell'enunciazione del fatto nel decreto di citazione, mentre, d'altro canto, l'imputato si troverebbe nella condizione di doversi difendere in ordine ad un fatto non sufficientemente determinato;

che, infine, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, nell'ordinanza si sottolineano la palese irragionevolezza e l'ingiustificata disparità di trattamento riscontrabili nelle norme impugnate, dal momento che - ove fosse seguita l'interpretazione adottata dalla Corte di cassazione - le stesse potrebbero escludere la facoltà del Pretore di dichiarare la nullità per insufficiente enunciazione del fatto nel decreto di citazione, senza peraltro incidere sul potere dello stesso giudice di dichiarare anche d'ufficio le altre nullità assolute e intermedie del decreto di citazione a giudizio attinenti all'imputazione e previste dal combinato disposto dei commi primo, lett. c), e secondo dell'art. 555 del codice di procedura penale;

che nel giudizio ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, per chiedere che la questione sia dichiarata inammissibile.

Considerato che nell'ordinanza si prospettano due opposte ipotesi interpretative della vicenda processuale in riferimento al carattere vincolante, ai sensi dell'art. 623, lett. a), del codice di procedura penale, della citata sentenza della Corte di cassazione e che il giudice remittente - pur osservando che la questione di costituzionalità sol levata potrebbe essere irrilevante ove si accedesse alla prima delle due ipotesi prospettate - non opera una scelta precisa, lasciando incerta la rilevanza della questione ai fini della definizione del giudizio a quo;

che la questione di costituzionalità sollevata si fonda, altresì, su una interpretazione delle norme impugnate contenuta nella citata sentenza della Corte di cassazione, che, ad avviso del giudice a quo, viene a trovare il suo fondamento in un palese errore nella identificazione della fattispecie processuale, dal momento che tale sentenza si riferirebbe ad un atto formalmente e sostanzialmente diverso da quello effettivamente emanato dal giudice a quo ed impugnato dalla Procura della Repubblica presso la Pretura di Torino;

che, pertanto, il giudice a quo viene, nella sostanza, a censurare non tanto un'interpretazione di diritto ritenuta contrastante con la Costituzione, quanto il descritto errore di fatto in cui sarebbe incorsa la Corte di cassazione, attribuendo a questa Corte un ruolo di giudice dell'impugnazione che non le compete;

che, pertanto, la questione di costituzionalità deve essere dichiarata inammissibile.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 555, primo comma, lett. c), e secondo comma, 178, lett. b) e c), 179 e 180 del codice di procedura penale sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 101 e 102 della Costituzione, dal Pretore di Torino, sezione distaccata di Moncalieri, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 07/02/94.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Enzo CHELI, Redattore

Depositata in cancelleria il 17/02/94.