Sentenza n. 477 del 1993

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SENTENZA N. 477

 

ANNO 1993

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Prof. Gabriele PESCATORE giudice

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Avv. Massimo VARI

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 26 del decreto-legge 6 giugno 1981, n. 283, convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 1981, n. 432 (Copertura finanziaria dei decreti del Presidente della Repubblica di attuazione degli accordi contrattuali triennali relativi al personale civile dei Ministeri e dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, nonchè con cessione di miglioramenti economici al personale civile e militare escluso dalla contrattazione), promosso con ordinanza emessa il 19 giugno 1992 dalla Corte dei conti - sezione giurisdizionale per la Regione siciliana sul ricorso proposto da Amore Armando contro il Ministero delle finanze, iscritta al n. 241 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22, prima serie speciale, dell'anno 1993.

 

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nella camera di consiglio del 20 ottobre 1993 il Giudice relatore Francesco Guizzi.

 

Ritenuto in fatto

 

1. La Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Regione siciliana, investita dal ricorso del signor Armando Amore (collocato a riposo in data 1° aprile 1978 con la qualifica di contabile capo del Ministero delle finanze) avverso il silenzio-rifiuto opposto dall'Amministrazione alla revisione del suo trattamento di quiescenza, ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 26 del decreto-legge 6 giugno 1981, n. 283, convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 1981, n. 432, nella parte in cui dispone la riliquidazione del trattamento pensionistico per i dipendenti pubblici cessati dal servizio dopo il 1° gennaio 1979, e non anche per quelli posti in quiescenza anteriormente. Il legislatore - osserva la Corte rimettente - ha certo il potere di fissare discrezionalmente la misura ed i limiti dei benefici pensionistici, ma tale potere deve essere esercitato secondo il canone di ragionevolezza: ora, una volta estesi al personale già cessato dal servizio il recupero dell'anzianità e i miglioramenti di stipendio successivi alla nuova disciplina introdotta dalla legge 11 luglio 1980, n.312, non v'era alcuna ragione per escluderne soggetti, come il ricorrente, che era stato sì collocato in pensione in una data anteriore alla decorrenza economica della citata legge n. 312 del 1980 (e cioé il 1° aprile 1979), ma che comunque era stato inquadrato nelle qualifiche retributivo- funzionali ai sensi dell'art. 160 della citata legge, perchè ancora in servizio alla data del 1° giugno 1977, momento da cui decorrevano gli effetti giuridici. Ne risulterebbe quindi vulnerato il principio di parità di trattamento, avendo il legislatore disposto diversamente nei confronti di soggetti con il medesimo status.

 

Aggiunge il giudice a quo che la stessa Corte costituzionale, nella sentenza n. 504 del 1988, ha ritenuto irrazionale, all'interno dell'insieme omogeneo del personale inquadrato ai sensi degli artt. 46 e 160 della legge n. 312 del 1980, la discriminazione operata a danno dei dipendenti della scuola collocati in quiescenza tra il 1° giugno 1977 e il 1° aprile 1979.

 

2. Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'infondatezza della questione alla luce della discrezionalità che, in materia, va riconosciuta al legislatore ordinario.

 

Proporzionalità ed adeguatezza della retribuzione, e quindi della pensione, non implicano che il trattamento di quiescenza debba coincidere integralmente con la retribuzione goduta all'atto di cessazione dal servizio o che di questa debba seguire le variazioni (si richiama la sentenza di questa Corte n. 26 del 1980). Il legislatore ha peraltro introdotto una normativa avente finalità perequatrici (leggi 29 aprile 1976, n. 177, 17 aprile 1985, n. 141, decreto-legge 16 settembre 1987, n. 379, convertito in legge 14 novembre 1987, n. 468) che vale per la generalità dei pensionati statali ed anche per il personale in questione, che non ha mai assunto veste peculiare.

 

Non può dunque considerarsi contraria al principio di cui all'art. 3 della Costituzione la censurata norma di legge che differenzia la base pensionabile ed il conseguente trattamento economico in stretta correlazione con la data di cessazione dal servizio attivo.

 

Considerato in diritto

 

1. La Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione siciliana, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 26 del decreto-legge 6 giugno 1981, n. 283, convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 1981, n. 432, nella parte in cui dispone la riliquidazione del trattamento pensionistico per i dipendenti pubblici cessati dal servizio dopo il 1° gennaio 1979 (data di decorrenza del triennio contrattuale 1979-81), e non anche per quelli posti in quiescenza anteriormente, considerato che la data di decorrenza degli effetti giuridici dell'inquadramento nelle qualifiche funzionali ex legge n. 312 del 1980 è il 1° giugno 1977.

 

2. La questione è infondata.

 

Giova ricordare, in via preliminare, come l'art. 46 della legge 11 luglio 1980, n. 312, disciplinando l'inquadramento nelle qualifiche funzionali del personale in servizio alla data del 1° giugno 1977, abbia diversificato la decorrenza degli effetti < giuridici> ed < economici> (per i primi, il 1° giugno 1977; per i secondi, il 1° aprile 1979). L'art. 160 della stessa legge, al secondo comma, detta una norma ad hoc per il personale cessato dal servizio tra il 1° giugno 1977 e il 1° aprile 1979, disponendo l'inquadramento ai soli fini del trattamento di quiescenza.

 

Ora, successivamente all'entrata in vigore della legge n.312 del 1980, è intervenuto il citato decreto-legge 6 giugno 1981, n. 283, convertito nella legge 6 agosto 1981, n. 432, che ha dato copertura finanziaria ai decreti del Presidente della Repubblica attuativi dei rinnovi contrattuali per il triennio 1979-1981. Tale decreto-legge, all'art. 26, che è la norma denunziata dal giudice a quo, prevede che i nuovi livelli retributivi siano applicati anche al personale cessato dal servizio nel corso di vigenza del triennio contrattuale, che decorre dal 1° gennaio 1979.

 

Come risulta evidente dalle disposizioni di legge ora menzionate, non v'è alcuna connessione tra la disciplina transitoria dettata dalla legge n. 312 del 1980, e il rinnovo contrattuale 1979-1981, di cui al citato decreto-legge n. 283 del 1981: il giudice rimettente insiste sulla circostanza che il ricorrente è stato inquadrato nelle qualifiche funzionali ai sensi dell'art. 160 della citata legge n. 312 - perchè in servizio alla data del 1° giugno 1977 - e che gli effetti < giuridici> della più volte richiamata legge retroagiscono a tale data. Il rilievo del giudice a quo non ha tuttavia pregio, giacchè l'efficacia retroattiva discende da una valutazione discrezionale del legislatore al momento di disciplinare il passaggio dal vecchio al nuovo assetto del personale civile e militare dello Stato, per cui non si vede come tale scelta si riverberi sul rinnovo contrattuale del triennio successivo.

 

Nè vale il richiamo alla sentenza n. 504 del 1988 di questa Corte. Oggetto di tale sentenza è il riconoscimento di una anzianità che, in ipotesi, sia maggiore di quella riconosciuta al momento dell'inquadramento ai sensi della citata legge n. 312 del 1980, sì che ad essere censurata è l'irrazionale discriminazione determinatasi all'interno di un insieme omogeneo di dipendenti, ai fini della riliquidazione delle pensioni. Si tratta, quindi, di problemi di assestamento della riforma operata dalla legge n. 312 del 1980, e non del rapporto tra questa e il rinnovo contrattuale (che nel caso in esame riguarda, come si è detto, il triennio 1979-1981, successivo alla data di collocamento a riposo del dipendente).

 

3. Così chiarita la questione, essa si risolve in una più generale denunzia di inadeguatezza del trattamento pensionistico a causa della mancata applicazione di successivi benefici derivanti dal rinnovo contrattuale, ed è appena il caso di osservare che sul raccordo fra pensioni e retribuzioni il legislatore è già intervenuto in via generale, e a fini perequativi, nell'esercizio della sua discrezionalità e secondo meccanismi che legittimamente tengono conto delle esigenze fondamentali di politica economica e dei limiti delle risorse disponibili (come questa Corte ha già avuto modo di sottolineare, da ultimo, nella sent. n. 226 del 1993).

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.26 del decreto-legge 6 giugno 1981, n. 283, convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 1981, n. 432, (Copertura finanziaria dei decreti del Presidente della Repubblica di attuazione degli accordi contrattuali triennali relativi al personale civile dei Ministeri e dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, nonchè concessione di miglioramenti economici al personale civile e militare escluso dalla contrattazione), sollevata dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione siciliana, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, con l'ordinanza in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22/12/93.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Francesco GUIZZI, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 30/12/93.