Sentenza n. 408 del 1993

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SENTENZA N. 408

 

ANNO 1993

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA,

 

Giudici

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Avv. Massimo VARI

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 12 del d.P.R. 24 aprile 1982, n. 340 (Ordinamento del personale e organizzazione degli uffici dell'Amministrazione civile del ministero dell'interno), promosso con ordinanza emessa il 4 novembre 1992 dal Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna sul ricorso proposto da Manca di Mores Maria Celeste contro il ministero dell'interno, iscritta al n. 188 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 18, prima serie speciale, dell'anno 1993.

 

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nella camera di consiglio del 20 ottobre 1993 il Giudice relatore Gabriele Pescatore.

 

Ritenuto in fatto

 

1. Il Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna, con ordinanza 4 novembre 1992, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 4, 27, 35 e 97 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 12 del d.P.R. 24 aprile 1982, n. 340, a norma del quale "sono esclusi dalla partecipazione ai concorsi - per l'assunzione del personale dell'Amministrazione civile del ministero dell'interno - coloro che siano stati destituiti o dispensati dall'impiego presso una pubblica amministrazione ovvero abbiano riportato condanna a pena detentiva per reati non colposi o siano stati sottoposti a misure di prevenzione".

 

L'ordinanza é stata emessa nel corso di un giudizio promosso avverso un decreto del ministro dell'interno concernente l'esclusione della ricorrente da un concorso per 252 posti di commesso della terza qualifica funzionale (del quale era risultata vincitrice), ai sensi dell'art. 12, comma secondo, del d.P.R. 24 aprile 1982, n. 340, per aver commesso alcuni reati non colposi, nonostante avesse ottenuto anche la riabilitazione.

 

Nell'ordinanza di rimessione si osserva che, ai sensi del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, é stabilita espressamente la esclusione dai pubblici concorsi di coloro che siano stati destituiti o dispensati dall'impiego presso una pubblica amministrazione. Per costante interpretazione giurisprudenziale venivano esclusi dai pubblici concorsi anche coloro che avessero commesso uno dei reati per i quali l'art. 85 del medesimo T.U. prevedeva la destituzione di diritto dall'impiego, nella considerazione che sarebbe illogico ammettere ad un concorso un soggetto, assumerlo in servizio ove vincitore, e doverlo contestualmente destituire perchè incorso in una di quelle situazioni che comportano necessariamente la destituzione d'ufficio.

 

Una volta dichiarata l'illegittimità costituzionale (sentenza n. 971 del 1988) del suddetto art. 85, nella parte in cui non prevedeva, in luogo del provvedimento di destituzione di diritto, l'apertura e lo svolgimento del procedimento disciplinare, la giurisprudenza amministrativa si é orientata nel senso che l'Amministrazione, prima di procedere all'esclusione dalla partecipazione al concorso di colui che sia stato condannato per uno dei reati previsti da tale articolo, deve valutare, con provvedimento motivato, se escludere o ammettere il candidato al concorso.

 

Secondo il giudice a quo, la ratio dell'impugnato art. 12 del d.P.R. n. 340 del 1982 é la stessa dell'art. 85 del d.P.R. n. 3 del 1957, con il suo conseguente contrasto, in base ai principi affermati nella citata pronuncia d'incostituzionalità, con: a) l'art. 3 Cost., in quanto da un lato sottopone ad un diverso trattamento il cittadino, a seconda che concorra per l'impiego presso un'amministrazione piuttosto che presso un'altra; dall'altro, sarebbe irragionevole che l'Amministrazione debba procedere all'esclusione dal concorso senza alcun margine di discrezionalità che le consenta di applicare il principio generale di graduazione della sanzione alla gravità del reato e di valutare l'eventuale compatibilità tra condanna ed ammissione all'impiego tenendo anche conto dell'eventuale sentenza di riabilitazione; b) con l'art. 97 Cost., in quanto l'imparzialità e il buon andamento della P.A., vanno assicurati "mediante un'azione amministrativa adeguata al caso concreto, consentendo all'Amministrazione medesima di apprezzare situazioni soggettivamente ed oggettivamente diverse"; c) con gli artt. 4 e 35 Cost., in quanto impedisce l'accesso al lavoro in conseguenza di un'ampia categoria di reati, indipendentemente dalla loro gravità e delle funzioni da svolgere; d) con l'art. 27 Cost., in quanto ostacola il reinserimento del condannato nel mondo del lavoro, compito che non può essere rimesso esclusivamente ai datori di lavoro privati, ma del quale deve farsi carico anche lo Stato, consentendo l'accesso nelle pubbliche amministrazioni di coloro che siano incorsi in sanzioni penali, mediante una valutazione discrezionale che tenga conto del tipo di reato, della inclinazione a delinquere del colpevole, del suo ravvedimento e delle mansioni della qualifica da ricoprire.

 

Secondo il giudice a quo, inoltre, l'art. 12 anzi detto sarebbe costituzionalmente illegittimo, in riferimento agli artt. 27 e 97 Cost., in quanto non prende in considerazione la riabilitazione come condizione di inoperatività della preclusione da esso disposta. Irragionevolmente, infatti, esso non attribuisce tale efficacia alla riabilitazione, mentre l'attribuisce all'amnistia propria, che ha l'attitudine di escludere il reato anche in presenza di prova pienamente raggiunta e non costituisce preclusione all'assunzione.

 

2. Dinanzi a questa Corte si é costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, con il patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.

 

Secondo quanto si espone nell'atto di costituzione, la norma impugnata trova giustificazione nella peculiarità dei compiti affidati al ministero dell'interno.

 

Infatti, nell'espletamento delle funzioni o nello svolgimento delle mansioni affidatigli, il personale dell'Amministrazione civile dell'interno può accedere a notizie e informazioni riservate concernenti l'attività delle forze di polizia e comunque afferenti alla tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica. Pertanto, i rigorosi requisiti soggettivi richiesti dall'art. 12 del d.P.R. n. 340 del 1982 per la partecipazione ai concorsi di assunzione di personale del ministero dell'interno, sono giustificati dalla necessità di predisporre una "garanzia preventiva di affidabilità" e di selezionare a tal fine candidati che siano in possesso di determinati requisiti, obiettivamente desumibili, in via indiretta, dalla assenza di condanne per particolari delitti o di misure di prevenzione.

 

Quanto alle allegate violazioni degli artt. 4 e 35 Cost., nell'atto di costituzione si osserva che tali norme non garantiscono il libero accesso a qualsiasi attività lavorativa, in specie pubblica, che può essere inibito in relazione alla tutela di altri interessi costituzionalmente rilevanti. Nè può ritenersi che la norma impugnata violi l'art. 97 Cost. mirando anzi a garantire il buon andamento della pubblica amministrazione. Quanto, infine, alla sua dedotta illegittimità per contrasto con l'art. 27 Cost., neppure essa sussisterebbe, poichè "gli obiettivi perseguiti dalla norma sono di rango costituzionale assolutamente prioritario e l'esclusione dal concorso in questione non incide sostanzialmente sulle possibilità di recupero del condannato".

 

Considerato in diritto

 

l. - La questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna concerne l'art.12 del d.P.R. 24 aprile 1982, n. 340, che esclude dalla partecipazione ai concorsi per l'assunzione del personale dell'Amministrazione civile dell'interno coloro che siano stati destituiti o dispensati dall'impiego presso una pubblica amministrazione, ovvero abbiano riportato condanna a pena detentiva per reati non colposi o siano stati sottoposti a misure di prevenzione. L'ordinanza deduce la violazione : a) dell 'art . 3 Cost., in quanto la norma sottopone ad un trattamento diverso il cittadino, in relazione all'amministrazione alla quale intende accedere; per quanto concerne, in particolare, l'Amministrazione dell'interno, della quale nella specie si tratta, sarebbe irragionevole che essa debba procedere all'esclusione dal concorso senza alcun margine di discrezionalità, che le consenta di applicare il principio generale di graduazione della sanzione alla gravità del reato e di valutare l'eventuale compatibilità tra condanna ed ammissione all'impiego, tenendo anche conto di una sopravvenuta sentenza di riabilitazione; b) dell'art. 97 Cost., in quanto l'imparzialità e il buon andamento della P.A., vanno assicurati < mediante un'azione amministrativa adeguata al caso concreto, consentendo all'Amministrazione medesima di apprezzare situazioni soggettivamente ed oggettivamente diverse>; c) degli artt. 4 e 35 Cost., in quanto la norma impugnata impedisce l'accesso al lavoro in relazione ad un'ampia categoria di reati, indipendentemente dalla loro gravità e dalla considerazione delle funzioni da svolgere; d) dell'art. 27 Cost., in quanto la norma stessa ostacola il reinserimento del condannato nel mondo del lavoro, compito che non può essere rimesso esclusivamente ai datori di lavoro privati, ma del quale deve farsi carico anche lo Stato, consentendo l'accesso alle pubbliche amministrazioni di coloro che siano incorsi in sanzioni penali, mediante una valutazione discrezionale che tenga conto del tipo di reato, della inclinazione a delinquere del colpevole, del suo ravvedimento e delle mansioni della qualifica da ricoprire; e) degli artt. 27 e 97 Cost., in quanto la norma impugnata non considera la riabilitazione come elemento per l'inoperatività dell'esclusione dal concorso da essa disposta.

 

2. - Deve osservarsi preliminarmente che la questione è stata sollevata nel corso di un giudizio avente ad oggetto il provvedimento di esclusione da un concorso a posti di commesso della terza qualifica funzionale dell'Amministrazione civile dell'interno, di un concorrente, risultato vincitore, che aveva subito una condanna penale ed ottenuta la riabilitazione.

 

Occorre poi precisare che l'art. 2 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n.3, stabilisce in via generale per l'ammissione agli impieghi civili nello Stato, che < non possono accedere agli impieghi coloro che siano esclusi dall'elettorato attivo politico e coloro che siano stati destituiti o dispensati dall'impiego presso una pubblica amministrazione>.

 

Quanto a queste due ultime cause di esclusione, l'indirizzo più recente della giurisprudenza amministrativa si è consolidato nell'affermazione che - ove manchi un'espressa disposizione di legge che lo preveda-la sentenza penale di condanna per reati, comportanti, a norma dell'art. 85 del d.P.R. n. 3 del 1957 cit. la destituzione di diritto dal pubblico impiego, non può considerarsi di per sè ostativa all'instaurazione del rapporto, essendo necessaria un'autonoma valutazione dell'Amministrazione sulla rilevanza dei reati commessi, sulla personalità e sulla successiva condotta dell'interessato.

 

Tale giurisprudenza è sorretta dalla ratio che è a fondamento delle sentenze di questa Corte nn. 97 del 1988 e 197 del 1993 sulla illegittimità costituzionale della normativa comportante la destituzione automatica dei pubblici dipendenti in conseguenza di determinate condanne penali.

 

Da tali decisioni emerge l'affermazione del principio, costituzionalmente garantito, secondo il quale la costituzione del rapporto di pubblico impiego e la permanenza di esso non possono essere escluse, di per sè, dalla condanna penale per determinati reati, dovendo essere, anch'esse, in ogni caso precedute da una valutazione autonoma e specifica dell'Amministrazione circa l'influenza della condanna sull'attitudine dell'interessato ad espletare l'attività alla quale lo legittima il rapporto di pubblico impiego.

 

Per quanto riguarda il caso concreto, si afferma che la norma impugnata (art. 12 d.P.R. n. 340 del 1982) viene a porsi come eccezione a questo principio, giustificata dalla peculiarità dei compiti e dei requisiti specifici richiesti per le attività che fanno capo all'Amministrazione dell'interno.

 

Sembra alla Corte che siffatte peculiarità non valgono a dare ragionevole giustificazione alla conseguenza, che da esse si trae, secondo la quale dalla condanna a pena detentiva per qualsiasi reato non colposo debba derivare l'esclusione automatica dal concorso; si impedisce così di valutare in concreto se la peculiarità della situazione consenta la compatibilità tra condanna (per di più seguita da riabilitazione) ed esercizio dell'attività impiegatizia. Al riguardo deduce fondatamente il giudice a quo la lesione degli artt. 3 e 27 della Costituzione, poichè l'impugnato art. 12 del d.P.R. n. 340 del 1982 non prevede la possibilità di questa autonoma valutazione da parte della competente autorità amministrativa, soprattutto con riferimento alla riabilitazione.

 

Osserva la Corte che, ai sensi dell'art. 178 cod. pen., la riabilitazione estingue le pene accessorie ed ogni altro effetto penale della condanna, salvo che la legge disponga altrimenti. Non essendo la esclusione dalla partecipazione al pubblico concorso un effetto penale della condanna, la riabilitazione no n comporta di per sè, automaticamente, il venir meno dell'esclusione stessa, quando sia prevista dalla legge.

 

É peraltro irragionevole (art. 3 Cost.) e contrastante con le finalità di reinserimento del condannato nella vita sociale, cui s'ispira anche l'art.27, terzo comma, ultima parte, della Costituzione, considerare irrilevante l'intervenuta riabilitazione, precludendo all'Amministrazione la valutazione di tale evenienza, in tutti i suoi elementi, con riferimento particolare alla qualifica ed alle mansioni da espletare in base al concorso.

 

Sì che proprio con riguardo all'esclusione dal concorso stesso la lamentata carenza di ogni potere di apprezzamento alla p.a. e, in particolare dell'intervenuta riabilitazione, si pongono in contrasto col perseguimento della finalità della rieducazione, del ricupero morale e sociale del condannato e del suo rinserimento nella vita civile.

 

Ne deriva che l'art. 12 del d.P.R. 24 aprile 1982, n. 340 va dichiarato costituzionalmente illegittimo, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, nella parte in cui non prevede il potere di valutazione, da parte dell'Amministrazione interessata, ai fini dell'ammissione al concorso, della riabilitazione ottenuta dal candidato.

 

Restano assorbiti i restanti profili d'incostituzionalità.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 12 del d.P.R.24 aprile 1982, n. 340 (Ordinamento del personale e organizzazione degli uffici dell'Amministrazione civile del ministero dell'interno) nella parte in cui non prevede il potere di valutazione, da parte dell'Amministrazione interessata, ai fini del l'ammissione al concorso, della riabilitazione conseguita dal candidato.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 05/11/93.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Gabriele PESCATORE, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 23/11/93.