Sentenza n. 363 del 1993

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SENTENZA N. 363

ANNO 1993

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 13 e 13-ter, comma secondo, in relazione agli artt. 9 e 10 del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384, convertito nella legge 14 novembre 1992, n. 438, recante: "Misure urgenti in materia di previdenza, di sanità e di pubblico impiego, nonchè disposizioni fiscali", promosso con ricorso della Regione Sardegna, notificato il 18 dicembre 1992, depositato in cancelleria il 21 successivo ed iscritto al n. 72 del registro ricorsi 1992.

Visto l'atto di costituzione del Presidente del consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica dell'8 giugno 1993 il Giudice relatore Gabriele Pescatore;

uditi l'avv. Sergio Panunzio per la Regione Sardegna e l'avv. dello Stato Sergio Laporta per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

l. La Regione Sardegna, con ricorso notificato il 18 dicembre 1992 al Presidente del Consiglio dei ministri, ha promosso giudizio in via principale impugnando gli artt. 13 e 13-ter, comma secondo - in relazione agli artt. 9 e 10 - del d.l. 19 settembre 1992, n. 384, convertito nella l.14 novembre 1992, n. 438.

Nel ricorso si espone che il decreto legge n. 384 del 1992 - nell'ambito di una manovra finanziaria diretta a fronteggiare la grave situazione economica del paese - oltre ad adottare misure per il contenimento della spesa in vari settori, contiene anche disposizioni dirette ad aumentare le entrate tributarie. In particolare la regione deduce che detto decreto-legge, dopo aver dettato agli artt. 9 e 10 alcune disposizioni dirette ad accrescere il gettito tributario, incidendo sulle aliquote dell'Irpef e sugli oneri deducibili, con l'art. 13, comma primo, dispone che le relative maggiori entrate sono riservate all'erario e concorrono, "anche attraverso il potenziamento di strumenti antievasione, alla copertura degli oneri per il servizio del debito pubblico, nonchè alla realizzazione delle linee di politica economica e finanziaria in funzione degli impegni di riequilibrio del bilancio assunti in sede comunitaria". Tali disposizioni, secondo quanto prevede l'art. 13-ter, primo comma, "sono applicabili nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e Bolzano in quanto non in contrasto con le norme dei rispettivi statuti e con le relative norme di attuazione". In base al secondo comma dell'art. 13-ter solo per la Regione Valle d'Aosta è prevista l'individuazione e la determinazione delle nuove entrate spettanti allo Stato attraverso apposita "intesa", mentre per le altre regioni le modalità d'individuazione del maggior gettito sono demandate (art. 13, secondo comma) ad un decreto del ministro delle finanze.

Per l'ipotesi che le suddette disposizioni siano ritenute applicabili, non ostante la suddetta riserva, anche alla Regione Sardegna, col ricorso si deduce la "violazione, da parte degli artt. 13 e 13-ter, secondo comma, in relazione agli artt. 9 e 10, del decreto-legge impugnato, dei principi costituzionali relativi alla autonomia finanziaria della regione Sardegna e specificamente degli artt. 7, 8 e 54 dello statuto speciale (l. cost. 26 febbraio 1948, n. 3 e successive modificazioni) e relative norme d'attuazione, nonchè degli artt. 116 e 119 Cost. e del principio di leale collaborazione".

La regione osserva in proposito che la sua autonomia finanziaria si fonda, sotto il profilo delle entrate, sulla partecipazione al gettito dei tributi erariali riscossi nel territorio regionale, secondo quanto previsto dall'art. 8 dello statuto speciale per la Sardegna (nel testo sostituito dall'art. 1 della l. 13 aprile 1983, n. 122), il quale stabilisce (lett. a) che alla regione spettano "sette decimi del gettito delle imposte sul reddito delle persone fisiche e sul reddito delle persone giuridiche riscosse nel territorio della Regione".

La garanzia di tale autonomia sta, da un lato, nella impossibilità per lo Stato di procedere (uni lateralmente) alla modificazione delle quote di partecipazione regionale, se non attraverso procedure di revisione costituzionale o, comunque, basate su intese fra Stato e regione; dall'altro nell'applicazione della quota regionale a tutto il gettito derivante dal tributo erariale.

Al riguardo la regione cita la giurisprudenza costituzionale, da cui emerge che, in mancanza delle suddette procedure, il maggior gettito dei tributi erariali conseguenti a modificazioni della relativa disciplina legislativa, può essere riservato allo Stato solo ove concorrano determinate condizioni, costituite: a) in primo luogo dalla specificità dello scopo, nel senso che la riserva allo Stato disposta dalla legge deve essere finalizzata alla copertura di spese che abbiano un fine particolare e ben determinato, e che siano nello stesso tempo di competenza dello Stato; b) in secondo luogo dalla determinatezza temporale della riserva allo Stato stabilita dalla legge, nel senso che essa deve avere valore di disciplina provvisoria, anche in relazione al carattere contingente della spesa che la riserva è destinata a finanziare.

Nel caso del decreto-legge impugnato, lo scopo della riserva sarebbe generico e la destinazione allo Stato del maggior gettito dei tributi sarebbe a tempo indeterminato, concretandosi in un nuovo e definitivo assetto della disciplina relativa alla ripartizione fra Stato e regioni del gettito dell'Irpef.

Inoltre - secondo la regione - sarebbe impossibile quantificare l'incremento del gettito Irpef in base all'applicazione della nuova disciplina: il che significherebbe che "la legge non garantisce neppure che alla regione venga attribuita integralmente la quota del gettito ad essa assegnato dallo statuto, indipendentemente dagli aumenti di gettito conseguenti alla disciplina contenuta negli artt. 9 e 10 del decreto-legge impugnato".

Il secondo comma dell'art. 13 poi, rimettendo a un decreto del ministro delle finanze, di concerto con quello del tesoro, di definire le modalità per la determinazione delle nuove entrate spettanti allo Stato, lederebbe ulteriormente l'autonomia finanziaria regionale, demandando ad un atto amministrativo di disporre la disciplina della ripartizione fra Stato e regione delle quote rispettivamente spettanti, affidando al ministro la determinazione delle entrate finanziarie della regione. Violerebbe, inoltre, la riserva di legge posta dall'art. 119 Cost., "attesa la mancanza di un qualsivoglia criterio che valga in qualche modo a limitare la discrezionalità del Governo, nonchè il principio di leale cooperazione che deve informare i rapporti tra Stato e regioni, il quale impone che la suddetta ripartizione avvenga attraverso apposita intesa".

2. Dinanzi a questa Corte si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, con il patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato.

Rileva l'Avvocatura, quanto alla questione relativa all'art. 13 del decreto-legge, che in sede di conversione è stata aggiunta una disposizione, contenuta nel primo comma dell'art. 13-ter, la quale espressamente sancisce che la normativa del decreto-legge è applicabile nelle regioni a statuto speciale solo in quanto non sia in contrasto con le norme dei rispettivi statuti e con le relative norme di attuazione. Ne deriva che non è configurabile "una pronuncia di incostituzionalità, per lesione delle norme statutarie, rispetto a norme che si sono poste come loro limite di operatività il rispetto delle autonomie statutariamente garantite".

Quanto all'ultima censura rivolta alla mancata previsione di una intesa con la regione Sardegna, analoga a quella prevista per la regione Valle d'Aosta, si osserva che la disposizione riguardante quest'ultima regione riproduce la norma contenuta nell'art. 8, secondo comma, dello statuto speciale per la Valle d'Aosta, che prevede, appunto, una procedura di intesa per determinare in concreto l'ammontare degli effetti delle eventuali modificazioni dei tributi dallo statuto stesso devoluti alla regione, norma che non trova riscontro nello statuto speciale per la Sardegna, il quale non prescrive un siffatto meccanismo e la mancanza dell'intesa non può ledere, perciò, alcuna garanzia costituzionalmente riconosciuta alla regione.

3. Con memoria depositata il 10 marzo 1993 la Regione Sardegna ha dichiarato di aderire alla tesi dell'inapplicabilità della riserva allo Stato del maggior gettito Irpef derivante, nella regione stessa, dalle disposizioni degli artt. 9 e 10 del decreto-legge impugnato, insistendo - peraltro - nella richiesta di una pronuncia d'illegittimità costituzionale degli artt.13 e 13-ter ove tale interpretazione non sia condivisa da questa Corte.

Considerato in diritto

l. La Regione Sardegna ha impugnato l'art. 13 del d.l. 19 settembre 1992, n.384, convertito nel la l. 14 novembre 1992, n. 438, deducendo che esso avrebbe attribuito allo Stato il maggior gettito dell'Irpef derivante dalle disposizioni degli artt. 9 e 10 dello stesso decreto-legge, così violando gli artt. 7, 8 e 54 dello statuto sardo e 116 e 119 della Costituzione. Ha impugnato, altresì - in relazione alle medesime norme - l'art. 13-ter, comma secondo, dello stesso decreto-legge, in quanto non stabilisce che anche per la regione Sardegna - come per la regione Valle d'Aosta - l'individuazione delle maggiori entrate da destinare allo Stato vada fatta d'intesa tra Stato e regione.

L'Avvocatura generale dello Stato, costituitasi per il Presidente del Consiglio dei ministri, ha eccepito che, ai sensi del primo comma dello stesso art. 13-ter, la normativa del decreto-legge impugnato è applicabile nelle regioni ad autonomia speciale "solo in quanto non sia in contrasto con le norme dei rispettivi statuti e con le relative norme di attuazione". Non sarebbe configurabile, pertanto, una violazione dello statuto della Regione Sardegna da parte di tale decreto. Quanto all'art. 13-ter, comma secondo, ha dedotto che, comunque, in detto statuto non esiste una norma che preveda che il mutamento del riparto delle entrate tra Stato e regione debba avvenire attraverso la procedura dell'intesa.

2. Va premesso che l'art. 8 dello statuto speciale per la Sardegna, (approvato con legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3), nel testo di cui alla legge 13 aprile 1983, n.122, alla lettera a) stabilisce che le entrate della regione sono costituite - tra l'altro - "dai sette decimi del gettito delle imposte sul reddito delle persone fisiche e sul reddito delle persone giuridiche riscosse nel territorio della regione". A norma dell'art. 54 dello stesso statuto, tale disposizione (come tutte quelle del titolo terzo, che regola le finanze, il demanio e il patrimonio regionale), può essere modificata con legge ordinaria solo "su proposta del Governo o della regione, in ogni caso sentita la regione", (cfr. al riguardo la sentenza n. 70 del 1987).

É incontroverso che il decreto-legge impugnato e la relativa legge di conversione sono stati adottati senza che la Regione Sardegna sia stata sentita sulla destinazione delle maggiori entrate dell'Irpef derivanti dalla nuova curva delle aliquote previste dall'art. 9 e dalla disciplina degli oneri deducibili dettata dall'art. 10: entrate che, ai sensi del citato art 8, lett. a) dello statuto, spettano alla Regione nella misura di sette decimi.

L'istituzione della riserva di tali entrate allo Stato, disciplinata dalle norme impugnate senza il rispetto della procedura prevista, ne determina il contrasto con lo statuto sardo e rende "inapplicabile" la normativa alla regione in virtù del predetto art. 13-ter, comma primo.

Tale "inapplicabilità" produce l'effetto che la devoluzione allo Stato delle maggiori entrate derivanti dalla legge impugnata si deve effettuare soltanto nei limiti derivanti dall'art. 8 dello statuto sardo, immutata la quota destinata alla regione da tale norma, anche in relazione agli incrementi derivanti dal d.l. n. 384, come convertito.

La constatata inidoneità della normativa impugnata a realizzare effetti pregiudizievoli sui flussi tributari garantiti alla Regione Sardegna, comporta la dichiarazione di non fondatezza del ricorso, nei sensi ora indicati.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 13 e 13- ter, comma secondo, del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384 (Misure urgenti in materia di previdenza, di sanità e di pubblico impiego, nonchè disposizioni fiscali), convertito nella legge 14 novembre 1992, n. 438 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 19 settembre 1992, n.384, recante misure urgenti in materia di previdenza, di sanità e di pubblico impiego, nonchè disposizioni fiscali), sollevata, in riferimento agli artt. 116 e 119 della Costituzione e agli artt. 7, 8 e 54 dello statuto, dalla Regione Sardegna, con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 11/06/93.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Gabriele PESCATORE, Redattore

Depositata in cancelleria il 30/07/93.