Sentenza n. 356 del 1993

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SENTENZA N. 356

 

ANNO 1993

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 19, 67 e 72 del disegno di legge n. 387/A approvato il 31 marzo - 1° aprile 1993, intitolato: "Interventi nei comparti produttivi, altre disposizioni di carattere finanziario e norme per il contenimento, la razionalizzazione e l'acceleramento della spesa", promosso con ricorso del Commissario dello Stato per la Regione Siciliana, notificato il 10 aprile 1993, depositato in cancelleria il 19 successivo ed iscritto al n. 27 del registro ricorsi 1993.

 

Visto l'atto di costituzione della Regione Siciliana;

 

udito nell'udienza pubblica del 22 giugno 1993 il Giudice relatore Antonio Baldassarre;

 

uditi l'Avvocato dello Stato Franco Favara per il Commissario dello Stato e l'Avvocato Giovanni Pitruzzella per la regione Siciliana.

 

Ritenuto in fatto

 

l.- Con ricorso regolarmente notificato e depositato, il Commissario dello Stato per la Regione Siciliana ha sollevato questione di legittimità costituzionale nei confronti degli artt. 19, 67 e 72 della legge approvata dall'Assemblea Regionale Siciliana nella seduta del 31 marzo - 1° aprile 1993, intitolata: "Interventi nei comparti produttivi, altre disposizioni di carattere finanziario e norme per il contenimento, la razionalizzazione e l'acceleramento della spesa".

 

l.l.- L'art. 19 dispone che "nelle more della riforma e del riordino dei consorzi di bonifica siciliani, e comunque per un periodo non superiore ad un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, le funzioni previste dalla legislazione vigente per gli organi dei consorzi di bonifica siciliani sono svolte da un commissario straordinario nominato con decreto dell'Assessore regionale per l'agricoltura e le foreste". A giudizio del Commissario dello Stato, questa disposizione, il cui carattere provvedimentale sarebbe evidente e la cui funzione sarebbe quella di dare una copertura legislativa a provvedimenti amministrativi di commissariamento degli organi di gestione ordinaria di alcuni consorzi di bonifica già adottati dalla Regione e sospesi dal TAR, contrasterebbe con gli artt. 51, 3 e 97 della Costituzione.

 

Evidente sarebbe, infatti, ad avviso del ricorrente, la lesione del diritto dei singoli amministratori a permanere nelle rispettive cariche senza una preventiva e puntuale verifica delle circostanze che possono giustificare il ricorso ad una gestione straordinaria ai sensi delle vigenti disposizioni.

 

Del pari evidente sarebbe, sempre ad avviso del ricorrente, la violazione dei principi di buona amministrazione, in quanto la disposizione impugnata risulta ispirata dalla esigenza di sollevare l'amministrazione dall'imbarazzo causato dal probabile annullamento in sede giurisdizionale dei provvedimenti di nomina dei commissari straordinari dei consorzi. La medesima disposizione, infine, poichè costituisce una anticipazione rispetto al disegno di legge concernente il riordino degli interventi regionali in materia di bonifica, il quale prevede la nomina di un commissario ad acta incaricato di determinare lo stato di consistenza patrimoniale del consorzio e del personale dello stesso, sarebbe, ad avviso del ricorrente, irragionevole e arbitraria. Il legislatore regionale, infatti, anzichè adoperarsi per una sollecita approvazione di una riforma organica della materia, avrebbe anticipato gli effetti della riforma, travisando, peraltro, la natura stessa dell'istituto della gestione commissariale, il quale, da strumento necessario e limitato alla fase di prima applicazione della nuova normativa, diventerebbe sistema ordinario di amministrazione.

 

l.2.- L'art. 67 dispone che "da parte delle società e dei consorzi che hanno assunto l'appalto dei lavori di censimento, catalogazione, inventariazione dei beni culturali e ambientali nonchè i servizi aerofotografici (capitolo 38354) vengono utilizzati prioritariamente i soggetti che hanno prestato e prestano la loro opera [primo comma]. Della rimanente quota il 50 per cento viene selezionato dal personale di cui agli artt.19 e 21 della legge regionale 15 maggio 1991, n. 27 e successive modifiche e integrazioni purchè in possesso dei requisiti previsti dalle convenzioni e dagli accordi sindacali" [secondo comma]. Questa disposizione è impugnata per contrasto con gli artt. 4 e 41, primo comma, della Costituzione, nonchè con l'art. 17, lettera f), dello Statuto speciale per la Sicilia in relazione all'art. 25 della legge 23 luglio 1991, n. 223, e ai principi di diritto comunitario.

 

Il ricorrente osserva, innanzitutto, che la disposizione impugnata, ancorchè vòlta a venire incontro ai problemi occupazionali di circa quarantamila giovani attualmente impegnati nei progetti di utilità collettiva di cui all'art.23 della legge n. 67 del 1988, impone ai privati, che hanno assunto l'appalto per i lavori in essa previsti, l'obbligo di utilizzare quel personale a scapito della generalità degli altri cittadini, disoccupati o non occupati. In tal modo, risulterebbe violato l'art. 4 della Costituzione, il quale non consentirebbe di privilegiare una categoria di cittadini, peraltro occupati fino al 31 dicembre 1993, a danno di altri cittadini, che vedono limitate, se non precluse, le possibilità di occupazione. Nè la situazione oggetto della disciplina contenuta nella disposizione impugnata presenta particolarità tali da giustificarla in riferimento all'attuazione del principio di eguaglianza. Inoltre, prosegue il ricorrente, la disposizione impugnata, stabilendo una riserva a favore di una determinata categoria di soggetti e limitando gravemente la libertà degli imprenditori di scegliere le persone delle quali avvalersi nell'esercizio della propria attività economica, lederebbe il principio della libertà di iniziativa economica privata (art. 41, primo comma, della Costituzione). Infine, la disciplina considerata è stata adottata nell'esercizio della potestà legislativa concorrente, quale è quella attribuita alla Regione Siciliana in materia di rapporti di lavoro e di legislazione sociale (art. 17, lett.f, dello Statuto) e, pertanto, in violazione del vincolo di istituire categorie protette difformi da quelle previste dalla legislazione statale, che, invece, fa carico a tutti i datori di lavoro, quando occupano più di 10 dipendenti, di riservare il 12 per cento delle nuove assunzioni alle categorie protette dallo stesso previste (art. 25 legge n. 223 del 1991).

 

Nè va trascurato, secondo il ricorrente, che la disposizione impugnata, la quale mira a porre rimedio ad una situazione di precariato frutto di una proroga in ambito regionale della disposizione dell'art. 23 della legge n.67 del 1988, non operata in sede nazionale, contrasterebbe altresì con il divieto, derivante dalla normativa comunitaria, di introdurre limiti alla libertà di circolazione dei lavoratori e di prevedere clausole con effetti discriminatori nei confronti di appartenenti ad altri Stati della Comunità.

 

l.3.- L'art. 72 autorizza la CORELSI - AIAS a svolgere attività didattica e di formazione del personale parasanitario nell'ambito della programmazione regionale disposta dall'Assessore regionale per la sanità e nel rispetto dei requisiti e delle modalità previste per lo svolgimento di tali attività. La stessa disposizione, inoltre, abroga il terzo comma dell'art.19 della legge regionale 18 aprile 1981, n. 68.

 

Secondo il ricorrente, questa disposizione contrasterebbe con l'art. 67, lett. b), dello Statuto speciale per la Sicilia in relazione all'art. 6, terzo comma, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, il quale disciplina la formazione professionale del personale sanitario infermieristico, tecnico e della riabilitazione, prevedendo che la stessa avvenga in sede ospedaliera. La disposizione impugnata, consentendo invece lo svolgimento di tali attività in sede diversa, eccederebbe dai limiti della potestà legislativa regionale, che in materia di personale sanitario è meramente attuativa e integrativa di quella statale.

 

2.- Si è costituita nel presente giudizio la Regione Siciliana, chiedendo che le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Commissario dello Stato siano dichiarate non fondate.

 

2.l.- Con riferimento alle censure proposte nei confronti dell'art. 19, la Regione, dopo aver ricordato che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, le leggi provvedimento non sono vietate dalla Costituzione, essendo le stesse subordinate soltanto al rispetto del principio di ragionevolezza (v., ad esempio, sent. n. 346 del 1991), osserva come proprio alla luce di quest'ultimo principio la disposizione impugnata non violi le disposizioni costituzionali invocate a parametro dal ricorrente. Essa, infatti, si inserisce in un piano di riforma dei consorzi di bonifica avviato dalla Giunta regionale siciliana e contenuto nel disegno di legge n.460, presentato il 5 febbraio 1993 e vòlto ad adeguare l'ordinamento regionale dei consorzi alla legge statale n. 183 del 1989, con la quale sono state riordinate le funzioni in materia di difesa del suolo. Di tale disegno, la disposizione impugnata ha inteso anticipare una previsione normativa, al fine di accelerare quanto più possibile i tempi della riforma medesima, provvedendo innanzitutto alla ricognizione dello stato di consistenza del patrimonio consortile e del personale degli attuali consorzi.

 

La ratio della disposizione impugnata, del resto, è dimostrata dalla temporaneità del regime di commissariamento, che dovrà durare per un periodo non superiore ad un anno dalla entrata in vigore della legge. E, sottolinea la Regione, la provvisorietà o la temporaneità di una normativa costituiscono, nella più recente giurisprudenza di questa Corte, elementi idonei a precludere in casi del genere una dichiarazione di illegittimità costituzionale.

 

Per quel che riguarda poi la censura relativa alla asserita violazione dell'art. 51 della Costituzione, la Regione osserva che tale disposizione non assicura la garanzia della permanenza negli uffici elettivi, in quanto la legge ordinaria può liberamente disporre la soppressione di uffici e la cessazione delle funzioni di corpi collegiali, che, secondo un apprezzamento discrezionale del legislatore, dovrebbero essere costituiti in modo diverso.

 

Inoltre, tanto il carattere generalizzato del commissariamento, quanto la sua strumentalità rispetto ad una riforma in fieri, costituiscono elementi che sicuramente inducono ad escludere intenti punitivi nei confronti di qualche amministratore.

 

Nè, a differenza di quanto avvenuto in altri giudizi, la valutazione della Corte può essere svolta in riferimento agli artt. 24 e 113 della Costituzione, dal momento che la violazione di tali parametri non è stata dedotta dal Commissario dello Stato.

 

2.2.- In riferimento alle censure relative all'art. 67, la Regione Siciliana contesta innanzitutto la fondatezza della premessa interpretativa dalla quale muove il Commissario dello Stato, posto che la disposizione impugnata non pone a carico dell'imprenditore un obbligo, ma solo un onere, e cioé un comportamento richiesto per ottenere determinate conseguenze di segno positivo che, nel caso, consistono nella stipulazione di determinati contratti con la pubblica amministrazione. Si tratta, per di più, di un onere limitato e a tempo determinato, dal momento che l'aliquota di assunzioni riguarda solo la parte dell'attività dell'impresa relativa alla esecuzione di alcuni contratti con l'amministrazione regionale.

 

L'imprenditore, pertanto, è libero sia di non stipulare con la pubblica amministrazione quegli specifici contratti, sia di stabilire, in caso contrario, di quanto personale ha bisogno.

 

Se così è, peraltro, risulterebbe evidente la infondatezza della censura in riferimento all'art. 41, primo comma, della Costituzione. Le assunzioni obbligatorie, infatti, non comprimono la libera valutazione dell'imprenditore in ordine al dimensionamento della impresa (v., sentt. nn.622 del 1987;279 del 1983; 55 del 1961 e 38 del 1960) e, in ogni caso, quand'anche si dovessero ravvisare limiti alla libertà di scelta dell'imprenditore, questi limiti sarebbero abbondantemente bilanciati dal vantaggio derivante dalla possibilità di stipulare contratti con la pubblica amministrazione (v. sent. n. 316 del 1990).

 

A giudizio della Regione Siciliana, peraltro, la disposizione impugnata risponderebbe anche a criteri di ragionevolezza, dal momento che la stessa, concernendo la prosecuzione di un'attività già avviata, consente la continuazione della utilizzazione di soggetti che hanno acquisito una adeguata professionalità. Il fatto poi che l'art. 67, secondo comma, è coerente con l'obiettivo di favorire l'occupazione giovanile e, in particolare, quella di quei giovani che hanno prestato la loro opera in attività di utilità collettiva, ma incontrano ostacoli nel raggiungere uno stabile posto di lavoro, varrebbe ad escludere il denunciato contrasto con l'art. 4 della Costituzione. Del resto, questa Corte, osserva la Regione, ha già escluso che la previsione della riserva di assunzioni a favore di determinate categorie, se ragionevole, contrasti con l'art. 4 della Costituzione, dal momento che simili previsioni non comprimono il diritto al lavoro (v. sent. n. 279 del 1983).

 

In ordine, poi, al dedotto contrasto tra la disposizione impugnata e la normativa comunitaria, la Regione Siciliana, oltre a sospettarne la inammissibilità, non essendo deducibili dinanzi alla Corte costituzionale vizi derivanti dalla violazione di norme comunitarie, ne sottolinea la infondatezza, rilevando come la disposizione impugnata non limiti affatto la libertà di circolazione dei cittadini degli Stati membri della Comunità.

 

Tanto i lavoratori rientranti nell'aliquota riservata, quanto le imprese aggiudicatarie dell'appalto, essendo stati individuati sin dal principio nel rispetto della normativa comunitaria, potrebbero essere, rispettivamente, cittadini o imprese di altri Stati. Secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia, del resto, l'elemento generatore dell'effetto discriminatorio è sempre la nazionalità, requisito che non è considerato dalla disposizione impugnata.

 

Infondata sarebbe, altresì, la censura relativa alla violazione dell'art.17, lettera f), dello Statuto, in relazione all'art. 25 della legge n. 223 del 1991, in quanto la disposizione regionale non ha inteso affatto derogare alla disciplina prevista dalla legge statale per le assunzioni obbligatorie.

 

2.3.- Per quanto concerne, infine, la censura relativa all'art. 72, la Regione rileva che le disposizioni contenute nell'art. 6 del decreto legislativo n. 502 del 1992, nel disciplinare, nell'ambito dei rapporti tra Servizio sanitario nazionale e Università, la formazione professionale del personale sanitario infermieristico, tecnico e della riabilitazione, non escludono affatto che la stessa possa essere impartita anche in sedi diverse da quella ospedaliera, sulla base di appositi protocolli di intesa.

 

Pertanto, poichè la disposizione impugnata non esclude la necessità di un successivo protocollo di intesa, ma si limita a ricomprendere la CORELSI-AIAS tra le istituzioni private autorizzate con le quali possono essere stipulati protocolli di intesa per l'espletamento dei corsi, deve escludersi il denunciato contrasto con i principi della legislazione statale.

 

3.- In prossimità dell'udienza, l'Avvocatura Generale dello Stato, in rappresentanza del Commissario dello Stato per la Regione Siciliana, ha depositato una memoria con la quale, ribadendo le proprie argomentazioni per l'accoglimento del ricorso, insiste in modo particolare sulle censure mosse all'art. 67 della legge impugnata.

 

Dopo aver sottolineato la oscurità della formulazione delle disposizioni contenute in tale articolo, il ricorrente sottolinea che è inaccettabile la prospettazione difensiva della Regione, secondo la quale le imprese gravate dell'onere previ sto dal primo comma riceverebbero, comunque, una utilità dalla stipulazione dei contratti di appalto con la pubblica amministrazione.

 

Sulla dedotta violazione dell'art. 41 della Costituzione, il ricorrente osserva che non sono invocabili per i soggetti favoriti dalla disciplina impugnata le ragioni di utilità sociale altre volte ravvisate da questa Corte in disposizioni che prevedono assunzioni obbligatorie. In ogni caso, osserva l'Avvocatura, non può ritenersi compatibile con l'art. 41 della Costituzione il fatto che agli imprenditori privati, soggetti alla normativa fallimentare, siano applicati meccanismi di inquadramento ope legis, di tipo spiccatamente assistenziale, che sono stati altre volte praticati per l'accesso al pubblico impiego. Evidente sarebbe, inoltre, il contrasto delle disposizioni contenute nell'art. 67 della legge impugnata con quelle contenute nell'art. 25 della legge n. 223 del 1991, soprattutto per quel che riguarda il principio della facoltà di richiesta nominativa introdotto da quest'ultimo.

 

Riguardo al dedotto contrasto delle disposizioni in esame con la normativa comunitaria, l'Avvocatura sottolinea che qualsiasi riserva di occasioni di lavoro, se in concreto determina, come nel caso di specie, risultati discriminatori, è contraria alle regole comunitarie.

 

In ordine alle disposizioni contenute nell'art. 19, l'Avvocatura evidenzia come la illegittimità delle stesse derivi sia dalla indebita compressione delle potestà spettanti agli organi di amministrazione dei consorzi in assenza di un progetto di riforma di tali enti e in spregio degli interessi proprietari presenti negli organi ordinari di essi, sia dalla non integrale coincidenza della disciplina dei consorzi con quella degli interventi di competenza regionale in materia di bonifica. Il generale commissariamento dei consorzi di bonifica è, quindi, ad avviso dell'Avvocatura, ingiustificato, irrazionale e realizza una prematura compressione della potestà degli organi di amministrazione ordinari.

 

Per quel che concerne, infine, la censura relativa all'art. 72, l'Avvocatura, la quale dichiara di ignorare cosa sia la CORELSI-AIAS, si limita a rilevare che in materia di sanità e di formazione professionale la Regione Siciliana ha competenza concorrente ed è, quindi, tenuta ad osservare i principi della legislazione statale, tra i quali si colloca senz'altro quello contenuto nell'art. 6 del decreto legislativo n. 502 del 1992.

 

Considerato in diritto

 

l.- Il Commissario dello Stato per la Regione Siciliana dubita della legittimità costituzionale degli artt. 19, 67 e 72 della legge regionale (Interventi nei comparti produttivi, altre disposizioni di carattere finanziario e norme per il contenimento, la razionalizzazione e l'acceleramento della spesa) approvata dall'Assemblea Regionale Siciliana nella seduta del 31 marzo - 1° aprile 1993.

 

2.- Non fondata è la questione di legittimità costituzionale sollevata, in riferimento agli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione, nei confronti dell'art. 19 della legge impugnata.

 

Quest'ultimo articolo dispone che "nelle more della riforma e del riordino dei consorzi di bonifica siciliani, e comunque per un periodo non superiore ad un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, le funzioni previste dalla legislazione vigente per gli organi dei consorzi di bonifica siciliani sono svolte da un commissario straordinario nominato con decreto dell'assessore regionale per l'agricoltura e le foreste". Secondo il Commissario dello Stato, tale disposizione violerebbe, innanzitutto, gli artt.3 e 97 della Costituzione, dal momento che si porrebbe in contrasto con i principi del buon andamento della pubblica amministrazione sotto tre distinti profili d'irragionevolezza:

 

a) poichè trasformerebbe arbitrariamente uno strumento di gestione straordinario in uno ordinario;

 

b) poichè perseguirebbe l'irrazionale scopo di anticipare per un solo segmento gli effetti della riforma sui consorzi di bonifica;

 

c) poichè sarebbe finalizzata a fornire una copertura legislativa ad alcuni provvedimenti di commissariamento già adottati dalla Regione, la cui efficacia è stata sospesa dal giudice amministrativo adito dai titolari degli uffici di amministrazione dei consorzi stessi. In secondo luogo, sempre ad avviso del ricorrente, la disposizione esaminata violerebbe anche l'art. 51 della Costituzione, poichè comprimerebbe il diritto degli amministratori dei consorzi di bonifica siciliani a permanere nelle rispettive cariche in mancanza di una preventiva e puntuale verifica delle circostanze che potrebbero giustificare il ricorso a una gestione straordinaria.

 

Per prima cosa, occorre osservare che l'ultima delle censure indicate risulta chiaramente infondata in considerazione del rilievo secondo il quale la garanzia stabilita dall'art. 51, primo comma, della Costituzione mira a evitare qualsiasi discriminazione fra i soggetti riguardo alle possibilità di accesso agli uffici pubblici (v. sent. n. 103 del 1993), ma non tende ad assicurare il mantenimento della titolarità degli uffici medesimi, una volta che si verifichino le condizioni alle quali il legislatore, secondo il proprio ragionevole apprezzamento, subordini, nel quadro di una riorganizzazione amministrativa degli apparati, la soppressione degli stessi uffici.

 

Per quel che concerne la pretesa violazione del principio costituzionale del buon andamento dell'azione amministrativa, non si può non rilevare come la disposizione impugnata preveda un comportamento che rinvia a un paradigma più volte giudicato non irragionevole da questa Corte. La nomina di un commissario straordinario è, infatti, finalizzata in tal caso a far sì che la gestione dei consorzi di bonifica siciliani, una volta che questi siano stati sciolti in attesa di un loro riordino, sia attestata su parametri di ordinaria amministrazione e sia, in definitiva, diretta alla conservazione della situazione attuale e alla conseguente creazione delle condizioni migliori per l'attuazione dell'intervento riformatore. Questo scopo è espressamente enunciato nello stesso articolo censurato ed è garantito dalla temporaneità del commissariamento, che ha il suo termine finale nell'applicazione della riforma e, in ogni caso, in un periodo non superiore a un anno dalla entrata in vigore della legge impugnata.

 

Nè può valere in senso contrario l'osservazione del ricorrente, secondo la quale con la disposizione censurata si verrebbe a trasformare uno strumento di gestione straordinario in uno ordinario. A parte che l'asserita trasformazione della natura di tale strumento risulta sostanzialmente contraddetta proprio dai menzionati caratteri di temporaneità e di finalizzazione del commissariamento all'attuazione di un riordino complessivo del settore, la prospettazione del ricorrente, ove intenda riferirsi all'ampliamento realizzato dalla disposizione impugnata delle ipotesi di nomina di un commissario straordinario rispetto a quelle previste nella legislazione statale, si rivela infondata anche sotto altro profilo.

 

Infatti, a norma dell'art. 14, lettera b), dello Statuto speciale - considerato anche in relazione all'art. 73, primo comma, del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, e all'art. 7 del d.P.R. 23 giugno 1962, n. 947 - la Regione Siciliana possiede in materia di consorzi di bonifica e, consequenzialmente, in ordine alla disciplina della nomina di commissari straordinari dei consorzi stessi, una competenza di tipo esclusivo, di modo che non possono validamente opporsi, ai fini dell'accertamento della illegittimità costituzionale, eventuali difformità dalla legislazione statale, che non attengano, come nel caso di specie, al livello dei principi generali dell'ordinamento giuridico.

 

Tantomeno, poi, l'art. 19 può ritenersi contrario al principio costituzionale del buon andamento per il fatto che regola con legge il commissariamento dei consorzi di bonifica dopo che siano stati adottati provvedimenti amministrativi dei quali il giudice amministrativo ha concesso in via cautelare la sospensione dell'efficacia. Il legislatore, infatti, è pur sempre libero di disciplinare con propri atti settori rispetto ai quali, in considerazione della riserva di legge (relativa) stabilita dall'art. 97 della Costituzione, ritiene, sulla base di un proprio apprezzamento discrezionale, che vi sia un'insufficiente copertura legale e a ciò non è sicuramente d'ostacolo il fatto che siano stati adottati in materia provvedimenti di sospensiva da parte del giudice amministrativo.

 

3.- Merita, invece, l'accoglimento la questione di legittimità costituzionale concernente l'art. 67 della legge regionale impugnata.

 

Questo articolo dispone, al primo comma, che "da parte delle società e dei consorzi che hanno assunto l'appalto dei lavori di censimento, catalogazione, inventariazione dei beni culturali ed ambientali nonchè i servizi aerofotografici (capitolo 38354) vengono utilizzati prioritariamente i soggetti che hanno prestato e prestano la loro opera". Nel comma successivo lo stesso articolo prescrive che "della rimanente quota il 50 per cento viene selezionato dal personale di cui agli articoli 19 e 21 della legge regionale 15 maggio 1991, n.27 e successive modifiche ed integrazioni purchè in possesso dei requisiti previsti dalle convenzioni e dagli accordi sindacali".

 

Considerato nella sua espressione letterale e nel contesto delle disposizioni regionali e statali vigenti in materia, il significato normativo dell'articolo ora riferito è tutt'altro che chiaro, al punto che le stesse parti costituite in questo giudizio ne danno un'interpretazione opposta. Il Commissario dello Stato, infatti, ritiene che l'art. 67 imponga un insieme di obblighi di assunzione di determinato personale e, su tale base, in conformità all'orientamento giurisprudenziale costantemente affermato in materia, chiede a questa Corte una pronunzia d'illegittimità costituzionale dell'intero articolo. La difesa della Regione Siciliana, invece, interpreta le stesse disposizioni come dirette a prevedere un onere, e non già un obbligo, a carico dei privati, nel senso che questi ultimi, ove intendano concorrere alla stipulazione dei contratti di appalto per i lavori menzionati nel medesimo art. 67, dovranno preventivamente impegnarsi ad assumere la quota di dipendenti necessaria per poter raggiungere la dimensione occupazionale da essi stessi liberamente scelta, attingendola, per una parte, dalla sfera dei soggetti che hanno prestato e prestano la loro opera nello stesso tipo di attività svolta dalle imprese suddette e, per altra parte, da personale impegnato nei "progetti di utilità collettiva" (v. art. 23, legge 11 marzo 1988, n. 67 e successive modificazioni).

 

Sebbene il linguaggio usato dal legislatore regionale non permetta di dissipare totalmente l'incertezza sul significato dell'articolo impugnato, sono indubbiamente maggiori gli elementi che portano a escludere l'interpretazione suggerita dalla difesa della Regione Siciliana e ad accogliere quella prospettata dal Commissario dello Stato. Indicazioni in tal senso derivano, innanzitutto, dai lavori preparatori. In particolare, non è senza significato che l'originaria proposta dell'articolo contestato prevedeva un insieme di disposizioni dello stesso tenore, che, tuttavia, riferivano i vincoli previsti, non già a imprenditori privati, ma all'amministrazione regionale. In secondo luogo, va pure sottolineato che non è stata accolta la proposta di riferire l'applicabilità dei vincoli previsti alla esecuzione dei "progetti di utilità collettiva".

 

Queste indicazioni provenienti dai lavori preparatori hanno un riscontro nel tenore letterale del primo comma dell'art. 67, nel quale si fa riferimento, non già alle società e ai consorzi che intendono stipulare gli appalti, ma a quelli "che hanno assunto l'appalto dei lavori". In altri termini, i soggetti destinatari dei vincoli sono, stando alla lettera della disposizione, quelli che, al momento dell'entrata in vigore della legge regionale, hanno già assunto l'appalto e ai quali, pertanto, non può essere addossato l'onere che la difesa della Regione configura come condizione per avere l'appalto stesso. E non va trascurato, a conferma di ciò, che, nella disposizione considerata, all'attualità dell'appalto assunto fa riscontro l'attualità o, comunque, la sussistenza in passato dei rapporti con coloro di cui si richiede l'utilizzazione prioritaria per l'esecuzione dei lavori ("soggetti che hanno prestato o prestano la loro opera"). Nè si può svalutare l'elemento letterale indicato coprendolo con la veste della casualità o, addirittura, considerandolo come una "svista" del legislatore, poichè un rilievo analogo a quello ora svolto è stato formulato anche nel corso dei lavori preparatori al fine di modificare l'espressione concernente l'assunzione dell'appalto con un'altra coniugata al futuro. Il mancato accoglimento di questa proposta rappresenta, anzi, un ulteriore indizio che porta a escludere la coincidenza della interpretazione suggerita dalla difesa della Regione con la reale "volontà" del legislatore.

 

Pur se l'espressione contenuta nel primo comma dell'articolo impugnato ("vengono utilizzati") può far supporre il riferimento a una molteplicità di rapporti di lavoro non necessariamente coincidente con forme di dipendenza, il fatto che il primo e il secondo comma dell'art.67 fanno sistema e che nel capoverso si prevede a chiare lettere un preciso obbligo di assunzione induce ad avvalorare l'interpretazione suggerita dal Commissario dello Stato, secondo la quale l'intero art. 67 è rivolto a configurare un articolato obbligo a carico delle società e dei consorzi appaltatori delle opere indicate concernente l'assunzione dei "giovani" per l'innanzi o attualmente occupati in progetti di utilità collettiva. Un obbligo che, a differenza di quanto è stabilito in analoghe leggi statali e regionali, non grava su amministrazioni o enti di carattere pubblico, ma riguarda imprenditori privati e, come tale, interferisce con la libertà garantita dall'art. 41, primo comma, della Costituzione.

 

Nel dichiarare l'illegittimità costituzionale di disposizioni analoghe proprio in relazione a una legge regionale siciliana, questa Corte ha da tempo precisato che "altra cosa è la competenza di dettare norme per favorire il collocamento dei lavoratori attraverso l'opera di uffici e commissioni e con l'osservanza di determinate norme, quale può ritenersi compresa nel disposto dell'art. 17, lettera f), dello Statuto della Sicilia, altra cosa è quel la di limitare la libertà dei privati, imponendo loro di assumere obbligatoriamente un certo numero di dipendenti, per quanto giustificato e persino lodevole possa sembrare dal lato morale o anche da quello sociale l'intento di favorire categorie particolarmente colpite dalla sventura" (v. sent. n. 51 del 1957).

 

L'ultima delle ipotesi indicate è quella configurata dall'art. 67 della legge regionale impugnata, che va quindi dichiarato costituzionalmente illegittimo poichè comprime un elemento, quello relativo al dimensionamento e alla scelta del personale impiegato nell'azienda e al conseguente profilo di organizzazione interna di quest'ultima, che caratterizza il nucleo essenziale della libertà d'iniziativa economica privata, garantita dall'art. 41 della Costituzione (v. sent. n. 78 del 1958). Nè si può dire che l'obbligo di assunzione previsto dall'art. 67 sia bilanciato o sostanzialmente temperato dall'erogazione pubblica di benefici diretti a riequilibrare l'obbligo imposto (v. sent. n.316 del 1990), dal momento che al riguardo nulla è stabilito nella legislazione regionale, nè potrebbe essere considerato un beneficio di quel tipo neppure la stipulazione del contratto di appalto ipotizzata dalla difesa della Regione Siciliana, costituendo piuttosto la relativa attività l'oggetto per il quale le società e i consorzi indicati agiscono sul mercato.

 

4.- Va, infine, accolta la questione di legittimità costituzionale che il Commissario dello Stato ha sollevato nei confronti dell'art. 72 della legge regionale impugnata per violazione dell'art. 17, lettera b), dello Statuto speciale per la Regione Siciliana, in connessione con l'art. 6 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'art. 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421).

 

In conformità alla direttiva stabilita nell'art. 1, lettera o), della legge delega n. 421 del 1992 - in base alla quale il rapporto tra il servizio sanitario nazionale e le università riguardo alla formazione in ambito ospedaliero del personale sanitario e per le specializzazioni post-laurea va regolamentato secondo le nuove modalità - l'art. 6, terzo comma, del decreto legislativo n. 502 del 1992 ha stabilito che "la formazione del personale infermieristico, tecnico e della riabilitazione avviene in ambito ospedaliero". In coerenza con questo principio fondamentale della materia, volto ad armonizzare la disciplina di più settori, lo stesso art. 6, terzo comma, appena citato - dopo aver attribuito al Ministro dell'università e della ricerca scientifica, di concerto con quello della sanità, il compito di definire, ai sensi dell'art. 9 della legge 19 novembre 1990, n. 341, il relativo ordinamento didattico - prevede che, allo scopo di attuare le finalità di formazione del personale infermieristico, tecnico e della riabilitazione, le unità sanitarie locali, le aziende ospedaliere, le istituzioni private accreditate e le università attivino appositi protocolli d'intesa concernenti l'espletamento dei corsi per il conseguimento di un diploma di primo livello della istruzione universitaria.

 

Come questa Corte ha affermato in una sentenza emessa in pari data, nel porre tali disposizioni il legislatore nazionale intende perseguire una duplice finalità: innanzitutto, mira ad integrare le attività formative di iniziativa universitaria con quelle organizzate dalle regioni attraverso le strutture pubbliche operanti nell'ambito delle loro competenze; in secondo luogo, attraverso il coinvolgimento delle unità sanitarie locali, tende ad attribuire in via esclusiva, al personale dipendente dalle strutture presso le quali si svolge l'attività didattica, la titolarità dei corsi d'insegnamento finalizzati alla formazione del personale infermieristico, tecnico e della riabilitazione.

 

L'impugnato art. 72 confligge chiaramente con tali finalità, dal momento che prevede che a svolgere l'attività didattica e di formazione del personale parasanitario sia direttamente la CORELSI-AIAS, vale a dire un'associazione (peraltro indicata nella legge con una denominazione incompleta) che opera nel campo della riabilitazione. Nè tale evidente contrasto può essere escluso dalla precisazione, contenuta nell'articolo impugnato, che la predetta associazione svolge l'attività indicata "nell'ambito della programmazione regionale disposta dall'Assessore regionale per la sanità e dei requisiti e delle modalità previsti per lo svolgimento di tale attività". Ciò, infatti, non può minimamente surrogare e, tantomeno, equivalere il principio fondamentale prescritto dalla legislazione statale, per il quale lo svolgimento dell'attività didattica e di formazione non può avvenire al di fuori dell'ambito ospedaliero.

 

Allo stesso modo, non può escludersi il contrasto fra il detto principio e l'art. 72 affermando, come fa la difesa della Regione, che quest'ultimo si limita semplicemente a ricomprendere la ricordata associazione tra le istituzioni private accreditate al fine della stipula dei successivi protocolli d'intesa necessari per l'espletamento dei corsi. Tale tesi interpretativa è, infatti, espressamente contraddetta dal tenore letterale dell'articolo impugnato, il quale si riferisce alla diversa autorizzazione "a svolgere attività didattica e di formazione del personale sanitario". E che questo, e non l'accreditamento alla stipula dei protocolli d'intesa, sia il contenuto dell'autorizzazione prevista dall'art. 72, primo comma, della legge regionale impugnata è confermato dal secondo comma dello stesso articolo, per il quale "è abrogato il terzo comma dell'art. 19 della legge regionale 18 aprile 1981, n. 68", vale a dire il comma che preclude alla associazione CORELSI-AIAS "la continuazione di qualsiasi attività didattica", fatto salvo il completamento dell'anno di formazione allora in corso.

 

5.- Poichè nelle more del presente giudizio sono intercorse, ai sensi dell'art. 29, secondo comma, dello Statuto speciale della Sicilia, la promulgazione e la pubblicazione della legge impugnata (legge regionale 11 maggio 1993, n. 15) la pronunzia della Corte va adottata nei confronti dell'atto legislativo appena indicato.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

- dichiara l'illegittimità costituzionale degli artt. 67 e 72 della legge della Regione Siciliana 11 maggio 1993, n. 15 (Interventi nei comparti produttivi, altre disposizioni di carattere finanziario e norme per il contenimento, la razionalizzazione e l'acceleramento della spesa);

 

- dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.19 della legge regionale indicata nel capo precedente, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione, dal Commissario dello Stato per la Regione Siciliana con il ricorso indicato in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26/07/93.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Antonio BALDASSARRE, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 28/07/93.