Sentenza n. 278 del 1993

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SENTENZA N. 278

 

ANNO 1993

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA,

 

Giudici

 

Dott. Francesco GRECO

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio promosso con ricorsi delle Regioni Toscana, Umbria, Emilia-Romagna e Lombardia notificati L'11, il 14 ed il 15 settembre 1992, depositati in Cancelleria il 17 settembre, L'1, il 2 ed il 5 ottobre 1992, per conflitto di attribuzione sorto a seguito del decreto del 25 maggio 1992, n. 338 del ministero dell'agricoltura e delle foreste concernente il < Regolamento recante norme per l'applicazione delle disposizioni del regolamento Cee n. 2092 del 1991 del Consiglio del 24 giugno 1991 in materia di produzione agricola con metodo biologico dei prodotti vegetali non trasformati>, ed iscritti ai nn. 34, 35, 36 e 37 del registro conflitti 1992.

 

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nell'udienza pubblica del 20 aprile 1993 il giudice relatore Gabriele Pescatore;

 

uditi gli avvocati Fabio Lorenzoni per la Regione Toscana, Maurizio Pedetta e Alberto Predieri per la Regione Umbria, Giandomenico Falcon per la Regione Emilia-Romagna, Valerio Onida per la Regione Lombardia e l'Avvocato dello Stato Ivo M. Braguglia per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. La Regione Toscana, con ricorso n. 34 del 1992, depositato il 17 settembre 1992, ha proposto conflitto di attribuzione contro il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo l'annullamento del decreto 25 giugno 1992, n. 338, con cui il ministro per l'agricoltura e le foreste ha emanato il "Regolamento recante norme per l'applicazione delle disposizioni del regolamento Cee n. 2092 del 1991 del Consiglio del 24 giugno 1991, in materia di produzione agricola con metodo biologico dei prodotti vegetali non trasformati", pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, serie generale, n. 167 del 17 giugno 1992.

 

Secondo quanto deduce la regione, il decreto ministeriale impugnato, dettando una disciplina applicativa del regolamento Cee ed individuando il ministero quale soggetto competente a svolgere le relative attività, lederebbe le competenze attribuite alle regioni in materia di agricoltura e foreste dal d.P.R. n. 616 del 1977, in relazione agli art. 117 e 118 della Costituzione.

 

Il provvedimento é stato emanato ritenendo che l'instaurazione di un sistema di controlli, previsto dall'art. 9 del regolamento Cee, rientri tra gli interventi di interesse nazionale ai sensi dell'art. 71, primo comma, lettera b) del d.P.R. n. 616 del 1977, in quanto volto alla regolazione del mercato. Sulla base di tale assunto, infondato, lo Stato avrebbe emanato norme in un settore non rientrante nella sua competenza.

 

2. Lo stesso decreto del ministro per l'agricoltura e le foreste é stato impugnato altresì dalla Regione Umbria, con ricorso n. 35 del 1992 depositato in data 1° ottobre 1992.

 

Ad avviso della ricorrente, il provvedimento, col pretesto di "assicurare l'uniforme applicazione sul territorio nazionale delle disposizioni del regolamento della Cee" (art. 12), detta in proposito una disciplina di estremo dettaglio, completa ed esaustiva, senza mai accennare a un qualsiasi pur minimo ruolo delle regioni e in pratica ignorandone l'esistenza, come se nell'ordinamento italiano non esistesse la l. n. 86 del 1989.

 

Tale legge, invece, ha modificato il precedente assetto di rapporti, riconoscendo alle regioni competenze più incisive per l'attuazione del diritto comunitario derivato.

 

Nel testo del regolamento impugnato si indica nella "Direzione generale della produzione agricola" del ministero dell'agricoltura e foreste il centro di riferimento, che presiede al sistema di controlli considerato, e si provvede ad una ampia disciplina di dettaglio per l'esercizio di tale attività.

 

Le regioni già da tempo si sono andate occupando di agricoltura biologica. Così la Regione Umbria con la legge regionale 28 dicembre 1990, n. 46 (precedente, dunque, il regolamento Cee n. 2092 del 1991), ha adottato una normativa organica in materia, definendo le "produzioni biologiche" e la loro disciplina.

 

Con il d.m. 25 maggio 1992, n. 338 non solo si vanifica la disciplina dettata dalla Regione Umbria, ma le si impedisce illegittimamente di esercitare le competenze ad essa spettanti in materia di agricoltura e foreste in generale e con specifico riguardo all'attuazione nel nostro ordinamento dei regolamenti della Comunità economica europea e del regolamento n. 2092 del 1991 in particolare.

 

Si osserva ancora che, in ordine all'attuazione dei regolamenti comunitari relativi a materie di competenza regionale, ove questi richiedano norme di attuazione e di adattamento all'ordinamento interno, lo Stato ha una competenza del tutto residuale e assolutamente eccezionale. Sono, invero, riservate alle regioni, a norma dell'art. 6 del d.P.R. n. 616 del 1977, "le funzioni relative all'applicazione dei regolamenti della Comunità economica europea" e la Corte costituzionale ha confermato in maniera inequivoca che "la competenza ad attuare anche le necessarie misure normative richieste per la concreta attuazione degli atti comunitari non può essere in principio preclusa alle regioni e alle province autonome" (sent. n. 304 del 1987).

 

Ove fossero effettivamente ricorse esigenze di ordine unitario nell'attuazione del regolamento Cee, queste avrebbero dovuto essere, se mai, soddisfatte attraverso l'esercizio della funzione di indirizzo e coordinamento e, dunque, tramite atti adottati nel rispetto dei limiti formali e sostanziali stabiliti dalla legge - art. 3 della legge 22 luglio 1975, n. 382 - vale a dire con legge o con atto avente forza di legge, ovvero con deliberazione del Consiglio dei ministri (v. anche art. 2, lett. d) della legge n. 400 del 1988) su proposta del Presidente del Consiglio, d'intesa con il ministro o i ministri competenti.

 

Ad avviso della Regione ricorrente, il decreto del ministro per l'agricoltura e le foreste n. 338 del 1992 si palesa costituzionalmente illegittimo e lesivo delle competenze regionali per violazione degli artt. 5, 115, 117, 118, 119 e 3 della Costituzione sotto il profilo della irragionevolezza.

 

3. Il medesimo decreto del ministro per l'agricoltura e le foreste é stato impugnato anche dalla Regione Emilia-Romagna con ricorso n. 36 del 1992, depositato il 2 ottobre 1992.

Esposti il contenuto e le caratteristiche dell'atto impugnato, rileva la ricorrente regione che  lo Stato avrebbe dovuto semplicemente, con la "designazione" prevista dagli artt. 8, secondo comma e 9, quarto comma, del regolamento comunitario, provvedere a rendere nota e formalizzare in ambito comunitario la situazione di diritto nazionale, sollecitando semmai le regioni a provvedere a quanto di propria spettanza.

 

Viceversa, con l'impugnato decreto del 25 maggio 1992, n. 338, il ministro per l'agricoltura e le foreste ha emanato un "regolamento" - sprovvisto peraltro di ogni base giuridica - con il quale attribuisce a se medesimo la qualifica di autorità nazionale competente ad esercitare il complesso delle funzioni amministrative previste dal regolamento comunitario.

 

Ma tale decreto - ad avviso della Regione Emilia-Romagna - non traendo origine da alcun atto legislativo, é privo di base giuridica ed illegittimamente lesivo delle attribuzioni costituzionali delle regioni.

 

Si contesta anche dalla Regione Emilia-Romagna l'affermazione - contenuta nel preambolo del provvedimento - che il sistema dei controlli sulle produzioni biologiche, voluto dal regolamento comunitario, rientri "tra gli interventi di interesse nazionale ai sensi dell'art. 71, primo comma, lett. h), del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, in quanto volto alla regolazione del mercato agricolo".

 

4. Il più volte richiamato decreto del ministro per l'agricoltura e le foreste é stato impugnato infine dalla Regione Lombardia, con ricorso n. 37 del 1992 depositato il 5 ottobre 1992.

 

Si contesta, nel ricorso, il fondamento normativo (e quindi costituzionale) del decreto impugnato alla stregua di considerazioni già svolte dalle precedenti ricorrenti, anche in base alla giurisprudenza della Corte, in tema di disciplina del mercato agricolo.

 

In particolare, non varrebbe invocare l'esigenza di "adottare disposizioni uniformi per l'applicazione nel territorio nazionale del regolamento della Cee n. 2092 del 1991", poichè le esigenze di uniformità sarebbero già interamente assolte dalle norme del regolamento stesso.

 

Si contesta in particolare la scelta di affidare i controlli ad associazioni di produttori autorizzati dal ministero.

 

Il decreto impugnato sarebbe pertanto lesivo della competenza delle regioni, e in particolare gli artt. 117 e 118 Cost. e gli artt. 66, 67, 71 e 77 del d.P.R. n. 616 del 1977.

 

Si afferma inoltre la violazione del principio di cui all'art. 17, primo comma, lett. b), della stessa legge n. 400 del 1988 (valido a fortiori nei confronti dei regolamenti ministeriali), secondo cui i regolamenti governativi di attuazione o integrazione delle leggi non possono essere dettati nelle "materie riservate alla competenza regionale".

 

5. Con un unico atto del 5 aprile 1993, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, si é costituito nei giudizi promossi con i quattro conflitti di attribuzione, chiedendone il rigetto.

 

Ha dedotto che per definire l'ambito di incidenza dell'intervento statale, é necessario rifarsi proprio al regolamento Cee n. 2092 del 1991.

 

A questo riguardo le regioni ricorrenti mostrano di voler attribuire uno scopo assai limitato alla sfera del legislatore comunitario. Il regolamento Cee su ricordato sarebbe stato adottato soltanto a tutela dei consumatori, affinchè essi possano agevolmente identificare i prodotti di "agricoltura biologica rispetto a quelli di agricoltura "tradizionale". Viceversa, non sarebbe questa soltanto la finalità dell'intervento comunitario. Risulta, infatti, dai suoi "considerando", che tale intervento é stato adottato anche per esigenze connesse alla politica relativa al mercato agricolo.

 

L'attività esplicata nel decreto impugnato realizza, quindi, "interventi di interesse nazionale per la regolazione del mercato agricolo", quali definiti dalla giurisprudenza della Corte.

 

L'atto impugnato rientrerebbe pertanto nella competenza statale, e tanto basterebbe per ritenere l'infondatezza dei ricorsi.

 

Quanto al rilievo della Regione Umbria, secondo il quale, dopo l'introduzione della legge comunitaria ad opera della legge n. 86 del 1989, l'attuazione per via regolamentare della normativa comunitaria, nelle sue disposizioni non immediatamente applicabili, può esser consentita soltanto nell'ambito della legge comunitaria di riferimento e soltanto se prevista da tale legge comunitaria, osserva l'Avvocatura che la tesi appare priva di giuridico fondamento, sia in astratto che con riferimento al caso concreto.

 

Sarebbe indubbio, dunque, che il decreto impugnato rientri nella competenza del ministro per l'agricoltura e le foreste, incidendo in materia tuttora riservata allo Stato, ai sensi dell'art. 71, primo comma, lett. b, del d.P.R. n. 616 del 1977; se così non fosse, rientrerebbe comunque nelle attribuzioni statali per le esigenze di carattere unitario che mira a soddisfare e che sono indicate nel regolamento Cee.

 

Considerato in diritto

 

l. - Sulla base di argomentazioni in parte coincidenti e in parte diverse, le Regioni Toscana, Umbria, Emilia-Romagna e Lombardia hanno proposto conflitto di attribuzione contro il Presidente del Consiglio dei ministri per l'annullamento del decreto 25 maggio 1992, n. 338, con cui il ministro per l'agricoltura e le foreste ha emanato il < Regolamento recante norme per l'applicazione delle disposizioni del regolamento Cee n. 2092 del 1991 del Consiglio del 24 giugno 1991, in materia di produzione agricola con metodo biologico dei prodotti vegetali non trasformati>).

 

I giudizi possono essere riuniti per l'identità dell'oggetto dei ricorsi, che attiene allo stesso provvedimento.

 

Secondo le ricorrenti regioni, il ministro per l'agricoltura e le foreste avrebbe violato gli artt. 117 e 118 della Costituzione e le connesse disposizioni di legge ordinaria (in particolare, gli artt. 6, 7 e 66-78 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616), invadendo competenze riservate alle regioni stesse.

 

2.-Come risulta dallo stesso titolo e dall'art. 1, comma secondo, del provvedimento, il decreto impugnato contiene una disciplina di carattere generale diretta ad assicurare l'uniforme applicazione sul territorio nazionale del regolamento emanato dalla Cee in materia di produzione agricola con metodo biologico.

 

Le disposizioni attengono alla individuazione dell'autorità, alla quale devono essere effettuate le notifiche (art. 2, in relazione all'art. 8, par.2, del regolamento della Cee), alle indicazioni di conformità dei prodotti (art. 3), alle comunicazioni di inizio dell'attività produttiva (art. 4), alla organizzazione ed al funzionamento del sistema dei controlli (artt.5-10).

 

Si tratta di una disciplina di indubbio rilievo, diretta a indirizzare e coordinare l'attuazione interna del regolamento Cee in materia di agricoltura biologica, e quindi a salvaguardare, anche in questo ambito, l'omogeneità del regime giuridico vigente sul territorio nazionale.

 

3. -Il provvedimento risulta peraltro emanato in violazione delle norme che disciplinano la fonte e le modalità di esercizio del potere regolamentare del governo.

 

Non v'è dubbio che negli anni più recenti, molto opportunamente, si è provveduto ad ampliare la possibilità di ricorso a normative emanate con provvedimenti di natura amministrativa.

 

L'orientamento, che è di carattere generale, ha trovato specifiche previsioni anche per quanto concerne il recepimento e l'attuazione delle norme comunitarie.

 

Al tempo stesso, però, la previsione di casi e modalità li esercizio del potere regolamentare ha avuto espressa e condizionante disciplina.

 

secondo il richiamo contenuto nel preambolo, il decreto 25 maggio 1992, n.338, è stato emanato a norma dell'art. 17, comma terzo, della legge 23 agosto 1988, n. 400, che consente di disporre con regolamento nelle materie di competenza del ministro o di autorità sottordinate al ministro, quando la legge espressamente conferisca tale potere.

 

Il riferimento alla legge di conferimento del potere non è peraltro indicato nel preambolo, nè è rinvenibile nella disciplina dei rapporti tra normativa comunitaria e normativa nazionale.

 

L'art. 4 della legge 9 marzo 1989, n. 86 consente infatti di attuare le direttive mediante regolamento; ma è indispensabile come nella stessa norma si precisa-che così disponga la legge comunitaria.

 

Peraltro tale disposizione non è contenuta nè nella legge 29 dicembre 1990, n. 428 (legge comunitaria per il 1990), nè nella legge 19 febbraio 1992, n. 142 (legge comunitaria per il 1991).

 

In ogni caso, l'uso del potere regolamentare previsto dall'art. 4 cit. avrebbe comportato un procedimento diverso da quello seguito nel caso di specie (soprattutto, deliberazione collegiale del Governo; parere delle Commissioni permanenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica).

 

Assorbente è comunque il rilievo inerente all'avvenuto esercizio della potestà regolamentare nella materia, senza quel supporto legislativo che la Corte ha già indicato come indispensabile sia in termini generali (sentenza n. 453 del 1991), sia con specifico riferimento all'esercizio della potestà da parte del singolo ministro (sentenza n. 204 del 1991). Tale riferimento all'esercizio della potestà da parte del ministro sarebbe necessario, anche se si ravvisi nello stesso regolamento comunitario (cfr. sent. n. 453 del 1991 cit.) la fonte legittimante l'esercizio del potere attuativo.

 

I ricorsi presentati dalle regioni Toscana, Umbria, Emilia-Romagna e Lombardia devono dunque essere accolti e va conseguentemente annullato il decreto del ministro per l'agricoltura e le foreste 25 maggio 1992, n. 338.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riuniti i giudizi,

 

dichiara che non spetta allo Stato disporre, senza l'osservanza delle procedure previste, l'attuazione di norme di regolamenti comunitari; di conseguenza annulla il decreto del ministro per l'agricoltura e le foreste 25 maggio 1992, n. 338 (Regolamento recante norme per l'applicazione delle disposizioni del regolamento Cee n. 2092 del 1991 del Consiglio del 24 giugno 1991 in materia di produzione agricola con metodo biologico dei prodotti vegetali non trasformati).

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28/05/93.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Gabriele PESCATORE, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 10/06/93.