Sentenza n. 219 del 1993

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SENTENZA N. 219

 

ANNO 1993

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Dott. Francesco GRECO

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

 nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 36, decima direttiva, n. 30 della legge 1° aprile 1981, n. 121 (Nuovo ordinamento dell'Amministrazione della pubblica sicurezza), e 52 del d.P.R. 24 aprile 1982, n. 336 (Inquadramento nei ruoli della polizia di Stato del personale che espleta funzioni di polizia), promosso con ordinanza emessa il 28 maggio 1992 dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio sui ricorsi riuniti proposti da Carrante Saido Berardino ed altri contro il Ministero dell'interno ed altro, iscritta al n. 794 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.11, prima serie speciale, dell'anno 1993.

 

Visto l'atto di costituzione di Carrante Saido Berardino ed altri nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nell'udienza pubblica del 23 marzo 1993 il Giudice relatore Gabriele Pescatore;

 

uditi l'avv. Giuseppe Salemi per Carrante Saido Berardino ed altri e l'Avvocato dello Stato Stefano Onufrio per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

 1. Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, con ordinanza 28 maggio 1992, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 4 e 97 della Costituzione, degli artt. 36, decima direttiva, n. 30 della l. 1* aprile 1981, nn.121 e 52 del d.P.R. 24 aprile 1982, n. 336, nella parte in cui, a parità di anzianità e titolo di studio, non consentono agli ex marescialli inquadrati nella terza e quarta qualifica del ruolo degl'ispettori, di partecipare al concorso riservato per commissario, previsto per le assistenti del disciolto corpo di polizia femminile.

 

Nell'ordinanza si espone che il giudizio a quo ha per oggetto l'impugnazione, da parte di alcuni ispettori capo della polizia di Stato, ex marescialli del disciolto corpo delle guardie di p.s., di due bandi di concorso interno per il conferimento di posti di commissario di ruolo della polizia di Stato. In base a tali bandi, in conformità della normativa impugnata, erano state ammesse a partecipare ai concorsi esclusivamente le appartenenti alla ex carriera di concetto del disciolto corpo della polizia femminile in servizio alla data di entrata in vigore del d.P.R. 24 aprile 1982, n. 336.

 

Il giudice a quo, nel sollevare questione di legittimità costituzionale, sostiene che la legge n. 121 del 1981 ha attribuito, nel passaggio dal vecchio al nuovo ordinamento della p.s., una situazione di privilegio alle ex assistenti di polizia, avendo stabilito all'art.36, decima direttiva, n. 30, che i decreti da emanarsi in forza della delega prevista nel primo comma, dovessero assicurare che alle assistenti della polizia femminile, in servizio all'atto della sua entrata in vigore, continuasse ad applicarsi, per un periodo di dieci anni, la normativa vigente per l'accesso alla carriera direttiva concernente gli impiegati civili dello Stato. Il legislatore delegato, pertanto, in conformità di tale direttiva, ha previsto un concorso riservato per titoli di servizio e colloquio per l'accesso alla qualifica di commissario e non ha attribuito lo stesso trattamento agli ex marescialli inquadrati nel ruolo degl'ispettori.

 

Il giudice a quo ammette che tale diverso trattamento deve farsi risalire a situazioni non equiparate del precedente ordinamento, che collocava le assistenti di polizia nella carriera di concetto; esse, come tali avevano titolo ad accedere sic et simpliciter al ruolo degli ispettori di polizia (aventi mansioni di concetto), mentre i marescialli appartenevano a categoria non equiparabile (senza ulteriori verifiche) a quella di concetto. Peraltro, lo stesso legislatore avrebbe "individuato punti di coincidenza fra le diverse posizioni, nel momento in cui ha disposto l'inquadramento di entrambe le categorie, sia pure sulla base di differenti presupposti, nel medesimo ruolo degli ispettori".

 

In particolare l'equiparazione sarebbe stata riconosciuta:

 

a) fra assistenti che abbiano maturato il tredicesimo anno di servizio e marescialli carica speciale che abbiano superato un concorso per titoli di servizio, nonchè marescialli di prima classe scelti e di prima classe che abbiano superato un concorso interno per titoli di servizio e colloquio: tutti inquadrabili, sia pure con di verso ordine di graduatoria nella qualifica finale del ruolo degli ispettori; b) fra assistenti fino a tredici anni di servizio e marescialli carica speciale che non abbiano superato il concorso o che non vi abbiano partecipato, e marescialli di prima classe aventi titolo per l'inquadramento nella qualifica finale (ma ivi non collocati per mancanza di posti), tutti inquadrabili nella terza qualifica del ruolo degli ispettori.

 

Il giudice remittente rileva che, per i marescialli carica speciale, la verifica di merito è stata prevista dal legislatore esclusivamente per l'accesso alla quarta qualifica, mentre non è richiesta per l'inquadramento nella terza qualifica del ruolo degli ispettori, "con ciò stabilendosi una assoluta equiparabilità fra assistenti (fino a tredici anni di servizio) e l'anzidetta categoria dei marescialli carica speciale", la quale trova il suo fondamento nella riconducibilità delle mansioni a quelle proprie della carriera di concetto.

 

Muovendo da tali considerazioni, nell'ordinanza di rimessione si afferma che "nel quadro normativo tracciato dalla decima direttiva è intravedibile una equiordinazione delle categorie assistenti di pubblica sicurezza - marescialli, quanto meno a partire dalla posizione di maresciallo di prima classe, sia pure condizionata ad una previa verifica della professionalità e preparazione culturale, neppure richiesta tuttavia per i marescialli carica speciale, salvo per ciò che concerne l'accesso alla qualifica finale". Ne deriverebbe che le disposizioni che consentono alle sole assistenti di polizia di accedere alle posizioni di commissario, avvalendosi di un concorso riservato per titoli ed esami, senza che analogo beneficio venga accordato agli ex marescialli collocati in identica posizione nel ruolo degli ispettori e con coincidente anzianità (e titolo di studio), sarebbero discriminatorie, irrazionali e in contrasto con i principi posti dagli artt. 3 e 97 della Costituzione. Inoltre, la sperequazione attuata all'interno del medesimo ruolo e della stessa qualifica finirebbe con "l'alterare, in tale posizione di lavoro, il rapporto di equiordinazione che pure lo stesso legislatore delegato aveva previsto fra marescialli e assistenti inquadrati nella quarta e terza qualifica ispettiva". L'aver consentito soltanto alle assistenti e non anche ai marescialli una possibilità privilegiata di accesso alla qualifica di commissario, si risolverebbe "in un minor prestigio professionale della categoria all'interno del ruolo e, in definitiva, in una compromissione dello sviluppo della personalità attraverso un lavoro commisurato alle capacità (art. 4 della Costituzione)".

 

2. Dinanzi a questa Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, col patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.

 

Nell'atto di costituzione si sottolinea la diversità della posizione giuridica delle ex assistenti della polizia femminile rispetto agli ex marescialli di p.s..

 

In proposito si espone che la legge 7 dicembre 1959, n. 1083, (istitutiva del corpo di polizia femminile), stabiliva espressamente, all'art. 1, che le assistenti appartenevano alla carriera di concetto e che, per conseguire la nomina in prova ad assistente di polizia di terza classe, occorreva essere in possesso, ai sensi della legge 1° dicembre 1966, n. 1082, del diploma d'istruzione secondaria di secondo grado e superare due prove scritte e una orale, questa ultima vertente, tra l'altro, su nozioni di diritto penale, di diritto pubblico, di procedura penale, di diritto civile, di legislazione amministrativa, nonchè su una lingua straniera.

 

Le assistenti di polizia femminile, fin dalla loro immissione in ruolo, erano ufficiali di polizia giudiziaria e rivestivano la qualifica di agente di pubblica sicurezza.

 

Diversamente, ai sensi dell'art. 76 della legge 3 aprile 1958, n. 460, il conferimento del grado di vicebrigadiere aveva luogo, per i nove decimi dei posti disponibili alla data del bando, mediante concorso interno per esami, al quale partecipavano gli appuntati e le guardie in possesso dei requisiti di cui ai successivi artt. 78 e 79; per il restante decimo, mediante esame di idoneità, al quale potevano essere ammessi gli appuntati in possesso dei requisiti previsti dal successivo art. 87.

 

Per partecipare al concorso per esami, gli appuntati e le guardie dovevano aver prestato almeno tre anni di servizio effettivo nel corpo e non aver superato il trentacinquesimo anno di età; per coloro che fossero in possesso di diploma di istituto di istruzione secondaria di primo grado o titolo equipollente, il periodo di servizio di tre anni era ridotto, rispettivamente, ad anni due e ad anni uno.

 

All'esame di idoneità di cui al suindicato art. 87 erano ammessi gli appuntati in possesso, tra l'altro, di una anzianità di servizio di almeno cinque anni, che avessero riportato, nell'ultimo quinquennio, la qualifica di ottimo.

 

Successivamente, la legge 23 novembre 1975, n.634, introdusse modifiche sostanziali alla legge 3 aprile 1958, n. 460, prevedendo che il conferimento del grado di vice brigadiere avesse luogo: a) per cinque decimi dei posti disponibili alla data del bando, mediante concorso per esami, al quale partecipavano gli appuntati e le guardie in possesso degli stessi requisiti in precedenza accennati; b) per tre decimi dei posti mediante esame di idoneità, al quale partecipavano gli appuntati con almeno tre anni di anzianità nel grado nonchè degli altri requisiti sopramenzionati; c) per due decimi dei posti mediante scrutinio ad anzianità congiunta al merito degli appuntati con almeno cinque anni di anzianità nel grado e in possesso degli altri requisiti di cui all'art. 3.

 

Inoltre il legislatore, con l'art. 4 della l. 11 giugno 1974, n. 253, ha consentito l'accesso al grado di vice brigadiere, fino al 31 dicembre 1978, anche ai candidati muniti del solo diploma di licenza elementare.

 

Ottenuta la nomina di vicebrigadiere, l'avanzamento al grado di brigadiere e poi di maresciallo di seconda classe aveva luogo per anzianità, ai sensi degli artt. 90 e 97 della legge n. 460 del 1958.

 

L'avanzamento al grado di maresciallo di prima classe, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 97 e segg. della legge n. 460 del 1958 e 11 della legge n. 845 del 1965, aveva luogo, infine, per un terzo dei posti disponibili alla data del 31 dicembre di ogni anno, mediante concorso per esame di merito (al quale potevano partecipare i marescialli di seconda classe con tre anni di anzianità di grado), per un terzo a scelta e per un terzo ad anzianità congiunta al merito.

 

Dall'esposizione dei rispettivi sistemi di assunzione in servizio e di avanzamento in carriera delle ex assistenti di polizia e degli ex sottufficiali di p.s., l'Avvocatura generale dello Stato desume l'insussistenza di un'originaria equiparazione tra le rispettive situazioni, che possa dar fondamento alla questione sollevata.

 

Secondo quanto si deduce con l'atto di costituzione, le norme impugnate concretano una mera applicazione di quanto in precedenza stabilito dall'art. 16 del d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1077. Tale norma permetteva "il conseguimento della nomina a direttore di sezione (qualifica corrispondente a quella di commissario) agli impiegati civili appartenenti alla carriera di concetto della stessa amministrazione, mediante il superamento di un concorso per esami nella misura di un sesto dei posti annualmente disponibili nel ruolo organico".

 

La questione sollevata, pertanto, sarebbe infondata, mancando nella normativa impugnata il carattere discriminatorio o profili d'irragionevolezza. L'inquadramento dei marescialli carica speciale, di prima classe scelti e di prima classe, attraverso concorsi interni, nel ruolo dell'ispettore, costituirebbe, infatti, un beneficio, sul quale - proprio perchè tale - non può fondarsi la pretesa ad ottenerne uno ulteriore, attraverso l'ammissione al concorso riservato alle ex assistenti della polizia di Stato, che avevano, rispetto ad essi, nell'ordinamento anteriore, una posizione differenziata.

 

3. Dinanzi a questa Corte si sono costituiti i ricorrenti, chiedendo che la normativa sottoposta a giudizio di legittimità costituzionale sia dichiarata illegittima nei termini indicati dall'ordinanza di rimessione.

 

In una successiva memoria, a sostegno di tale richiesta, hanno rilevato che, nell'ordinamento anteriore alla riforma, i marescialli e le assistenti di polizia, "pur nella diversità delle mansioni, avevano attribuzioni so stanzialmente uguali quanto a grado di responsabilità e preparazione professionale", con la conseguenza che la normativa impugnata avrebbe leso il principio di uguaglianza, ostacolando lo sviluppo della personalità dei ricorrenti attraverso l'accesso alle funzioni di commissario, ledendo anche l'interesse al buon andamento della pubblica amministrazione.

 

Considerato in diritto

 

 1. Questa Corte è chiamata a decidere se gli artt. 36, decima direttiva, n. 30, della l.1° aprile 1981, n. 121 e 52 del d.P.R. 24 aprile 1982, n. 336, nella parte in cui, a parità di anzianità e titolo di studio, non consentono agli ex marescialli, inquadrati nella terza e quarta qualifica del ruolo degl'ispettori, di accedere alla qualifica di commissario partecipando al concorso riservato previsto per le ex assistenti del disciolto corpo di polizia femminile, contrastino con gli artt. 3, 4 e 97 della Costituzione.

 

Secondo il giudice a quo le norme impugnate - inerenti all'attuazione, sul piano organizzativo, del nuovo ordinamento dell'amministrazione della pubblica sicurezza, attraverso l'inquadramento nei ruoli della polizia di Stato del personale che già prestava funzioni di polizia secondo il precedente ordinamento - avrebbero, innanzitutto, posto in essere un'equiparazione tra ex assistenti di pubblica sicurezza e talune categorie di ex marescialli inquadrati nelle stesse qualifiche del ruolo ispettivo;

 

inoltre esse avrebbero discriminato questi ultimi, ancorchè forniti di pari anzianità e titolo di studio, prevedendo solo per le prime l'accesso alla qualifica di commissario attraverso un concorso riservato per titoli ed esami. Ciò con violazione del principio di uguaglianza, di quello di buon andamento della pubblica amministrazione, compromettendo anche lo "sviluppo della personalità attraverso un lavoro commisurato alle capacità", in contrasto con la garanzia in tal senso assicurata dall'art. 4 della Costituzione.

 

2. La questione non è fondata.

 

Va premesso che l'art. 36, decima direttiva, n. 30, della l. 1* aprile 1981, n.121 ha disposto che il legislatore delegato dovesse prevedere che alle assistenti della polizia femminile "continui ad applicarsi, per un periodo di dieci anni, la normativa vigente per l'accesso alla carriera direttiva prevista per gl'impiegati civili dello Stato". L'art. 52 del d.P.R. 24 aprile 1982, n. 336, ha statuito che le assistenti del disciolto corpo di polizia femminile in servizio alla data di entrata in vigore del decreto legislativo possono, per un periodo di dieci anni da tale data, "accedere alla qualifica di commissario del ruolo dei commissari della polizia di Stato, mediante concorso per titoli di servizio e colloquio, nel limite di un sesto dei posti annualmente disponibili nella dotazione organica delle qualifiche di vice commissario e commissario".

 

Al concorso sono ammesse le assistenti in possesso di un'anzianità di effettivo servizio non inferiore a nove anni, ovvero non inferiore a cinque anni se in possesso di uno dei diplomi di laurea di cui alla legge n. 1082 del 1966.

 

Tali disposizioni non ledono in alcun modo l'art. 4 della Costituzione, non incidendo esse sul diritto al lavoro genericamente garantito dalla norma costituzionale, senza alcun riferimento alla progressione di carriera e senza creare posizioni di diretta tutela (sentenze n. 622 del 1987 e n.158 dal 1985).

 

Quanto ai profili attinenti agli artt. 3 e 97 della Costituzione, questa Corte ha costantemente affermato che al legislatore va riconosciuta un'ampia discrezionalità nella scelta dei sistemi e delle procedure di progressione in carriera dei dipendenti pubblici, con il limite, derivante dall'art. 97 della Costituzione, che tale scelta sia compatibile con il buon andamento della pubblica amministrazione (sentt. n. 81 del 1983 e n. 964 del 1988). In particolare, detta discrezionalità è stata ribadita a proposito dell'ammissione di particolari categorie di pubblici impiegati a concorsi riservati per l'accesso a qualifiche superiori (sentt. n.187 del 1990; n. 331 del 1988; nn. 232 e 188 del 1974). Di tale principio è stata già fatta specifica applicazione (sent. n. 524 del 1987) riguardo all'inquadramento nei ruoli della polizia di Stato, secondo il nuovo ordinamento, di personale già di ruolo in base all'ordinamento precedente (marescialli carica speciale, marescialli di prima classe scelti, marescialli di prima, seconda e terza classe).

 

Inoltre, alla stregua della suddetta giurisprudenza, la violazione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione, può essere censurata soltanto sotto il profilo dell'arbitrarietà o della manifesta irragionevolezza.

 

Nel caso di specie, la disposizione impugnata non appare arbitraria o manifestamente irragionevole, trovando fondamento nella differente situazione giuridica che le assistenti del corpo di polizia femminile ed i marescialli avevano nel precedente ordinamento, nonchè nella correlata esigenza di dettare una disciplina transitoria la quale - nel regolare il passaggio al nuovo ordinamento - tenga conto di tale posizione differenziata.

 

In proposito va considerato che la legge 7 dicembre 1959, n. 1088, istitutiva del corpo di polizia femminile, richiedeva per l'accesso al ruolo delle assistenti di polizia, il possesso di un diploma d'istituto d'istruzione secondaria di secondo grado (artt. 5 e 6), la conoscenza di una lingua straniera ed il superamento di un concorso caratterizzato da prove particolarmente selettive comprendenti, tra l'altro, nozioni di diritto penale, di diritto pubblico, di procedura penale, di diritto civile, di legislazione amministrativa in materia di sicurezza pubblica, di protezione e assistenza alle donne e ai minori, nonchè legislazione sul funzionamento del tribunale per i minorenni e sull'organizzazione dei centri di rieducazione dei minorenni.

 

Viceversa, l'accesso al grado di maresciallo, a norma della legge 3 aprile 1958, n. 460 e successive modificazioni, avveniva con un sistema completamente diverso, attraverso il conferimento agli appuntati ed alle guardie di p.s. del grado di vicebrigadiere (artt. 81-86) previo concorso o esame d'idoneità (art. 76); per l'ammissione ad essi non era prescritto il diploma d'istituto d'istruzione secondaria di seconda classe (art. 78), essendo sufficiente quello di scuola media e, in taluni casi (cfr.art. 4 l. 11 giugno 1974, n. 253), il solo diploma di licenza elementare.

 

Secondo la legge n. 460 del 1958, le materie di esame, differenziandosi da quelle previste per l'accesso al ruolo delle assistenti di polizia femminile, vertevano, per il concorso (art. 80), su "due prove: una scritta su argomenti di cultura generale e d'indole professionale; una orale su mate rie attinenti ai servizi d'istituto"; per l'esame d'idoneità (art. 88) era prevista "una prova orale su materie attinenti ai servizi d'istituto".

 

Dal grado di vicebrigadiere si accedeva, per anzianità, al grado di brigadiere e poi a quello di maresciallo di terza classe, attraverso un concorso per titoli (artt. 90 e 94). L'avanzamento al grado di maresciallo di seconda classe avveniva per anzianità (art. 96); quello a maresciallo di prima classe, per un terzo per esame di merito (art. 97) "su materie attinenti ai servizi d'istituto (art. 99) e per due terzi "a scelta".

 

Tale sistema fu in parte modificato dalla legge 13 luglio 1965, n. 845 e dalla legge 28 novembre 1975, n. 634, con disposizioni che, peraltro, non hanno alterato la sostanza del sistema di accesso ai gradi di maresciallo, restando nettamente differenziati, rispetto al concorso per l'accesso al ruolo delle assistenti di polizia, i titoli di studio e le materie d'esame previsti.

 

Ne deriva che il legislatore, con le norme impugnate, non ha operato un'arbitraria diversificazione tra categorie omogenee, ai fini dell'accesso alla qualifica di commissario attraverso un concorso riservato, ma - al contrario - ha dettato una disciplina appropriata a categorie di personale che, nel precedente ordinamento, erano già differenziate.

 

In particolare, va sottolineato che tale differenziazione era accentuata dall'art. 3 della legge n. 1088 del 1959, secondo il quale, alle assistenti di polizia femminile - a differenza di quanto avveniva per i marescialli di p.s. - si applicavano "le disposizioni previste per gl'impiegati civili dello Stato", ove non espressamente derogate.

 

Poichè le assistenti (art. 1) erano inquadrate nella carriera di concetto, ne derivava l'operatività, in loro favore, dell'art. 16 del d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1077, sul passaggio, per concorso interno, del personale della carriera di concetto alla carriera direttiva.

 

La normativa impugnata, pertanto, con coerenza e con corretto esercizio della discrezionalità, ha confermato, in via transitoria, alle ex assistenti di polizia femminile, per un periodo di dieci anni, la possibilità di tale passaggio, attraverso con corso interno, dato che esse già ne fruivano nel precedente ordinamento, non consentendolo agli ex marescialli di p.s., i quali, viceversa ne erano privi.

 

Da tali considerazioni discende la non fondatezza della questione anche in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 36, decima direttiva, n. 30, della legge 1° aprile 1981, n.121 (Nuovo ordinamento dell'Amministrazione della pubblica sicurezza) e 52 del d.P.R. 24 aprile 1982, n. 336 (Inquadramento nei ruoli della polizia di Stato del personale che espleta funzioni di polizia), sollevata in riferimento agli artt. 3, 4 e 97 della Costituzione dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio con l'ordinanza indicata in epigrafe.

 

 Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23/04/93.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Gabriele PESCATORE, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 05/05/93.