Sentenza n. 134 del 1993

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SENTENZA N. 134

ANNO 1993

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 554, 408, 427, 542 del codice di procedura penale e 125 delle disposizioni di attuazione, promosso con ordinanza emessa il 1° giugno 1992 dal giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Massa nel procedimento penale a carico di XY, iscritta al n. 561 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.41, prima serie speciale, dell'anno 1992.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 10 febbraio 1993 il Giudice relatore Mauro Ferri.

Ritenuto in fatto

l. Il giudice per le indagini preliminari presso la Pretura circondariale di Massa, chiamato a pronunciarsi sulla querela presentata da WZ nei confronti di XY per il reato di lesioni, premette che all'esito delle indagini preliminari il pubblico ministero ha formulato richiesta di archiviazione per l'infondatezza della notizia di reato e che tale richiesta è certamente da condividersi.

2. Il giudice remittente premette ancora che, per principio generale, chi abbia proposto una querela infondata deve essere condannato al pagamento delle spese processuali anticipate dallo Stato. Tale principio, già presente nell'impianto del codice abrogato, troverebbe nell'attuale codificazione la sua traduzione normativa nell'art. 427, che impone, nella sentenza di non luogo a procedere, la condanna alle spese del querelante nelle ipotesi di assoluzione del querelato perché il fatto non sussiste o l'imputato non l'ha commesso; lo stesso codice del 1988, disciplinando nell'art.542 le medesime ipotesi, opera un rinvio ricettizio alla disciplina di cui all'art. 427.

Ma nulla è disposto circa le ipotesi di proscioglimento del querelato per la infondatezza della notizia di reato; ed, in particolare, nulla è disposto circa le ipotesi di infondatezza manifesta, in cui, al termine delle indagini, si sia acquisita la ragionevole certezza dell'insussistenza degli elementi essenziali del reato lamentato.

A suo avviso, quindi, in vicende giudiziarie nelle quali l'imprudente prospettazione dei fatti offerta dal querelante ha determinato il pubblico ministero a conferire un incarico tecnico che ha comportato una spesa per l'erario, non è possibile - in mancanza di un'espressa disposizione al riguardo - condannare il querelante al pagamento delle spese processuali anticipate dallo Stato.

3. Sulla scorta di tali premesse il giudice a quo ritiene che gli artt.554, 408, 125 delle disposizioni di attuazione, 427 e 542 del codice di procedura penale, non siano conformi al principio costituzionale di uguaglianza nella parte in cui non prevedono che il querelante debba essere condannato, con il decreto che dispone l'archiviazione, al pagamento delle spese anticipate dallo Stato, nei casi in cui gli elementi giudicati non idonei a sostenere l'accusa in giudizio investano la sussistenza del fatto o la commissione dello stesso da parte del querelato.

L'omissione di una tale previsione, sarebbe, a suo avviso, foriera di una grave disparità di trattamento.

Il proscioglimento avvenuto a seguito dell'udienza preliminare o addirittura a seguito del dibattimento, presuppone che sia già superato il passaggio logico relativo alla prognosi di sostenibilità di cui all'art. 125 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, con la conseguenza che, nei casi nei quali la querela si possa ritenere, ai fini dell'esercizio dell'azione penale, di una certa fondatezza, il querelante viene condannato al pagamento delle spese processuali, quando l'ipotesi accusatoria non abbia ricevuto il sufficiente conforto dalle sopravvenienze processuali. Nel caso invece dell'archiviazione, che presuppone l'infondatezza della querela già ai soli fini delle determinazioni circa l'esercizio dell'azione penale, il querelante, la cui imprudenza si presenta certamente più grave, non è condannato al pagamento di alcuna spesa.

Tale disparità di trattamento sembra al giudice remittente irragionevole perchè, a situazioni "ugualmente diverse" (sic) (quelle dell'ipotesi di proscioglimento nel corso dell'udienza preliminare o di assoluzione dibattimentale e quelle di archiviazione per infondatezza della notizia di reato) corrisponderebbe un differente trattamento senza una ragionevole giustificazione.

4. É intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l'infondatezza della sollevata questione.

L'Avvocatura osserva che l'ordinanza di rimessione assimila due situazioni tra di loro non comparabili, data la notevole differenza di connotati e di effetti rivestita, rispettivamente, dal decreto di archiviazione e dalla sentenza di proscioglimento; differenza in grado di giustificare ampiamente la diversa disciplina sul punto della condanna del querelante al pagamento delle spese anticipate dallo Stato: nel primo caso si tratterebbe di un provvedimento precedente l'inizio dell'azione penale, privo della "stabilità" della sentenza resa a seguito di contraddittorio (riapertura delle indagini ex art. 414 del codice di procedura penale), suscettibile di superamento quando sia emanato per iniziale difetto di una condizione di procedibilità poi integrata (art. 345 del codice di procedura penale), soggetto ad "opposizione" da parte della persona offesa ex art. 410 - generalmente coincidente con il querelante - e soprattutto contenutisticamente incentrato su di una valutazione prognostica di "tenuta" dell'ipotesi accusatoria in sede di giudizio (art. 125 delle disposizioni di attuazione), che involge solo marginalmente una disamina dei consueti elementi del reato (fatto sussistente, commissione di esso, nesso causale, e così via); nel secondo caso si tratterebbe, viceversa, di una pronuncia resa dopo l'esercizio dell'azione penale, in rapporto ad una individuata formula conclusiva che consente di selezionare il coefficiente di eventuale colpa/temerarietà del querelante nella proposizione della querela, all'esito di un reale contraddittorio tra i vari soggetti del processo (e non più del procedimento).

In tale quadro, apparirebbe dunque razionale, sia in termini di sostanza sia in rapporto all'incidenza di altri elementi finalistici, raccordabili a esigenze anch'esse di rilievo costituzionale (economia del processo, "buon andamento" di esso), che il legislatore abbia delimitato la pronuncia di condanna alle spese del querelante alla sola ipotesi di adozione di sentenza, escludendo anomale statuizioni di condanna in un provvedimento formalmente e sostanzialmente diverso dalla sentenza.

Considerato in diritto

l. Il giudice per le indagini preliminari presso la Pretura circondariale di Massa ritiene che gli artt. 554, 408, 427, 542 del codice di procedura penale, e 125 delle disposizioni di attuazione, "nella parte in cui non prevedono che il querelante debba essere condannato, con il decreto che dispone l'archiviazione, al pagamento delle spese anticipate dallo Stato, nei casi in cui gli elementi giudicati non idonei a sostenere l'accusa in giudizio investano la sussistenza del fatto o la commissione dello stesso da parte del querelato sottoposto ad indagini", siano in contrasto con l'art. 3 della Costituzione costituendo una ingiustificata disparità di trattamento in raffronto alla disciplina che in situazioni analoghe (sentenza di non luogo a procedere all'esito dell'udienza preliminare o di proscioglimento a seguito del di battimento) impone invece la condanna del querelante alle spese del procedimento anticipate dallo Stato.

Osserva il remittente che, sebbene l'archiviazione presupponga un giudizio di infondatezza della querela già ai fini dell'esercizio dell'azione penale, il querelante, la cui imprudenza appare per tal motivo più evidente che nelle ipotesi di proscioglimento dell'imputato a seguito d'udienza preliminare o del dibattimento, non è condannato, diversamente da queste ultime ipotesi, ad alcuna spesa. Da qui il denunciato contrasto con il principio d'eguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione.

2. La questione non è fondata.

Occorre premettere, in linea generale, che certamente risponde ad un principio di giustizia distributiva che il costo del processo sia sopportato da chi ha reso necessaria l'attività del giudice ed ha perciò dato occasione alla spesa per il suo svolgimento (cfr. sent. n. 30 del 1964 di questa Corte), di guisa che è costituzionalmente legittimo porre la responsabilità delle spese processuali a carico di colui che è colpito da una condanna penale, ovvero del querelante la cui denuncia si riveli chiaramente insussistente.

Ma se tale pretesa dello Stato è legittima non per questo può dedursene, come un naturale corollario, che essa sia anche costituzionalmente necessaria; nel senso, cioé, che non è rinvenibile nella Costituzione un principio che ponga obbligo allo Stato di recuperare, in ogni caso, le spese del procedimento eventualmente anticipate.

Val la pena riflettere che un tal principio, ove vigente, avrebbe necessariamente comportato, nei reati perseguibili solo a querela di parte, la previsione della condanna alle spese del querelante ogniqualvolta non potesse esservi condannato l'imputato.

Al contrario, questa Corte ha già avuto più volte occasione di affermare (v. sentt. nn.: 165 del 1974, 52 del 1975, 29 del 1992) che la responsabilità per le spese processuali di chi ha esercitato il diritto di querela non può essere ritenuta allorquando l'assoluzione dell'imputato derivi da circostanze non riconducibili al querelante stesso al quale, quindi, nessuna colpa può essere addebitata.

3. Ciò posto, occorre rilevare che la disciplina positiva mentre avverte l'esigenza di prevenire e di sanzionare (mediante la responsabilità per le spese processuali) la presentazione di denunce temerarie o del tutto prive di fondamento, non trascura neanche l'opportunità di non scoraggiare l'esercizio del diritto di querela, come avverrebbe se si prospettasse al querelante il rischio della condanna alle spese in ogni ipotesi di proscioglimento dell'imputato.

Nel quadro di un necessario contemperamento tra simili istanze di segno opposto si colloca, tra le ipotesi di esenzione da responsabilità del querelante, anche la mancata previsione della condanna al rimborso delle spese anticipate dallo Stato nei casi di archiviazione per infondatezza della notizia di reato.

Si tratta di scelta che, in assenza di ostative esigenze di rilievo costituzionale, non solo appartiene alla piena discrezionalità del legislatore, ma non può essere ritenuta irragionevole neanche nelle ipotesi poste a raffronto dal giudice remittente.

Ove, infatti, si consideri che fin quando è possibile l'archiviazione della notitia criminis non vi è esercizio dell'azione penale, che il provvedimento di archiviazione può sempre essere superato da una successiva riapertura delle indagini (motivata dalla semplice esigenza di nuove investigazioni), emergono agevolmente le differenze di effetti, di connotati, e di stabilità del decreto di archiviazione, da un lato, e della sentenza di non luogo a procedere o di proscioglimento, dall'altro; differenze che rendono le situazioni in raffronto non utilmente paragonabili e valgono a giustificare una differente disciplina.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 554, 408, 427, 542 del codice di procedura penale, e 125 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Massa con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25/03/93.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Mauro FERRI, Redattore

Depositata in cancelleria il 01/04/93.