Sentenza n. 56 del 1993

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SENTENZA N. 56

ANNO 1993

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 452, secondo comma, del codice di procedura penale, in relazione agli artt. 2, n.53, della legge 16 febbraio 1987, n. 81 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale), 440, primo comma e 441, primo comma, del codice di procedura penale, promossi con n. 2 ordinanze emesse il 7 aprile ed il 19 maggio 1992 dal Tribunale di Piacenza nei procedimenti penali a carico di Conti Alberto ed altro e Henchi Ajmi Ben Mohamed, iscritte ai nn. 324 e 423 del registro ordinanze 1992 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 26 e 37, prima serie speciale, dell'anno 1992.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 19 novembre 1992 il Giudice relatore Ugo Spagnoli.

Ritenuto in fatto

l.- Nel corso di un giudizio instaurato con rito direttissimo nel quale l'imputato aveva chiesto il giudizio abbreviato, ottenendo il consenso del pubblico ministero, ed il difensore aveva poi eccepito la non acquisibilità, ai fini di detto giudizio, degli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, il Tribunale di Piacenza - dopo aver rilevato che il potere del giudice di ordinare l'esibizione di tali atti è previsto dall'art. 135 disp. att. cod. proc. pen. solo nel procedimento speciale di cui all'art. 444 cod. proc. pen., e non anche in quello di cui all'art. 452, secondo comma, cod.proc. pen., restando così precluso al giudice di valutare l'ammissibilità di questo sotto il profilo della decidibilità allo stato degli atti - ha sollevato d'ufficio, con ordinanza del 7 aprile 1992 (r.o. n. 324/1992), una questione di legittimità costituzionale del citato art. 452, secondo comma, assumendone il contrasto con gli artt. 76 e 3 Cost..

Premesso, in punto di rilevanza, che l'eventuale accoglimento della suddetta eccezione incide sulla natura del rito e, in caso di condanna, sulla misura della pena, il Tribunale rimettente sostiene, sotto il primo profilo, che sarebbe violata la direttiva n. 53 (art. 2) della legge delega n. 81 del 1987, dato che questa prevede che il giudizio abbreviato può essere celebrato solo nell'udienza preliminare e pone come condizione di ammissibilità che il giudice ritenga di poter decidere allo stato degli atti.

La circostanza, poi, che nel giudizio abbreviato in questione, a differenza di quello ordinario (artt. 438 ss.), non sia prevista tale condizione e che per esso sia stabilito che il giudice, ove non possa decidere allo stato degli atti, svolga d'ufficio "un'anomala attività istruttoria" nelle forme previste dall'art. 422 cod. proc. pen. (la cui applicabilità è invece espressamente esclusa nel giudizio ordinario: art.441), concreterebbe, ad avviso del rimettente, una irrazionale disparità di trattamento (art. 3 Cost.).

Sotto altro profilo, analoga disparità sarebbe ravvisabile se il giudizio in questione "si dovesse risolvere, come è stato già osservato dalla dottrina, in un giudizio dibattimentale con istruttoria, caratterizzato da una riduzione obbligatoria della pena senza corrispettivo processuale".

l.l.- La medesima questione è stata sollevata dallo stesso Tribunale di Piacenza con altra ordinanza del 19 maggio 1992, recante motivazione identica.

2.- Intervenendo nel primo dei suddetti giudizi, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, sostiene che la prima censura non è correttamente proposta, perchè il punto della legge delega sul quale trova fondamento la disciplina relativa alla trasformazione del rito nel giudizio direttissimo non è il n. 53, che riguarda il potere del giudice di pronunciare anche nell'udienza preliminare sentenza di merito, ma il n.43, che conferisce per l'appunto al pubblico ministero il potere di presentare l'imputato direttamente in giudizio.

La differenza, poi, tra giudizio abbreviato ordinario e giudizio abbreviato atipico derivante dalla conversione del rito direttissimo, consistente nel fatto che solo nel primo vi è obbligo di decidere allo stato degli atti, si giustifica considerando che quest'ultimo si celebra a brevissima distanza di tempo dalla ricezione della notizia di reato, ciò che giustifica sia una carenza d'indagine da parte del pubblico ministero che l'esigenza di far ricorso ad un correttivo idoneo ad integrare il materiale probatorio esistente. D'altra parte, risponde a criteri di razionalità che, ove appaia impossibile la decisione allo stato degli atti, si eviti la retrocessione del procedimento dalla fase dibattimentale a quella dell'udienza preliminare - certamente antieconomica - e la ancor più gravosa retrocessione alla fase delle indagini preliminari.

Del resto, osserva l'Avvocatura, la differenza di disciplina appare "destinata ad attenuarsi se non ad annullarsi alla luce delle indicazioni contenute nella sentenza della Corte costituzionale" n. 92 del 1992.

Considerato in diritto

l.- Con le ordinanze indicate in epigrafe, il Tribunale di Piacenza dubita che l'art. 452, secondo comma, cod. proc.pen., in quanto stabilisce che il giudizio abbreviato derivante da conversione del giudizio direttissimo - a differenza di quello ordinario (artt. 438 ss. cod. proc. pen.) - si celebri in dibattimento e non sia condizionato alla sua decidibilità allo stato degli atti, ma conosca anzi lo svolgimento d'ufficio di "un'anomala attività istruttoria", contrasti:

- con l'art. 76 Cost., dato che la direttiva n. 53 della legge delega prevede che il giudizio abbreviato si svolga solo all'udienza preliminare e solo se il processo risulti decidibile allo stato degli atti;

- con l'art. 3 Cost., perchè le suddette differenze rispetto al giudizio abbreviato ordinario concreterebbero un'irrazionale disparità di trattamento sia tra i due riti, sia tra situazioni processuali omogenee, dato che il rito in questione si risolverebbe in un giudizio dibattimentale con istruttoria, caratterizzato da una riduzione obbligatoria della pena senza corrispettivo processuale.

2.- La questione non è fondata.

La censura di violazione della legge delega si fonda su un meccanico raffronto tra la disciplina posta dalla norma impugnata e lo schema del giudizio abbreviato desumibile dal tenore letterale della direttiva n. 53 dell'art. 2 della legge delega. Tale direttiva, peraltro, proprio perchè contiene la disciplina fondamentale per l'ipotesi tipica di giudizio abbreviato che si innesti nel rito ordinario, non può ritenersi preclusiva di variazioni ed adattamenti che valgano a meglio inserirlo nei vari riti speciali che lo stesso legislatore delegante ha previsto.

D'altra parte se il legislatore delegato si fosse attenuto alla lettura della direttiva, ed in particolare alla previsione concernente lo svolgimento del giudizio abbreviato nell'udienza preliminare, ne sarebbe derivato che tale giudizio non avrebbe potuto aver luogo nel processo pretorile e nei procedimenti speciali - tra i quali il rito direttissimo - caratterizzati dall'assenza dell'udienza preliminare.

Essendo il giudizio abbreviato un rito particolarmente semplificato, ciò avrebbe comportato una sostanziale pretermissione del criterio generale della massima semplificazione posto dalla direttiva n. 1 della legge delega; e, per altro verso, ne sarebbe derivata la sottrazione agli imputati nei cui confronti si instaura un procedimento speciale della possibilità di beneficiare della riduzione di pena collegata al giudizio abbreviato, ciò che non avrebbe potuto dirsi conforme al canone generale di rispetto dei principi della Costituzione - tra i quali quello dell'eguaglianza - posto dal primo comma dell'art. 2 della medesima legge delega.

Quanto poi all'attribuzione al giudice dibattimentale investito del giudizio direttissimo della competenza a celebrare il giudizio abbreviato, è noto che nel progetto preliminare (art. 446, secondo comma) era previsto che, di fronte alla richiesta di giudizio abbreviato, il giudice dibattimentale avrebbe dovuto trasmettere gli atti al giudice dell'udienza preliminare.

Ma poichè una tale retrocessione avrebbe evidentemente comportato un allungamento dei tempi per l'introduzione di detto giudizio, la scelta definitiva del legislatore delegato deve ritenersi coerente al già citato criterio della massima semplificazione.

Nemmeno merita censura la previsione che non ancora l'ammissibilità del giudizio abbreviato derivante da conversione del giudizio direttissimo ad una previa valutazione giudiziale di decidibilità allo stato degli atti e che consente in tale giudizio lo svolgimento, nelle forme previste dall'articolo 422, di un'attività di integrazione probatoria: ciò che, secondo il giudice a quo, darebbe luogo a violazione tanto dell'art. 76 che dell'art. 3 Cost.. Al riguardo, deve ricordarsi che questa Corte, occupandosi del giudizio abbreviato ordinario sotto il profilo dell'incidenza sulla sua introduzione di scelte discrezionali del pubblico ministero circa le indagini da esperire o comunque connesse alla sua strategia processuale, ha già affermato - nella sentenza n. 92 del 1992 - la necessità, "al fine di ricondurre l'istituto a piena sintonia con i principi costituzionali, che il vincolo derivante dalle scelte del pubblico ministero sia reso superabile con l'introduzione di un meccanismo di integrazione probatoria", che spetta al legislatore concretizzare. "La configurazione del giudizio abbreviato come giudizio "a prova contratta"", rigorosamente delimitato dallo "stato degli atti", invero, "non è affatto un connotato ineliminabile di tale giudizio": tant'è che nella sua configurazione originaria era previsto - sulla falsariga di analoghi istituti stranieri - che il giudice potesse integrare lo stato degli atti disponendo quelli ulteriori indispensabili per la decisione (cfr. il testo delle direttive nn. 47 e 48 della legge delega del 1982, approvato dalla Commissione giustizia della Camera il 15 luglio 1982: atti Camera, IX legislatura, Rel. min., doc. 691, 19). Del resto, la stessa Relazione al progetto preliminare del codice riferisce (p. 282) che "ampia parte" della Commissione redigente sostenne che occorreva ammettere nel giudizio abbreviato un'integrazione probatoria.

In questa prospettiva, il raffronto proposto dal giudice a quo non può essere preso in considerazione, dato che è proprio il dato normativo assunto come termine di comparazione a rivelarsi caduco. Ed è anzi da aggiungere che i problemi di conformità ai principi costituzionali già esaminati nella ci tata sentenza n. 92 del 1992 si ripresenterebbero a maggior ragione nel giudizio abbreviato derivante da conversione del giudizio direttissimo, dato che questo viene instaurato sulla base di una scelta esclusiva del pubblico ministero e delle indagini da lui ritenute necessarie, senza che queste possano essere integrate nell'udienza preliminare ai sensi dell'art.422 cod. proc. pen..

Nè può, infine, condividersi il rilievo del giudice a quo secondo cui il giudizio in questione si risolverebbe in un giudizio dibattimentale con istruttoria, caratterizzato da una riduzione obbligatoria della pena senza corrispettivo processuale. Si è invero già osservato, nella predetta sentenza, che la rinuncia al diritto ad eventuali allegazioni difensive non è un connotato ineliminabile del giudizio abbreviato, dato che a giustificare la riduzione della pena è sufficiente la realizzazione dell'interesse dell'ordinamento alla semplificazione attraverso la rinuncia dell'imputato al dibattimento ed il riconoscimento del valore di prova agli elementi acquisiti dal pubblico ministero.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.452, secondo comma, del codice di procedura penale sollevata in riferimento agli artt. 3 e 76 della Costituzione dal Tribunale di Piacenza con ordinanze del 7 aprile e 19 maggio 1992.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 08/02/93.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Ugo SPAGNOLI, Redattore

Depositata in cancelleria il 16/02/93.