Sentenza n. 473 del 1992

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SENTENZA N. 473

ANNO 1992

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-          Dott. Aldo CORASANITI, Presidente

-          Prof. Giuseppe BORZELLINO

-          Dott. Francesco GRECO

-          Prof. Gabriele PESCATORE

-          Avv. Ugo SPAGNOLI

-          Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

-          Prof. Antonio BALDASSARRE

-          Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-          Avv. Mauro FERRI

-          Prof. Luigi MENGONI

-          Dott. Renato GRANATA

-          Prof. Giuliano VASSALLI

-          Prof. Francesco GUIZZI

-          Prof. Cesare MIRABELLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio promosso con ricorso della Regione Toscana notificato il 10 aprile 1992, depositato in Cancelleria il 24 aprile 1992, per conflitto di attribuzione sorto a seguito delle decisioni della Commissione di controllo sull'amministrazione regionale nn. 935, 999, 1000 e 1001 del 29 gennaio p3 1992, recante "criteri generali di affidamento della difesa della Regione"; nonchè della decisione n. 1086 del 6 febbraio 1992, con la quale, sul presupposto della violazione dei predetti "criteri generali", è stata annullata la delibera della Giunta n. 356 del 27 gennaio 1992, concernente l'affidamento della difesa in giudizio della Regione Toscana ad un avvocato esterno; iscritto al n. 14 del registro conflitti.

Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udito nell'udienza pubblica del 20 ottobre 1992 il Giudice relatore Renato Granata;

udito l'avv. Carlo Mezzanotte per la Regione Toscana e l'Avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. Con ricorso notificato il 10 aprile 1992 la Regione Toscana ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato in relazione alle decisioni della Commissione di controllo sull'amministrazione regionale nn.935, 999, 1000, 1001 del 29 gennaio 1992 (con le quali, pur riconoscendo la legittimità dei singoli atti sottoposti a controllo, erano stati dettati "criteri generali in materia di affidamento della difesa della Regione") e alla decisione n.1086 del 6 febbraio 1992 (con la quale, sul presupposto della violazione di tali criteri, era stata annullata la delibera della Giunta n.357 del 27 gennaio 1992 avente ad oggetto l'affidamento della difesa in giudizio della Regione ad un avvocato esterno).

La Regione ricorrente ritiene che siano stati violati gli artt. 117 e 118 Cost. e sia stata menomata la sua posizione costituzionale sotto il profilo della pienezza del suo diritto alla tutela giurisdizionale atteso che la Commissione di controllo - travalicando la sua funzione - avrebbe posto in essere un atto di indirizzo, destinato a vincolare la facoltà discrezionale della Regione stessa di affidare la propria difesa in giudizio ad un avvocato del libero foro piuttosto che avvalersi del proprio ufficio del contenzioso.

In particolare - argomenta la Regione ricorrente - la Commissione di controllo ha erroneamente ritenuto che, sulla base della normativa regionale, il ricorso a legali esterni non sia configurabile come scelta di puro merito rimessa all'autonoma determinazione della regione, ma debba costituire evento eccezionale che impone alla regione stessa un obbligo di motivazione circa le ragioni che l'abbiano indotta a non avvalersi dei propri uffici interni.

In tal modo però risulta lesa la posizione costituzionale di autonomia della Regione nei confronti dello Stato perchè viene ristretta o condizionata l'attività, amministrativa o legislativa, che la Regione stessa può esser chiamata a difendere in sede giurisdizionale con conseguente vulnerazione del diritto ad una piena tutela giurisdizionale, che si atteggia come prolungamento necessario dello statuto di autonomia costituzionale della regione stessa.

In realtà - ritiene la ricorrente - soltanto la stessa Regione Toscana avrebbe potuto con propria legge limitare il diritto di scelta in materia di difesa in giudizio; ma ciò non ha fatto perchè, nell'istituire con legge il servizio del contenzioso, non ha affatto riservato a questo la difesa dell'ente in giudizio, nè ha stabilito che il ricorso ad avvocati del libero foro debba essere "eccezionale".

2. Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo il rigetto del ricorso senza ulteriormente argomentare.

Considerato in diritto

1. É stato sollevato dalla regione Toscana conflitto di attribuzione per accertare se spetta allo Stato, e per esso alla Commissione di controllo sull'amministrazione della regione Toscana, dettare criteri in materia di scelta dei difensori da parte della regione stessa ed in particolare pretendere che il ricorso a legali esterni del libero foro debba essere di volta in volta motivato con riferimento anche all'entità della lite e se per l'effetto debbano essere annullate le decisioni della Commissione di controllo sull'amministrazione regionale nn. 935, 999, 1000, 1001 del 29 gennaio 1992 e n.1086 del 6 febbraio 1992 ed in particolare le prime quattro limitatamente alla parte in cui pretendono di stabilire criteri per la nomina dei legali esterni della regione Toscana.

2. Va premesso - come quadro normativo di riferimento - che l'art.46, lett. i, dello Statuto della regione Toscana prevede, tra le funzioni esercitate dalla Giunta regionale, il potere di deliberare in materia di liti attive e passive (oltre che di rinunce e transazioni) <<con i limiti stabiliti dalla legge regionale>>, così demandando a quest'ultima la specifica disciplina delle determinazioni e delle scelte attinenti al potere di conferire la procura alle liti per la difesa in giudizio della regione.

Altresì alla legge regionale - alla quale più in generale è rimesso l'ordinamento degli uffici regionali (e quindi anche dell'ufficio deputato a gestire il contenzioso della regione) - è demandata la disciplina degli incarichi esterni, che possono essere conferiti <<per compiti speciali richiedenti particolari competenze professionali ed organizzative>> (art.62, quinto comma, Statuto cit.).

A fronte di queste disposizioni statutarie il legislatore regionale, mentre non ha previsto una specifica disciplina attuativa del cit. art.46, lett.i, ha però operato su una duplice direttrice (dell'ordinamento degli uffici regionali e della regolamentazione degli incarichi esterni) dettando una normativa di carattere più generale, che tocca anche il profilo del contenzioso giudiziario della regione.

3. Con legge regionale 6 settembre 1973 n.55, successivamente modificata (dalle leggi 27 luglio 1982 n.67 e 24 aprile 1984 n.23) è stato posto l'ordinamento degli uffici regionali, prevedendosi in particolare - ai fini che interessano - un dipartimento affari giuridici e legali, che inizialmente aveva tra l'altro, come specifica funzione, la <<gestione del contenzioso>>, le <<proposte per la nomina dei difensori esterni>> ed i <<rapporti con i medesimi>>; a seguito delle modifiche apportate nel 1984 dalla cit. legge n.23 il dipartimento affari giuridici e legali viene ampiamente ristrutturato e potenziato, prevedendosi un'articolazione in sei servizi con l'istituzione in particolare di un <<servizio contenzioso>>.

Viene quindi isolata (ed evidenziata) la funzione di gestione <<interna>> (oltre che esterna) del contenzioso ordinario ed amministrativo e la stessa viene attribuita ad uno specifico ufficio regionale di nuova istituzione, cui sono demandati anche <<i relativi rapporti con i professionisti esterni>> e la <<consulenza legale connessa con i procedimenti giudiziari esterni>>. Questa graduale valorizzazione di una vera e propria avvocatura regionale trova poi riscontro anche nella disciplina dello stato giuridico ed economico del personale; l'art. 134 del testo unico delle leggi sul personale (legge regionale 21 agosto 1989 n.51) riconosce ai <<professionisti legali della regione>> attribuzioni economiche di carattere incentivante legate specificamente al conseguimento della qualifica di avvocato (e di avvocato cassazionista) e all'attività di difesa in giudizio.

4. Parallelamente la regione Toscana ha provveduto a disciplinare (in generale) il conferimento degli incarichi esterni ai sensi dell'art. 62, quinto comma, dello Statuto. Ed infatti con legge regionale 20 luglio 1972 n.21 ha dettato una serie di prescrizioni dirette a regolamentare la facoltà riconosciuta alla Giunta dalla norma statutaria, prevedendosi tra l'altro (all'art. 2) che essa possa ricorrere a professionisti esterni <<ove non possa provvedere con personale in servizio presso la regione>>.

5. In questo contesto normativo si innesta il conflitto di attribuzione che investe cinque atti della Commissione di controllo sull'amministrazione regionale.

In relazione a cinque giudizi (aventi ad oggetto rispettivamente il compenso per lavoro straordinario di un dipendente regionale, l'inquadramento di alcuni dipendenti regionali, l'attribuzione di contributi regionali alle cooperative, l'equo indennizzo rivendicato da un dipendente regionale, il rimborso del pagamento di specialità medicinali) la Giunta regionale ha deliberato di conferire la procura alle liti a legali del libero foro e non già a dipendenti regionali abilitati all'esercizio della professione legale. Così facendo, la Giunta regionale ha ritenuto di esercitare un potere assolutamente discrezionale e quindi di non essere tenuta ad indicare le ragioni di tale scelta.

Invece la Commissione di controllo, diversamente opinando, ha, nei primi quattro procedimenti di controllo, chiesto chiarimenti alla Giunta con un atto interlocutorio e, ottenutili, ha valorizzato le controdeduzioni della Giunta (fondate essenzialmente sull'allegata inadeguatezza dell'organico dei dipendenti assegnati al servizio contenzioso per poter far fronte a tutto il contenzioso regionale) come (sostanziale) <<esposizione dei motivi>> della scelta suddetta, pervenendo in tal modo ad una valutazione di legittimità dell'atto sottoposto a controllo; per la quinta delibera di conferimento della procura alle liti ad un legale del libero foro la Commissione di controllo - questa volta senza preventivamente chiedere chiarimenti - ha annullato l'atto, essenzialmente per mancanza di motivazione in ordine alla scelta di avvalersi di legali esterni, anzichè interni.

6. Lo sviluppo argomentativo della censura che la regione Toscana muove avverso gli atti impugnati parte da una premessa indubbiamente corretta. Il diritto di difesa della regione si atteggia a componente essenziale delle sue attribuzioni giacchè l'area di autonomia regionale non può non implicare anche una parallela autonomia nelle determinazioni che la regione deve adottare (e tra cui primario rilievo ha la scelta del difensore) quando agisca in giudizio o sia chiamata in giudizio.

Un'eventuale limitazione dell'accesso alla tutela giurisdizionale ridonderebbe in inammissibile compulsione indiretta delle attribuzioni di competenze e contrasterebbe con la posizione di autonomia, costituzionalmente riconosciuta, della regione.

Nella specie il diritto di difesa attinge attribuzioni sostanziali in ordine alle quali la verifica della competenza regionale è di tutta evidenza (oltre che pacifica, in quanto presupposta negli atti di controllo de quibus), risultando esse indirettamente dall'oggetto dei giudizi ai quali si riferiscono le delibere assoggettate al controllo.

Altresì rientra nelle competenze regionali l'organizzazione degli uffici, che indirettamente è toccata dalle delibere suddette giacchè la determinazione di ricorrere al libero foro implica la scelta della regione di non utilizzare, per la rappresentanza in giudizio, il suo servizio del contenzioso (o, più in generale, il suo dipartimento affari giuridici e legali); quindi indirettamente è anche una scelta organizzativa, di esclusiva spettanza della regione.

7. Le considerazioni appena svolte non assicurano, però, nè implicano, di per sè sole che il conflitto sollevato sia di livello costituzionale.

Occorre che nei confronti delle attribuzioni regionali, costituzionalmente garantite, sussista (o sia prospettato) un vulnus sia nella forma estrema dell'(arbitrario) esercizio da parte dello Stato di potestà spettanti alla regione, sia nella meno radicale forma della turbativa di potestà (in tal caso, non contestate) mediante l'(illegittimo) esercizio da parte dello Stato di attribuzioni proprie.

Se infatti da una parte la Corte ha da tempo superato la restrittiva nozione di conflitto di attribuzione come vindicatio potestatis, riconoscendo l'ammissibilità anche del conflitto per interferenza, d'altra parte ha sempre tracciato una netta demarcazione tra atto invasivo, che è suscettibile di conflitto di attribuzione per interferenza, ed atto meramente illegittimo che è assoggettato agli ordinari rimedi della giustizia amministrativa. E così ha da ultimo affermato (sent. n.245 del 1992) che <<per potersi esperire il rimedio del conflitto di attribuzione da parte di una regione o di una provincia autonoma, non è sufficiente che il "cattivo esercizio" del potere si manifesti in mera illegittimità dell'atto - sindacabile dal giudice amministrativo con i mezzi ordinari di tutela giurisdizionale (sentt. nn. 1112 e 731 del 1988) - ma occorre anche che esso possa configurare una lesione o una menomazione delle competenze costituzionalmente garantite al soggetto ricorrente (sentt. nn. 104 del 1989, 747, 731 e 559 del 1988, 152 del 1986, 191 del 1976)>>.

8. Sul crinale di confine tra atto invasivo ed atto illegittimo si colloca la verifica di ammissibilità del conflitto di attribuzione in esame.

Essendo non contestato dalla regione che le cinque delibere suddette dovessero essere sottoposte all'esame della Commissione di controllo sicchè si è fuori dall'ipotesi della vindicatio potestatis, c'è da verificare se gli atti impugnati abbiano costituito turbativa di attribuzioni, costituzionalmente garantite, della regione e, più in particolare, del diritto alla tutela giurisdizionale quale componente essenziale delle attribuzioni medesime nonchè del potere di organizzare i propri uffici, come sopra rimarcato.

Orbene, perchè sia identificabile una turbativa rilevante al fine di far insorgere l'esigenza (di rilievo costituzionale) di accertamento della legittimità dell'esercizio di un'attribuzione (nella specie, dello Stato), occorre che il potere esercitato - ancorchè non sia in sè oggetto di rivendica - determini in concreto un'illegittima compressione di un'attribuzione (nella specie, della regione) ed (un'altrettanto illegittima) espansione di altra attribuzione (nella specie, dello Stato).

É il riequilibrio di queste attribuzioni, alterato dall'illegittimo esercizio del potere estrinsecatosi nell'atto investito dall'impugnativa, che lo strumento del conflitto mira a ripristinare per assicurare l'armonico svolgersi dell'attività amministrativa dello Stato e delle regioni.

Nella specie, però, questo equilibrio non è stato minimamente toccato perchè le decisioni della commissione di controllo hanno avuto ad oggetto esclusivamente i (supposti) limiti che la stessa normativa regionale poneva all'attività della Giunta di scelta del difensore, senza che in alcun modo venisse in rilievo alcuna concorrente attribuzione dello Stato, suscettibile (ancorchè indirettamente) di espansione ove di tali limiti illegittimamente l'organo statale di controllo avesse accolto un'interpretazione (erroneamente) estensiva.

In nessun caso (salva l'ipotesi dell'interpretazione meramente apparente, della quale si dirà infra) l'eventuale erronea ricognizione della normativa regionale da parte della Commissione di controllo avrebbe potuto comportare in favore dello Stato una qualche possibilità di interferenza sulla scelta della regione del suo difensore.

In sostanza la Commissione di controllo si è limitata - al di là della formulazione non del tutto univoca della motivazione delle sue decisioni - a trarre le conseguenze (in termini di valutazione della legittimità dell'atto sottoposto a controllo) della ricognizione (nella normativa regionale) di una limitazione che (assertivamente) lo stesso legislatore regionale avrebbe posto alla Giunta per l'esercizio della sua facoltà di scegliere, come difensore della regione, un avvocato del libero foro.

In questa operazione di interpretazione della norma regionale vengono in rilievo esclusivamente il potere normativo del legislatore regionale e quello amministrativo della Giunta, nulla escludendo in astratto che il primo possa prescrivere alla seconda (così come in concreto ritenuto dalla Commissione di controllo) che il ricorso al libero foro abbia carattere eccezionale e che normalmente occorra che la regione si avvalga dei suoi legali interni.

9. Deve poi escludersi che la Commissione di controllo abbia dettato <<criteri generali>> alla regione, adottando un (inammissibile) atto di indirizzo, come si sostiene dalla difesa di quest'ultima.

Infatti la Commissione , nell'adoperare tale terminologia nell'atto di annullamento n.1086 del 6 febbraio 1992, in realtà intende riferirsi (anche testualmente) al criterio di fonte legislativa enunciato nei precedenti atti di controllo, criterio che essa ritiene desumibile in particolare dalla legge n.23 del 1984 cit. e che identifica nella prescrizione secondo cui il ricorso della Giunta ad avvocati del libero foro è <<sussidiario ed eccezionale>> e quindi <<devono essere esposte le ragioni>> dell'affidamento della difesa della regione a legali esterni. Ma è questo un canone legale (nell'interpretazione accolta dalla Commissione di controllo) e non già un criterio generale autonomamente posto dalla Commissione, che certo non ne avrebbe i poteri.

Non c'è quindi un atto di indirizzo, che altrimenti sarebbe, sì, invasivo perchè travalicherebbe i limiti della funzione di controllo; c'è invece soltanto la ricognizione di un criterio legale (posto - secondo l'interpretazione della Commissione di controllo - dallo stesso legislatore regionale) che rileva, nè potrebbe non rilevare, al fine della valutazione della legittimità dell'atto, sottoposto a controllo.

10. Nè infine può sostenersi che sussista un surrettizio atto di indirizzo (ovvero un altrettanto inammissibile controllo di merito) per essere palesemente erronea (e quindi di fatto meramente apparente) l'interpretazione accolta dalla Commissione di controllo, sicchè la ricognizione del suddetto canone legale in realtà celerebbe il sostanziale travalicamento dalla funzione di mero controllo di legittimità.

Ed infatti, se da una parte è vero che la citata legge n.23 del 1984 , pur istituendo il servizio contenzioso, non contempla espressamente il criterio generale che vi legge la Commissione di controllo, d'altra parte tale interpretazione - ancorchè indubbiamente opinabile - non appare pretestuosa e fittizia. La circostanza che il legislatore regionale, nel por mano (nel 1984) al riordino degli uffici regionali, abbia istituito un ufficio ad hoc e successivamente (art. 134 legge regionale n.51 del 1989 cit.) abbia valorizzato la specifica qualificazione di <<professionisti legali>> dipendenti della regione può plausibilmente non essere considerata come un fatto neutro che lasci pienamente libera la Giunta regionale di non ricorrere a tale struttura per la difesa in giudizio della regione, soprattutto se si collega tale novum con la citata prescrizione dell'art. 2 legge regionale n.21 del 1972, che consente gli incarichi esterni - qual è anche l'affidamento della difesa della regione ad avvocati del libero foro - soltanto ove la regione non possa provvedere con personale interno. D'altra parte non è senza rilievo (ancora al solo fine di trarre in via esegetica argomenti per escludere la pretestuosità e fittizietà dell'interpretazione accolta dalla Commissione di controllo) che - ove la regione, in luogo di istituire una propria avvocatura regionale, intendesse avvalersi in via generale dell'Avvocatura dello Stato (come potrebbe fare ex art. 10 legge 3 aprile 1979 n.103) - il ricorso ad avvocati del libero foro sarebbe limitato (in ragione dell'espressa prescrizione contenuta nel cit. art. 10 ) a <<particolari casi>> e dovrebbe essere deciso con <<provvedimento motivato>> (ossia il criterio discrettivo sarebbe proprio quello che la Commissione di controllo ritiene ricostruibile nella situazione, del tutto analoga, in cui il ricorso ad avvocati del libero foro si ponga come alternativo all'utilizzazione dell'avvocatura regionale, anzichè dell'Avvocatura di Stato).

11. Conclusivamente può quindi affermarsi che non vi è un atto di indirizzo (nè un controllo di merito), invasivo delle attribuzioni regionali, ma un atto di controllo di legittimità, fondato su un'interpretazione della normativa regionale, che la difesa della regione ritiene erronea. Ma tale censura, per le ragioni finora esposte, non ha rilievo costituzionale, bensì è deducibile esclusivamente innanzi al giudice amministrativo.

Conseguentemente il sollevato conflitto di attribuzioni è inammissibile.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile il conflitto di attribuzione proposto dalla Regione Toscana nei confronti dello Stato, in relazione alle decisioni della Commissione di controllo sull'amministrazione regionale nn. 935, 999, 1000, 1001 del 29 gennaio 1992 e n. 1086 del 6 febbraio 1992, con il ricorso in epigrafe.

Così deciso in Roma nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10/11/92.

Aldo CORASANITI, Presidente

Renato GRANATA, Redattore

Depositata in cancelleria il 24/11/92.