Sentenza n. 471 del 1992

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SENTENZA N. 471

ANNO 1992

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-          Dott. Aldo CORASANITI, Presidente

-          Prof. Giuseppe BORZELLINO

-          Dott. Francesco GRECO

-          Prof. Gabriele PESCATORE

-          Avv. Ugo SPAGNOLI

-          Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

-          Prof. Antonio BALDASSARRE

-          Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-          Avv. Mauro FERRI

-          Prof. Luigi MENGONI

-          Prof. Enzo CHELI

-          Dott. Renato GRANATA

-          Prof. Giuliano VASSALLI

-          Prof. Francesco GUIZZI

-          Prof. Cesare MIRABELLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 369, secondo comma, n.3, c.p.c., promosso con ordinanza emessa il 30 gennaio 1992 dalla Corte di Cassazione - Sezione prima civile - sul ricorso proposto dall'Istituto Mobiliare Italiano - I.M.I. contro la S.r.l. FIND ed altri, iscritta al n.263 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 20, prima serie speciale, dell'anno 1992.

Visti gli atti di costituzione dell'Istituto Mobiliare Italiano - I.M.I. e della S.r.l. FIND ed altri, nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 30 giugno 1992 il Giudice relatore Antonio Baldassarre;

uditi gli Avvocati Paolo Barile, Giuseppe De Vergottini, Nicola Picardi e Carmine Punzi per l'Istituto Mobiliare Italiano - I.M.I., Michele Giorgianni, Carlo Mezzanotte e Mario Are per la S.r.l. FIND ed altri e l'Avvocato dello Stato Sergio Laporta per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.- Nel corso di un giudizio instaurato a seguito di un ricorso dell'Istituto Mobiliare Italiano (I.M.I.) avverso la sentenza con la quale la Corte d'Appello di Roma ha confermato, in sede di rinvio, la condanna della stessa I.M.I. quantificandone il debito a favore della S.r.l. FIND e degli eredi dell'ing. Nino Rovelli in circa cinquecento miliardi, la Corte di cassazione, Sezione Prima Civile, in esito alla discussione orale e in riserva di decisione, ha emesso un'ordinanza, con la quale ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt.3 e 24 della Costituzione, nei confronti dell'art. 369, secondo comma, n.3, c.p.c., nella parte in cui dispone la sanzione dell'improcedibilità per il caso in cui la procura speciale, ove conferita con atto separato, non sia stata depositata nei termini di legge.

In ordine alla rilevanza della questione, il giudice a quo, pur ricordando che gli avvocati dell'I.M.I. presenti in udienza hanno depositato note dirette ad affermare che la procura è stata regolarmente rilasciata e depositata insieme al ricorso, osserva, in linea di fatto, che la detta procura speciale è materialmente assente negli atti di causa e che manca l'espressa menzione della stessa sia nell'elenco dei documenti apposto in calce al ricorso sia nella nota di deposito o in qualsiasi altro atto.

Inoltre, soggiunge lo stesso giudice a quo, tanto in calce alla copertina del fascicolo d'ufficio quanto nel "ruolo generale degli affari civili" è evidente l'annotazione "manca la procura ad hoc".

Posto che l'asserito deposito della procura potrebbe essere solo una produzione tardiva o irrituale (allo stato irrilevante), ma suscettibile di essere regolarizzata, anche ad iniziativa delle parti (ai sensi dell'art.372 c.p.c.), ove la questione di costituzionalità qui sollevata fosse accolta, non può non ritenersi integrata allo stato degli atti la situazione descritta dall'art. 369, secondo comma, n. 3, c.p.c., che, indipendentemente dal momento della discussione in cui è segnalata dalle parti, dovrebbe essere rilevata d'ufficio in sede di decisione e non potrebbe non sfociare in una pronunzia di improcedibilità del ricorso, preclusiva di ogni altra questione ad essa non pregiudiziale.

Pur se la ricorrente nel giudizio a quo ha eccepito l'incostituzionalità della disposizione impugnata sotto il profilo della lesione del diritto di difesa per il solo fatto della irreperibilità nel fascicolo della procura assertivamente depositata, la Corte di cassazione, in considerazione dell'irrilevanza di tale questione a causa della mancata prova del deposito della procura speciale, ritiene, invece, di sollevare d'ufficio dubbi sulla costituzionalità dell'art. 369, secondo comma, n. 3, c.p.c., sotto il diverso profilo del carattere meramente, o prevalentemente, sanzionatorio di una norma che, precludendo l'espletamento del giudizio di legittimità in presenza di un inadempimento essenzialmente formale, priva la parte e il giudice di qualsiasi possibilità di regolarizzazione.

Passando alla delibazione della non manifesta infondatezza della questione così posta, il giudice a quo ricorda preliminarmente che la stessa Corte di cassazione, in relazione ad altre ipotesi delineate dall'art.369 c.p.c., anch'esse sanzionate di improcedibilità, ha rilevato in alcune sue pronunzie la distonia sussistente tra la drastica sanzione dell'improcedibilità e le inadempienze di carattere formale che ne costituiscono il presupposto.

In tali casi la Corte di cassazione ha proceduto a un'interpretazione volta a privilegiare la funzionalità sostanziale del mezzo processuale, rispetto al profilo rituale e sanzionatorio. Tanto che ha ritenuto di non dichiarare l'improcedibilità per il mancato deposito della copia della sentenza impugnata (art. 369, secondo comma, n. 2) quando la copia stessa fosse stata prodotta dalle altre parti o risultasse comunque nel fascicolo d'ufficio; ha, inoltre, attribuito effetto preclusivo alla omessa allegazione degli atti e dei documenti sui quali si fonda il ricorso (art.369, secondo comma, n. 4) soltanto in relazione agli atti relativi a precedenti gradi di giudizio che fossero funzionalmente influenti in rapporto alle situazioni dedotte nella controversia di fronte alla cassazione; ha, infine, escluso l'improcedibilità del ricorso in caso di tardivo od omesso deposito dell'istanza di trasmissione del fascicolo d'ufficio (art. 369, terzo comma) quando quest'ultimo fosse comunque pervenuto alla Corte di cassazione prima dell'emananda pronunzia ovvero quando gli atti del fascicolo d'ufficio non fossero necessari, potendo essere ricavati gli elementi indispensabili per la decisione dagli atti inseriti nei fascicoli di parte. La Corte di cassazione ha, dunque, interpretato la norma processuale cercando di superare le previsioni rituali meramente o prevalentemente sanzionatorie attraverso il ricorso al principio generale relativo al diritto delle parti a un "giudizio equo", espresso dall'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848).

Sulla base di tali criteri la Corte di cassazione ha interpretato anche l'art. 348, secondo comma, c.p.c. - il quale svolge per il giudizio di appello una funzione analoga a quella che l'art. 369 c.p.c. ha nel giudizio di cassazione - nel senso di ammettere sostitutivi al mancato inserimento, al momento della costituzione, della copia autentica della sentenza di primo grado nel fascicolo dell'appellante. E, soprattutto, sempre sulla base dei medesimi criteri, ha esteso l'applicabilità dell'art. 182 c.p.c. al grado di appello sia nel caso in cui nel fascicolo depositato non fosse compreso l'atto di citazione di primo grado contenente la delega anche per il grado successivo, sia nel più specifico caso di omesso deposito della procura generale alle liti, là dove i poteri di collaborazione del giudice istruttore, espressamente previsti in funzione di sanatoria della costituzione della parte, sono stati estesi per via interpretativa, oltrechè al collegio (quando non abbia provveduto l'istruttore), al giudice di appello (anche in sede collegiale).

In definitiva, conclude sul punto il giudice a quo, dall'orientamento giurisprudenziale formatosi su norme analoghe all'art. 369 c.p.c. si deduce il principio consolidato che le declaratorie di improcedibilità non possono avere carattere meramente sanzionatorio. E, tuttavia, è parimenti "diritto vivente" che, nel caso specifico del mancato deposito della procura speciale, non è possibile superare in via interpretativa la rigida letteralità della disposizione che sanziona quell'inadempienza con l'improcedibilità. Non può, infatti, farsi ricorso al criterio delle situazioni sostitutive, poichè ciò è impedito dalla unilateralità (rispetto alla posizione delle parti nel processo) e dalla unicità della procura ai difensori.

Inoltre, non si può applicare il criterio della utilità degli atti ai fini del decidere, posto che l'esistenza della procura, l'anteriorità della stessa alla notificazione del ricorso e la produzione in causa al fine di dimostrare i poteri dei soggetti muniti dello ius postulandi, è funzione necessaria in causa, soprattutto in un procedimento civile, come il nostro, improntato essenzialmente all'attività di mandatari professionali. Nè, infine, è consentita l'applicazione analogica dell'art. 182, secondo comma, c.p.c., quantomeno perchè non è permessa l'attività di collaborazione del giudice in presenza di una decadenza, che nella specie è connessa alla perentorietà del termine di deposito della procura speciale concessa con atto separato. Per tali motivi la Corte di cassazione ha riconosciuto come inderogabile l'adempimento di depositare la procura speciale nel termine di venti giorni dalla notificazione del ricorso, finanche in giudizi, come quelli elettorali, in cui la parte potrebbe stare in giudizio di persona.

Tuttavia, osserva il giudice a quo, nella fattispecie dell'art.369, secondo comma, n. 3, c.p.c., può individuarsi una discrepanza rilevante e, sotto certi aspetti, arbitraria tra le situazioni che si intende tutelare con la formalità del deposito della procura entro un termine perentorio e il diritto al giudizio il cui esercizio viene di fatto precluso con la sanzione dell'improcedibilità, discrepanza che sembra incidere sui principi costituzionali attinenti all'esercizio della giurisdizione e alla tutela processuale di un diritto sostanziale, riconosciuti dagli artt. 24 e 111 della Costituzione. Nel caso di specie, poi, l'indicata discrasia è esaltata dalla notevolissima entità finanziaria e patrimoniale degli interessi in gioco, la quale enfatizza l'arbitrarietà connessa all'incomparabilità fra la conseguenza della negazione del giudizio di legittimità, specificamente garantito dalla Costituzione, e la premessa, rappresentata da un'inadempienza meramente formale, che, sul piano dei valori, cui deve ispirarsi la giurisdizione, non trova un riscontro equivalente nella tutela delle parti e nella rapidità processuale.

Secondo il giudice a quo, dall'art. 24 della Costituzione (oltrechè dall'art. 111 della stessa Carta, che rappresenta un rafforzamento della garanzia sancita dal primo) si deduce il principio che il processo deve concedere le stesse utilità che si sarebbero potute conseguire attraverso la norma sostanziale. Da tale principio deriva sia il corollario che la garanzia del diritto di difesa, lungi dall'esaurirsi al momento dell'accesso, va configurato anche come diritto a ottenere una pronunzia di merito nel rispetto della regola del contraddittorio, sia il corollario per il quale debbono considerarsi eccezionali le ipotesi di violazione delle norme rituali che precludano la conoscenza del diritto sostanziale controverso. Attestata su queste posizioni sarebbe, sempre secondo il giudice a quo, la giurisprudenza della Corte costituzionale, la quale, pur affermando la libertà del legislatore di atteggiare i mezzi di tutela del diritto alla difesa in relazione alla protezione di altri interessi costituzionalmente garantiti, ha nello stesso tempo asserito che non si possono vanificare in sede giurisdizionale situazioni riconosciute in sede sostanziale e non si possono apporre ostacoli all'esercizio dell'azione che si rivelino, per incongruità o non pertinenza, irragionevoli.

Esposti i principi, il giudice a quo, nel valutare la funzione attribuita al deposito della procura speciale, osserva che questo, al pari del deposito del ricorso e degli altri atti indicati nell'art. 369 c.p.c., svolge una funzione sostanzialmente equivalente alla costituzione dell'attore nel giudizio di primo grado (art. 165 c.p.c.) o dell'appellante (art. 347 c.p.c.). Ma, prosegue il giudice a quo, la sanabilità, se pure attraverso la concessione di un termine perentorio da parte del giudice, della manchevolezza o del ritardo del deposito nei gradi di giudizio da ultimo menzionati (v. rispettivamente artt. 182 e 348 c.p.c.), sembra dimostrare che nel procedimento civile il termine normativo per l'espletamento delle modalità di costituzione, ed in ispecie per la produzione della procura prima dell'inizio dell'attività di giurisdizione, pur corrispondendo ad un'esigenza di ordine logico sequenziale degli atti negli adempimenti di parte e nello svolgimento del processo, non coincide con la tutela di valori essenziali delle parti.

Se, dunque, la tutela inerente al termine di deposito della procura non ha una funzione dissimile da quella relativa alla costituzione dell'attore nel giudizio di merito e se non si evidenziano ragioni essenziali a fondamento della diversa normativa dell'art. 369, secondo comma, n. 3, c.p.c., allora, conclude il giudice a quo, la distonia tra causa ed effetto denota l'irragionevolezza della norma impugnata sotto un duplice profilo: a) in riferimento all'art. 3 della Costituzione, poichè crea una diversità di trattamento essenziale e non giustificabile, tra la parte che adisca il giudice di merito e quella che agisca nella sede ultima di legittimità, che della prima costituisce l'essenziale estensione e complemento, nella previsione dell'espressa garanzia costituzionale contenuta nell'art. 111 della Costituzione; b) in riferimento all'art. 24 della Costituzione, poichè, ponendo una preclusione temporale irrazionale all'esercizio del giudizio di legittimità, preclude la possibilità di sanatoria, sia ad opera della parte autonomamente, sia con l'intervento collaborativo del giudice.

Nè varrebbe obiettare, soggiunge il giudice a quo, che i poteri di collaborazione sono attribuiti al giudice istruttore e che nella fase di legittimità manca tale figura, poichè quei poteri in quest'ultimo grado di giudizio sono generalmente riconosciuti al collegio. Nè, ancora, potrebbe scorgersi una differenza essenziale sul rilievo che in sede di cassazione si richiede una procura speciale, quale manifestazione di una volontà espressa della parte di accedere a quel tipo di giudizio, dal momento che la questione sollevata non verte sul se quel tipo di procura debba esservi e debba essere depositata, nè riguarda la congruità della durata del termine previsto, ma concerne soltanto la razionalità della perentorietà del termine di deposito in comparazione con i contrapposti interessi.

Nè, infine, si potrebbe dire che l'eventuale accoglimento della questione sollevata possa finire per coinvolgere tutti i termini perentori del codice di rito e la stessa funzione di ordine processuale che quei termini assolvono, poichè l'irrazionalità della perentorietà va valutata in relazione alle singole ipotesi, attraverso un'analisi specifica e puntuale del carattere sanzionatorio o meno del termine, carattere che nella specie è evidenziato dal fatto che si colpisce, non un'attività giuridica, ma un'attività materiale (deposito) del mandatario professionale e dal fatto che si tratta di un adempimento che, a differenza di altri indicati nello stesso articolo impugnato, non ammette equipollenti di sorta, impedisce alle parti di compiere autonomamente un'attività di regolarizzazione e alla Cassazione di dare, essa stessa, un termine (perentorio) per la regolarizzazione medesima.

Da quest'ultima circostanza, conclude il giudice rimettente, deriva la rilevanza della questione dalla cui soluzione dipendono, alternativamente, l'applicazione della sanzione di improcedibilità per la mancata prova del rituale deposito della procura o l'esame del merito del ricorso previa regolarizzazione della situazione ad opera della parte spontaneamente ex art. 372 c.p.c. o previa concessione di un termine ex art. 182 c.p.c..

2.- Si è costituito in giudizio l'Istituto Mobiliare Italiano (I.M.I.) per chiedere che la questione sia dichiarata fondata.

Dopo aver ripreso quanto già dichiarato durante la discussione orale del giudizio di cassazione circa la tempestiva effettuazione del deposito della procura e il presunto smarrimento o sottrazione della stessa e dopo aver comunque precisato, sulla scia dell'ordinanza di rimessione, l'irrilevanza di tale evento nei confronti della questione di costituzionalità sollevata, la difesa dell'I.M.I. ripete in sostanza gli argomenti addotti dal giudice a quo a sostegno dei propri dubbi di legittimità costituzionale sull'art.369, secondo comma, n. 3, c.p.c..

In particolare, la stessa difesa ricorda come nella disciplina delle giurisdizioni analoghe a quelle di cassazione (Tribunali amministrativi regionali, Consiglio di Stato, Corte dei conti) il deposito della procura, anche quando questa sia speciale, non è prescritto a pena di decadenza e come la stessa giurisprudenza costituzionale - segnatamente la sent. n. 588 del 1988 - ha dichiarato incostituzionale, sotto il profilo dell'art. 3 della Costituzione, una difformità della disciplina sull'incarico al difensore stabilita per la cassazione rispetto a quella vigente per i giudizi di merito.

La difesa dell'I.M.I. rileva un ulteriore indice di irrazionalità nel confronto della disciplina impugnata rispetto a quella stabilita dall'art.375 c.p.c. per la pronuncia in Camera di consiglio dell'inammissibilità o dell'improcedibilità.

In particolare, mentre quest'ultimo articolo prescrive che, in caso di inammissibilità del ricorso, questa deve esser dichiarata in Camera di consiglio previo l'esperimento di alcune cautele previste a tutela dei diritti di difesa del ricorrente (notifica delle richieste del p.m. alle parti almeno venti giorni prima della riunione in Camera di consiglio, deposto di memorie difensive e di documenti ad opera delle parti cinque giorni prima della riunione stessa), al contrario, nell'ipotesi dell'eccezione di improcedibilità prevista dall'art. 369 c.p.c., quelle cautele non sono applicabili, tanto che al ricorrente, una volta iniziata la discussione (e una volta che, come nel caso, l'eccezione di improcedibilità sia stata formulata in esito alla discussione), non è consentito nè replicare, nè produrre documenti, con evidente lesione dei suoi diritti di difesa. Sicchè, se la Corte costituzionale, con una pronunzia di tipo riduttivo o sottrattivo, eliminerà una norma nella parte in cui ha uno specifico contenuto prescrittivo, si riequilibrerà il complesso delle disposizioni contenuto nell'art. 369 c.p.c., ora restrittivamente interpretato soltanto a proposito del deposito della procura speciale, e si permetterà al giudice a quo di individuare, sulla base di un'interpretazione lasciata alla sua esclusiva competenza, le forme di regolarizzazione da applicare al caso di specie.

3.- Si sono costituiti in giudizio la F.I.N.D. s.r.l. e gli eredi dell'ing. Nino Rovelli, tutti controricorrenti nel processo presso la Corte di cassazione, al fine di chiedere una decisione di non fondatezza o una di inammissibilità.

Precisato che i dubbi di costituzionalità sotto il profilo dell'art. 24 della Costituzione si appuntano sul preteso carattere irrazionale della previsione, a pena di improcedibilità, del deposito della procura speciale a causa della sua natura meramente sanzionatoria e della conseguente mancanza di qualsiasi possibilità di regolarizzazione per la parte o per il giudice, la controricorrente nel giudizio a quo ritiene di dover contestare tali posizioni espresse nell'ordinanza di rimessione, a cominciare dal rilievo "pre-giuridico" circa l'importanza che si dovrebbe dare, nel decidere la questione di costituzionalità, all'ingente importo finanziario di cui si controverte. Sotto quest'ultimo profilo, infatti, la parte osserva che le norme processuali non possono non avere valore universale e non possono essere valutate diversamente a seconda del soggetto coinvolto nella causa o del rilievo economico della controversia.

Dopo aver ricordato che nella giurisprudenza costituzionale costante è l'affermazione che la disciplina dei termini rientra in pieno nella discrezionalità del legislatore, al quale soltanto spetta apprezzare le diverse esigenze proprie dei singoli procedimenti che intende regolare, la medesima parte sottolinea che, secondo la stessa giurisprudenza, l'irrazionalità dell'imposizione di un termine come perentorio dev'esser valutata alla luce del rilievo che il relativo onere finisca per rendere ineffettivo o eccessivamente difficoltoso l'esercizio del diritto di difesa.

In riferimento a tali parametri, si deve escludere che il deposito della procura speciale entro termini perentori costituisca un irragionevole intralcio al diritto di difesa, non corrispondente a un fine meritevole di positivo apprezzamento da parte del legislatore. L'onere considerato, infatti, realizza il principio di verificabilità degli assunti delle parti, poichè nessuna unilaterale asserzione del difensore di una parte può essere sottratta alla verifica del giudice e della controparte relativamente alla sua esistenza e alla sua validità.

Irragionevole e, pertanto, lesiva del diritto di difesa sarebbe, anzi, una previsione contraria, la quale costringesse una delle parti in una posizione di mera soggezione nei confronti degli assunti dell'altra parte o del difensore di questa. Del resto, la stessa ordinanza di rimessione, conclude la difesa della F.I.N.D. s.r.l., afferma che l'onere del deposito della procura adempie a una funzione processuale, non solo apprezzabile, ma addirittura indefettibile.

Sotto il profilo della pretesa violazione dell'art. 3 della Costituzione - consistente nella pretesa disparità di trattamento fra la situazione propria del giudizio di merito, dove l'art. 182 c.p.c. ammette che il giudice istruttore possa assegnare alle parti un termine entro il quale depositare la procura che non risulti già prodotta, e il giudizio di cassazione, dove non è previsto un potere analogo del giudice -, la stessa parte osserva che le situazioni poste a confronto non possono considerarsi comparabili. Infatti, altro è l'istruttoria nel giudizio di merito, che è caratterizzata dalla normale assenza di preclusioni, altro è il giudizio di legittimità di fronte alla Corte di cassazione, nel quale sono presenti rilevanti elementi di officialità e che realizza il massimo di concentrazione processuale, essendo destinato a svolgersi e a concludersi in una sola udienza.

Del resto, conclude la controricorrente nel giudizio a quo, ove si ammettesse anche nel giudizio di cassazione un potere analogo a quello previsto dall'art. 182 c.p.c., risulterebbero violati i principi costituzionali concernenti la posizione del giudice e il corretto esercizio della funzione giurisdizionale in un giudizio di mera legittimità: se si trattasse di un potere discrezionale, si attribuirebbe in sostanza al giudice la facoltà di determinare arbitrariamente la soccombenza; se fosse un atto dovuto, invece, si verrebbe ad attribuire alla parte un abnorme potere ordinatorio del processo, potendo questa decidere a suo piacimento il differimento dell'udienza di discussione con il rimanere semplicemente inadempiente nei confronti degli oneri che il legislatore legittimamente le impone.

4.- Si è costituito in giudizio anche il Presidente del Consiglio dei ministri per chiedere che la questione sia dichiarata non fondata ovvero inammissibile per irrilevanza.

L'Avvocatura dello Stato, conferendo alla disposizione impugnata una lettura diretta a far venir meno la supposta drasticità dell'art.369, secondo comma, n. 3, c.p.c., ritiene che non possa comunque giungersi a una decisione di accoglimento.

Secondo la difesa erariale, infatti, la norma impugnata va collocata in un quadro sistematico, la cui disposizione-base è data dall'art. 365 c.p.c..

Quest'ultimo, nel prescrivere a pena di inammissibilità la sottoscrizione del ricorso da parte di un avvocato munito di procura speciale e nel collegarsi logicamente con il successivo art. 366, che dispone, sempre a pena d'inammissibilità, che lo stesso ricorso deve contenere l'indicazione della procura speciale (ove conferita con atto separato), esprime la chiara volontà del legislatore a che l'impugnazione di legittimità sia preceduta da un'adeguata e specifica ponderazione dell'interessato, sia rivelata all'esterno attraverso uno speciale conferimento di poteri al difensore, sia suscettibile di verifica quale attività formale espressiva della predetta ponderazione. Rispetto a tali esigenze, l'impugnato art.369, secondo comma, n. 3, c.p.c. svolge chiaramente una funzione complementare o integrativa attraverso l'allestimento di un mezzo (deposito), che, se per il giudice si pone quale unica via per la necessaria previa verifica della sussistenza di una delle condizioni d'ammissibilità del ricorso, nei riguardi della controparte mira a rendere più agevole e meno dispendiosa la stessa verifica.Questi rilievi, conclude l'Avvocatura dello Stato, oltre a spiegare perchè l'omesso deposito sia sanzionato con l'improcedibilità anzichè con l'inammissibilità, portano a dire che, mentre la violazione delle prescrizioni poste dalla norma contestata deve esser rilevata soltanto dalla parte (resistente) al cui vantaggio quelle prescrizioni sono stabilite, nello stesso tempo l'esercizio dei poteri di verifica della Corte di cassazione, essendo strumentale all'accertamento della condizione di ammissibilità richiesta dal citato art. 365 c.p.c., comporta l'applicabilità dell'art. 372 c.p.c., il quale consentirebbe il deposito anche all'udienza di discussione dei documenti attinenti all'ammissibilità del ricorso. Di qui deriva, secondo l'Avvocatura dello Stato, l'irrilevanza, prima che l'infondatezza, della questione prospettata.

5.- In prossimità della udienza hanno depositato amplissime memorie tanto la difesa dell'I.M.I. quanto quella della F.I.N.D. s.r.l. e degli eredi Rovelli.

La prima delle parti ora citate, oltre a ribadire e a svolgere ulteriormente argomenti già trattati nell'atto di costituzione o nell'ordinanza di rimessione, replica, innanzitutto, in relazione alla tesi dell'irrilevanza formulata dall'Avvocatura dello Stato, che la ricostruzione su cui quella tesi si basa è, per un verso, smentita dal "diritto vivente" (per il quale il difetto d'improcedibilità del ricorso conseguente all'omesso deposito della procura è rilevabile d'ufficio) e, per altro verso, è contraddetta dall'interpretazione della disposizione contestata (impossibilità di consentire sanatorie per inadempienza del deposito della procura) posta a base della questione sollevata.

Quest'ultimo rilievo, osserva la difesa dell'I.M.I., chiude la via a una pronunzia d'inammissibilità per irrilevanza e conduce, semmai, a una decisione d'infondatezza in via interpretativa, dal momento che la giurisprudenza costituzionale è concorde nel ritenere che, ai fini dell'accertamento della rilevanza, la qualificazione dei fatti da parte del giudice a quo non è censurabile dalla Corte costituzionale. Nè, soggiunge la stessa difesa, si potrebbe argomentare l'irrilevanza della questione con l'argomento che l'accoglimento della stessa non escluderebbe l'onere della parte di depositare la procura prima dell'inizio della discussione.

Infatti, l'eventuale incostituzionalità della perentorietà del termine aprirebbe la via al potere di regolarizzazione, nel senso che, una volta che la Corte costituzionale avesse deciso per l'accoglimento della questione, la Corte di cassazione dovrebbe fissare una nuova udienza di discussione, prima della quale sarà possibile effettuare la regolarizzazione.

Sul merito, la difesa dell'I.M.I., a proposito della funzione attribuibile al deposito della procura, osserva che, consistendo questa nell'agevolare la verifica dei poteri al procuratore, ad essa non può riconoscersi un'incidenza tale da giustificare un effetto così irreversibile, quale l'improcedibilità del ricorso, tanto più che questo effetto si ricollega ad un'attività del difensore e non della parte sostanziale.

Inoltre, poichè il deposito della procura svolge una funzione accessoria ed eventuale rispetto all'adempimento essenziale dell'attestazione degli estremi della procura nel ricorso ad opera del difensore, si deve dire, ad avviso della difesa dell'I.M.I., che il deposito assume evidenza solo quando la parte avversa o il giudice sollevino dubbi sull'esistenza o sulla tempestività della presenza, sicchè l'indicazione della procura senza il deposito della stessa, ove non la si voglia irrazionalmente equiparare al mancato rilascio della stessa, è un adempimento difettoso, e perciò regolarizzabile, e non già un inadempimento. Circa la pretesa arbitrarietà dell'estensione al giudizio di cassazione del potere di regolarizzazione previsto dall'art. 182 c.p.c., la difesa dell'I.M.I. afferma, infine, che quest'ultimo sarebbe comunque soggetto ai limiti di ragionevolezza che presiedono all'analogo potere riconosciuto ai giudici di merito e che, in ogni caso, i pericoli adombrati dalla controparte avrebbero un antidoto nel potere di verifica dell'esistenza della procura che potrebbe essere immediatamente esercitato in sede di controricorso.

Da ultimo, la difesa dell'I.M.I. ricorda che l'ordinanza di rimessione chiede, non una pronunzia additiva, alla quale può essere opposta la giurisprudenza costituzionale di inammissibilità per la pluralità delle soluzioni possibili, ma una pronunzia riduttiva diretta a eliminare quella parte dell'art. 369 c.p.c. che commina la sanzione dell'improcedibilità a fronte del mancato tempestivo deposito della procura speciale, eliminazione che darebbe spazio alle regole generali del processo che consentono la regolarizzazione.

6.- La difesa della F.I.N.D. s.r.l. e degli eredi Rovelli, oltre a ribadire e ad ampliare posizioni e argomenti già svolti nell'atto di costituzione, osserva che, in considerazione del fatto che l'ordinanza di rimessione non contesta che la procura speciale debba esservi e debba essere depositata o che la decorrenza del termine sia legata a un evento la cui rilevazione imponga alla parte oneri di diligenza straordinari (decorrendo i venti giorni per il deposito dalla notifica del ricorso ad opera della stessa parte), si deve ritenere che il diritto di difesa garantito dall'art. 24 della Costituzione non è svuotato dalla norma contestata, nè è sottoposto capricciosamente a un ingiustificato formalismo.

Se è così, continua la stessa parte, ciò che l'ordinanza di rimessione chiede in effetti alla Corte costituzionale è di dettare una nuova disciplina del giudizio di legittimità, oggi strutturato intorno a una disciplina di termini perentori, a favore di un sistema dal quale siano banditi i termini perentori, i quali portano sempre con sè l'insidia di uno sbocco processuale, anzichè di merito, della giurisdizione.

Questo sistema, tuttavia, non è costituzionalmente imposto, poichè, come la Corte costituzionale ha costantemente affermato, spetta al legislatore disciplinare i diversi procedimenti giurisdizionali con l'ovvio limite che sia sempre mantenuto reale ed effettivo l'esercizio del diritto di difesa.

Ed anzi la stessa Corte ha costantemente insegnato sia che la garanzia stabilita dall'art. 24 della Costituzione non può essere abnormemente dilatata fino al punto di negare che la legge possa prevedere termini perentori, sia che l'adeguatezza dei termini perentori debba essere commisurata all'entità degli oneri imposti, essendo connaturato ad essi il carattere dell'improrogabilità ed essendo fisiologico l'epilogo processuale della lite, anzichè quello di merito, nell'ipotesi dell'inutile spirare dei termini stessi. In particolare, sotto l'ultimo dei profili indicati, non è possibile ritenere che quegli oneri siano eccessivi, perchè si risolvono in attività semplici, quali il deposito del ricorso e degli altri atti indicati nell'art. 369 c.p.c., assolte le quali il ricorrente (come il controricorrente) potrà anche rimanere inerte, nel senso che, assicurato l'impulso minimo di depositare tutto quanto è strettamente necessario alla decisione, ogni ulteriore attività difensiva costituisce mera facoltà e il giudizio procede, attraverso una sola udienza di discussione, fino alla decisione, senza la necessità di alcun altro intervento delle parti medesime.

Di qui, continua la stessa difesa, deriva l'infondatezza anche del profilo relativo all'art. 3 della Costituzione, poichè il giudizio di cassazione, imperniato sul principio di officialità e su quello della concentrazione, appare non paragonabile al giudizio di merito (di primo grado o d'appello), nel quale vige il principio dell'assenza dei termini e di preclusioni a produrre e a dedurre ed è riconosciuto al giudice, in sede di istruzione, un ampio potere collaborativo. Sicchè pretendere di introdurre alcuno degli istituti della "diluizione processuale" (rinvii, moratorie, condoni, e così via) nel diverso, e di per sè coerente e compatto, giudizio di legittimità per cassazione, laddove la Corte non è chiamata a effettuare controlli sull'attività di alcun giudice istruttore, non potrebbe non finire per alterare e sconvolgere l'intera fisionomia di quest'ultimo giudizio, tanto più che, una volta che sia ammesso in tale giudizio un potere di rinvio a fini di sanatoria delle omissioni delle parti, non si vede perchè di questa provvidenza debbano essere beneficiari solo quanti hanno omesso il deposito della procura e non quanti abbiano omesso il deposito nei termini di legge del ricorso, della copia autentica della sentenza e degli altri atti e documenti indicati nei restanti numeri dell'art. 369 c.p.c.. Nè potrebbe valere il paragone con le altre esperienze del processo amministrativo, poichè queste ultime - oltre ad essere incomparabili, se non altro in quanto in esse vi sono i poteri istruttori del collegio e le pronunzie interlocutorie in ordine alla produzione di atti o documenti necessari - sono univoche nel far conseguire all'omesso deposito della procura l'inammissibilità della costituzione della parte.

In ordine alla ipotizzata applicabilità dell'art. 372 c.p.c., la stessa difesa, nel rilevare che del mancato deposito è stato preso atto mediante la relativa annotazione sul fascicolo di ufficio e nel registro del ruolo (come dà conto anche l'ordinanza di rimessione), osserva che il relativo profilo appare inammissibile per irrilevanza, poichè l'improcedibilità si è ormai irretrattabilmente verificata con l'udienza di discussione, non potendosi ammettere un effetto sanante obliquamente derivante dal fatto di aver promosso il presente giudizio di costituzionalità e aver sospeso il giudizio a quo.

Dopo aver precisato che in concreto la pretesa lesione del diritto di difesa del ricorrente nel giudizio a quo, in conseguenza del sollevamento dell'eccezione di improcedibilità in esito alla discussione, non ha il minimo fondamento, anche in considerazione del fatto che il Presidente del collegio ha autorizzato la ricorrente a presentare deduzioni al riguardo, consentendo, in deroga all'art. 379 c.p.c., il deposito di note scritte, la difesa della F.I.N.D. s.r.l. e degli eredi Rovelli procede all'esame della giurisprudenza della Corte di cassazione citata nell'ordinanza di rimessione addivenendo alle seguenti conclusioni:

a) risulterebbe una consolidata tendenza verso il rigoroso rispetto delle condizioni di procedibilità del ricorso fissate dall'art. 369 c.p.c., consentendosi l'omissione del deposito soltanto quando gli atti relativi siano ininfluenti per la decisione o siano già presenti nel fascicolo d'ufficio;

b) esisterebbero soltanto alcune pronunce, peraltro in contraddizione con la giurisprudenza prevalente della Corte di cassazione, circa la possibilità di applicare la sanatoria consentita dall'art. 372 c.p.c. anche a proposito degli adempimenti previsti a pena di improcedibilità, oltrechè per quelli disposti a pena di ammissibilità, che sono i soli espressamente indicati dal citato art. 372; c) sussisterebbe una giurisprudenza nient'affatto concorde anche in ordine all'applicazione dell'art. 182 c.p.c. nei giudizi di merito, poichè solo alcune pronunzie ne estendono l'applicazione al collegio di primo e di secondo grado, sul presupposto, però, che si tratti di un intervento sostitutivo in relazione al mancato esercizio del potere di collaborazione da parte del giudice istruttore e che, in ogni caso, siano fatte salve le decadenze e le preclusioni già verificatesi (come richiede espressamente lo stesso art.182); d) risulterebbe che tutti i giudizi prevedono preclusioni, ma queste sarebbero più frequenti e più rigorose nei gradi superiori.

7.- Durante la discussione orale, nel ribadire le proprie posizioni, le parti private hanno introdotto nuovi argomenti in replica ad affermazioni contenute nelle memorie di udienza. In particolare, mentre la difesa dell'I.M.I. ha osservato che sono esistiti ed esistono sistemi processuali basati su preclusioni i quali conoscono altresì poteri o facoltà di regolarizzazione o di sanatoria in ordine alla costituzione delle parti, la difesa della F.I.N.D. s.r.l. e degli eredi Rovelli ha sostenuto, invece, che la questione di costituzionalità in esame è stata sollevata tardivamente dalla Corte di cassazione, dal momento che, essendosi già esaurita la discussione orale ed essendosi dunque chiusa l'udienza, l'ipotizzata ripresa del giudizio sarebbe configurabile soltanto come una "riassunzione", vale a dire come una ingiustificata fissazione di una nuova udienza.

Considerato in diritto

1.- La Corte di cassazione, Sezione prima civile, adita con ricorso dell'Istituto Mobiliare Italiano avverso una sentenza della Corte d'appello di Roma, con la quale era stata confermata in sede di rinvio la condanna del ricorrente pronunziata nei precedenti gradi del giudizio di merito, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, nei confronti dell'art. 369, secondo comma, n. 3, del codice di procedura civile nella parte in cui prevede, a pena d'improcedibilità, il deposito della procura speciale, ove questa sia stata conferita con atto separato.

Il giudice a quo dubita della ragionevolezza della prescrizione di un termine perentorio per il deposito della procura speciale, dal momento che quella prescrizione comporterebbe una sanzione (preclusione del giudizio sul merito della causa) ritenuta sproporzionata rispetto a un onere (deposito della procura), che, sebbene sia legato da un rapporto di necessaria funzionalità rispetto al processo, consisterebbe pur sempre in una formalità non finalizzata al perseguimento di un interesse connesso con la tutela di valori essenziali ovvero apprezzabili o, comunque, equivalenti a quello sacrificato con la sanzione dell'improcedibilità.

Tale distonia tra causa ed effetto, secondo lo stesso giudice a quo, denoterebbe l'irragionevolezza della norma impugnata sia sotto il profilo dell'art. 3 della Costituzione, per il fatto che creerebbe una disparità di trattamento tra coloro che adiscono il giudizio di merito e coloro che agiscono nella sede del giudizio di cassazione, sia sotto il profilo dell'art. 24 della Costituzione, per il fatto che, ponendo una preclusione temporale irragionevole allo svolgimento del giudizio di cassazione, impedirebbe alle parti di sanare di propria iniziativa l'eventuale inadempimento del deposito, ai sensi dell'art. 372 c.p.c., e non permetterebbe alla Corte di cassazione di applicare l'art. 182 c.p.c., il quale conferisce al giudice il potere di assegnare alle parti un termine per la regolarizzazione di eventuali difetti attinenti alla costituzione delle parti stesse.

2.- Definita nei termini ora precisati, la questione va dichiarata inammissibile.

Nel delineare i principi informatori della disciplina legislativa della giurisdizione con riferimento ai diritti delle parti, la Costituzione, all'art. 24, riconosce i diritti della difesa come valori primari, che, in quanto tali, godono dell'immediata garanzia costituzionale quali diritti inviolabili ai sensi dell'art. 2 della medesima Carta fondamentale (v. sentt. nn. 98 del 1965, 125 del 1979, 18 del 1982, 243 del 1989, 329 del 1992). Tuttavia, i diritti della difesa, nei quali va ricompreso anche il cosiddetto diritto al giudizio (v., sentt. nn. 220 del 1986, 123 del 1987), si traducono in specifiche e concrete situazioni giuridiche soggettive soltanto a seguito della loro articolazione in diritti e pretese attinenti al processo o, più precisamente, soltanto in conseguenza della disciplina legislativa delle attività e dei procedimenti connessi con l'esercizio della giurisdizione. Per tale ragione questa Corte ha costantemente sottolineato il principio secondo il quale l'effettiva garanzia dei diritti della difesa riposa sull'esercizio, non irragionevole, dell'ampia potestà discrezionale che il legislatore possiede in relazione all'opera di conformazione del processo (v. sentt. nn. 89 del 1972, 49 del 1979, 100 del 1987, 82 del 1992, ordd. nn. 37 e 38 del 1988, 517 del 1990).

In riferimento allo svolgimento di tale discrezionalità politica, questa Corte ha costantemente affermato che il legislatore, ove riconosca la sussistenza in concreto di uno specifico interesse pubblico che ne giustifichi l'adozione, può legittimamente imporre all'esercizio di facoltà e di poteri processuali limitazioni temporali immutabili e irreversibili, per il fatto che i termini perentori, cui sono connaturali i caratteri dell'improrogabilità e dell'insanabilità, tendono a garantire, oltre alla fondamentale esigenza di giustizia relativa alla celerità o alla speditezza dei processi, un'effettiva parità dei diritti delle parti in causa mediante il contemperamento dell'esercizio dei rispettivi diritti di difesa (v. spec. sent. n. 106 del 1973 e ord. n. 900 del 1988, nonchè sentt. nn. 138 del 1975 e 63 del 1977).

Nel domandare il superamento della perentorietà del termine previsto dall'art. 369, secondo comma, n. 3, c.p.c., il giudice a quo chiede in sostanza a questa Corte una pronunzia di tipo additivo, comportante la possibilità di applicare sanatorie al mancato o al tardivo deposito della procura speciale, segnatamente le sanatorie previste dall'art. 372 o dall'art. 182 del codice di procedura civile. Ma una tale pronunzia presuppone che si introducano nel processo di cassazione innovazioni che, per la loro ampiezza e significatività e per l'estrema molteplicità delle soluzioni astrattamente possibili, potrebbero essere adottate soltanto dal legislatore nell'esercizio dell'ampio potere ad esso spettante in ordine alla conformazione del processo.

In relazione all'art. 372 c.p.c., il giudice a quo chiede una pronunzia additiva volta a introdurre nell'ordinamento una norma in base alla quale il deposito della procura speciale possa avvenire, pur se con il vincolo della notifica all'altra parte, in qualsiasi momento del processo anteriore all'udienza, così da render possibile al resistente l'effettuazione delle verifiche sulla esistenza e sulla validità della procura in udienza prima dell'inizio della discussione. Con riguardo all'art. 182 c.p.c., la richiesta di una pronunzia additiva è, invece, diretta a modificare l'ordinamento con l'introduzione di una norma secondo la quale il deposito della procura speciale potrebbe esser effettuato, dietro invito del giudice, pur dopo che la discussione fosse iniziata e, finanche, dopo che l'udienza fosse terminata.

L'innesto di ambedue le addizioni in un sistema, che è imperniato sulla perentorietà e sulla legalità dei termini per il deposito del ricorso e degli atti con questo connessi (al chiaro fine di assicurare che tutti gli elementi necessari alla decisione siano disponibili per l'udienza pubblica, quando alle parti, in contraddittorio fra loro, è data l'ultima occasione di illustrare le rispettive difese, prima della decisione del collegio), comporta l'introduzione di innovazioni coinvolgenti scelte di carattere eminentemente politico, riservate al solo legislatore. In particolare, l'inserimento nel giudizio di cassazione di un potere giudiziale di collaborazione e di intervento attivo, come quello previsto dall'art. 182 c.p.c., esige che sia modificato l'attuale ruolo del giudice di legittimità e, inoltre, che siano compiute scelte fra un'estrema molteplicità di modalità di attuazione (quali, ad esempio, l'eliminazione di tutte le cause di improcedibilità ovvero la distinzione fra quelle sanzionate con termine perentorio e quelle sanabili, l'adozione del provvedimento di sanatoria in camera di consiglio ovvero in udienza, la fissazione di un termine finale per l'esercizio del potere giudiziale di regolarizzazione).

Quelle richieste dal giudice a quo sono addizioni che non possono essere considerate come costituzionalmente imposte e che, pertanto, sono necessariamente affidate alla scelta pienamente discrezionale del legislatore. E, una volta che quest'ultimo, nell'esercizio di tale discrezionalità, abbia optato per un sistema basato sulla perentorietà dei termini per il deposito della procura speciale e, in genere, degli atti indicati nell'art. 369 c.p.c., l'estensione a quest'ultimo sistema di forme di sanatoria - tanto se rimesse all'iniziativa autonoma delle parti (art.372 c.p.c.), quanto se dipendenti dall'intervento collaborativo del giudice (art. 182 c.p.c.) - può conseguire soltanto a decisioni che, per l'ampiezza delle innovazioni comportate e la varietà delle modalità attuative, sono riservate al potere legislativo in relazione alla discrezionalità ad esso riconosciuta dalla Costituzione in ordine alla conformazione del processo.

3.- Il giudice a quo, nell'addurre argomenti a sostegno delle proprie richieste, espone anche una sua ricostruzione della giurisprudenza di legittimità, dalla quale traspare che, fra le previsioni a pena di improcedibilità contenute nell'art.369 c.p.c., soltanto quella relativa al deposito della procura speciale riceverebbe, a causa della natura giuridica di quest'ultima (unilateralità, unicità e necessarietà della stessa), un'interpretazione rigorosa.

A parte i dubbi che si possono nutrire sulla predetta ricostruzione, sta di fatto che le asserite diverse applicazioni delle distinte disposizioni contenute nell'art. 369 c.p.c. non suscitano problemi di legittimità costituzionale. Si tratta, invece, di problemi di interpretazione delle norme di legge ordinaria la cui risoluzione spetta alla Corte di cassazione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 369, secondo comma, n. 3, del codice di procedura civile, nella parte in cui, prevedendo a pena d'improcedibilità il deposito della procura speciale, preclude la possibilità di sanatorie tanto ad opera della parte autonomamente quanto con l'intervento collaborativo del giudice, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dalla Corte di cassazione, Sezione prima civile, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10/11/92.

Aldo CORASANITI, Presidente

Antonio BALDASSARRE, Redattore

Depositata in cancelleria il 24/11/92.