Sentenza n. 453 del 1992

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SENTENZA N. 453

ANNO 1992

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-          Dott. Aldo CORASANITI, Presidente

-          Prof. Giuseppe BORZELLINO

-          Dott. Francesco GRECO

-          Prof. Gabriele PESCATORE

-          Avv. Ugo SPAGNOLI

-          Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

-          Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-          Avv. Mauro FERRI

-          Prof. Luigi MENGONI

-          Prof. Enzo CHELI

-          Dott. Renato GRANATA

-          Prof. Giuliano VASSALLI

-          Prof. Francesco GUIZZI

-          Prof. Cesare MIRABELLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 558, secondo comma, e 83, quinto comma, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 21 giugno 1991 dal Pretore di Ancona - Sezione distaccata di Jesi, nel procedimento penale a carico di Martinelli Furio, iscritta al n.530 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 34, prima serie speciale, dell'anno 1991.

Visto l'atto di intervento del Presidente del consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 19 febbraio 1992 il Giudice relatore Giuliano Vassalli.

Ritenuto in fatto

1. Nel corso del processo penale a carico di Martinelli Fulvio, imputato di omicidio colposo, il Pretore di Ancona, Sezione distaccata di Jesi, premesso: che la persona offesa dal reato era stata resa edotta, mediante citazione notificata il 13 giugno 1991, della udienza dibattimentale fissata per il successivo 21 giugno; che il 15 giugno 1991 la stessa persona offesa aveva provveduto a depositare in cancelleria l'atto di costituzione di parte civile ed aveva contestualmente richiesto la citazione del responsabile civile; che all'udienza dibattimentale - reiterata, "per quanto potesse occorrere, l'avvenuta costituzione" - la parte civile aveva depositato l'originale della notifica al responsabile civile, facendo presente "l'impossibilità pratica di procedere alla tempestività dell'adempimento, anche a fronte della genericità del termine di cui alla norma"; tutto ciò premesso, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, due questioni di legittimità, da ritenere "gradatamente rilevanti per questo giudizio in quanto precludenti la possibilità della parte civile di svolgere la propria attività e, conseguentemente, la possibilità difensiva del responsabile civile, una volta che ne fosse dichiarata valida la citazione". La prima, eccepita dalla parte civile, avente ad oggetto l'art.558, secondo comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui "limita a soli cinque giorni precedenti l'udienza dibattimentale la citazione della persona offesa anche per ciò che concerne la ritualità della chiamata in giudizio del responsabile civile"; la seconda, eccepita dal responsabile civile costituitosi in giudizio, deducendo l'invalidità della sua citazione perchè effettuata prima della costituzione di parte civile, concernente l'art. 83, quinto comma, dello stesso codice, "nella parte in cui non prevede un termine congruo per la citazione del responsabile civile".

Ravvisa il giudice a quo, anzitutto, disparità di trattamento fra imputato e parte civile: all'uno è riservato un termine minimo di quarantacinque giorni per la notifica del decreto di citazione, mentre il termine assegnato all'altra è di soli cinque giorni; in secondo luogo, violazione del diritto di difesa dell'offeso dal reato, che ha a disposizione l'"esiguo termine" di cinque giorni, da ritenere "vanificante, di fatto, di quello menzionato e previsto" dall'art. 142 del testo delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale (testo approvato con il decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271).

Osserva ancora il giudice rimettente che la "genericità del termine" per la citazione del responsabile civile compromette il suo diritto di difesa, imponendo al giudice, "in assenza di un termine specifico, di valutare arbitrariamente l'effettiva potenziale esplicazione dalla facoltà difensiva di tale parte".

2. L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 34, prima serie speciale, del 1991.

3. É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.

Con riguardo alla censura concernente l'art. 558, secondo comma, in relazione alla dedotta violazione del principio di eguaglianza derivante dal diverso termine rispettivamente stabilito per l'imputato e per la persona offesa, l'Avvocatura richiama la <<struttura "bifasica" impressa dal legislatore alla citazione in giudizio dinanzi al pretore>>, conseguente all'assenza dell'udienza preliminare. In tale quadro, la collocazione della citazione della persona offesa dopo la scadenza dei termini per la citazione dell'imputato sarebbe da ritenere del tutto ragionevole, considerando che il primo termine è fissato anche in funzione della scelta dei riti di deflazione coinvolgenti il solo imputato.

Quanto al termine assegnato alla persona offesa, la sua brevità si giustificherebbe in forza della connaturata speditezza del procedimento davanti al pretore. Circa, poi, la pretesa violazione del diritto di difesa della parte civile, si richiama la sentenza n. 192 del 1991 e la possibilità per la persona offesa di far valere il suo diritto al risarcimento del danno davanti al giudice civile.

In relazione, infine, alla denuncia dell'art. 83, quinto comma, del codice di procedura penale, l'Avvocatura deduce che l'assenza di una espressa previsione normativa impone all'interprete di determinare - tenuto conto di fattispecie analoghe - la norma applicabile in concreto.

Norma, nella specie, da individuare nell'art. 558 riguardante la notifica della citazione alla persona offesa. Con la conseguente operatività anche dell'art. 465, da ritenere applicabile al fine di consentire la chiamata in giudizio del responsabile civile.

Considerato in diritto

1. Il giudice a quo dubita, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, della legittimità di due norme, entrambe riguardanti il procedimento davanti al pretore: per un verso, dell'art. 558, secondo comma, del codice di procedura penale, "nel punto in cui impone un termine di giorni cinque per la citazione della persona offesa, e non un termine idoneo a consentire la concreta esplicazione della propria facoltà" e, per un altro verso, dell'art. 83, quinto comma, dello stesso codice, "nella parte in cui non pone, al predetto fine, un termine di notifica per la chiamata in giudizio del responsabile civile".

Più in particolare, in relazione alla persona offesa, si denuncia l'esiguità del termine stabilito dalla prima delle norme censurate "in quanto precludente la possibilità della parte civile di svolgere la propria attività" essendo previsto in cinque giorni precedenti al dibattimento il "termine ultimo" per la sua citazione, un termine assolutamente inadeguato per predisporre la sua difesa, sia perchè tale termine è "vanificante, di fatto, di quello menzionato e previsto dall'art. 142 disp. att." sia perchè, alla stregua del disposto dell'art.78, secondo comma, del codice di procedura penale, l'efficacia della costituzione di parte civile è subordinata alla notificazione della costituzione stessa alle parti private: con la conseguenza che nei confronti del responsabile civile l'azione civile potrà essere esercitata soltanto dalla parte civile costituita e, quindi, dopo la detta notificazione, mediante la richiesta di citazione del civilmente responsabile a norma dell'art. 83 del codice di procedura penale.

La previsione di un termine così esiguo vulnererebbe anche l'art. 3 della Costituzione, risultando compromesso "il principio di pari condizione della parte civile con l'imputato", cui, è, invece, "riservato un termine di notifica minimo di 45 giorni dal decreto di citazione".

Con riguardo al responsabile civile, si denuncia - un'affermazione formulata in punto di rilevanza ma che coinvolge anche la non manifesta infondatezza della norma censurata - che, pure ove ne venisse dichiarata valida la citazione, l'art. 83, quinto comma, nel prevedere un termine assolutamente generico, può anch'esso ledere il suo diritto di difesa, "imponendosi al giudicante, in assenza di un termine specifico, di valutare arbitrariamente l'effettiva potenziale esplicazione della facoltà difensiva di tale parte".

2. La prima questione è inammissibile.

Pur dovendo riconoscersi che nell'ambito del processo pretorile il termine minimo di cinque giorni dalla data fissata per il dibattimento per la citazione della persona offesa può in taluni casi vanificare, di fatto, il diritto di costituirsi parte civile soprattutto quando sia in gioco la citazione del responsabile civile, l'assenza di un tertium comparationis ricavabile dal sistema non consente di individuare una soluzione costituzionalmente obbligata in grado di colmare le conseguenze derivanti dall'applicazione del precetto di cui si censura il contrasto con le norme costituzionali invocate.

Il richiamo del giudice a quo al termine stabilito per l'imputato si rivela, infatti, non riferibile all'offeso dal reato, non solo per l'evidente diversità delle posizioni poste a confronto, ma anche sul più specifico riflesso che la prescrizione dell'art. 555, terzo comma, del codice di procedura penale - nella quale si fissa un termine, è opportuno ricordarlo, più esteso di quello previsto per la citazione dell'imputato per il dibattimento davanti al tribunale e alla corte di assise - è strettamente collegata alla facoltà per l'imputato stesso di richiedere i riti alternativi di deflazione del dibattimento entro quindici giorni dalla notifica del decreto di citazione (v. art. 555, primo comma, lettera e) e non è quindi ragionevolmente estensibile alla persona offesa.

Senza contare che, non rivestendo ancora la persona offesa la qualità di parte, l'applicazione ad essa dello stesso termine assegnato all'imputato comporterebbe l'operatività di un identico regime rispetto a posizioni non omogenee.

Nè potrebbe utilmente soccorrere, sempre al fine di colmare l'ipotizzato vuoto normativo, il ricorso al termine previsto per la persona offesa dal reato nel procedimento davanti al tribunale ed alla corte di assise (esteso, in via interpretativa, al responsabile civile dalla sentenza n.430 del 1992) perchè tale termine finirebbe con interferire, travolgendola, con la duplicità dei termini previsti dall'art. 555, con conseguenti riverberi sull'intero assetto normativo collegato alla citazione delle parti nel processo davanti al pretore.

Ne deriva che poichè le soluzioni possibili al fine di porre rimedio al regime predisposto dall'art. 558, secondo comma, del codice di procedura penale, si profilano come discrezionali, la scelta del termine congruo per la citazione della persona offesa nel giudizio pretorile non appartiene alla competenza di questa Corte, dovendo essere affidata al legislatore.

3. Fondata è, invece, la questione di legittimità dell'art. 83, quinto comma, del codice di procedura penale.

L'assenza per il responsabile civile della previsione di alcun termine per la sua citazione, da disporre ad opera del giudice su richiesta della parte civile, lede il suo diritto di difesa sotto un duplice profilo: in primo luogo, perchè, nel concreto, il termine fissato dal giudice potrebbe rivelarsi incongruo ai fini della costituzione di tale parte; in secondo luogo, perchè, comunque, resta affidato all'apprezzamento insindacabile del giudice stabilire se "il responsabile civile sia stato posto in grado di esercitare i suoi diritti" nel giudizio.

Poichè, peraltro, viene qui in considerazione non un termine determinato ma esiguo sibbene un termine indeterminato, l'art. 83, quinto comma, del codice di procedura penale, va ritenuto non conforme all'art. 24 della Costituzione, nella parte in cui non prevede per il procedimento pretorile la determinazione del termine per il responsabile civile. Nel modello processuale che viene qui in discorso, d'altra parte, non possono essere utilmente evocate, per sanare l'indicata lacuna normativa, i rilievi posti a fondamento della ricordata sentenza n. 430 del 1992, con la quale questa Corte ha dichiarato non fondata, nei sensi di cui in motivazione, una non dissimile censura riguardante la dedotta, omessa previsione di un termine dilatorio per la citazione del responsabile civile davanti al tribunale o alla corte di assise. Infatti, la mancanza nel rito pretorile dell'udienza preliminare e, dunque, di quella specifica fase processuale antecedente alla traslatio iudicii nella quale i soggetti privati diversi dall'imputato possono assumere la qualità di parti, non consente di fare appello agli indispensabili referenti normativi offerti dall'art. 425, terzo e quarto comma, del codice di procedura penale e, soprattutto, dall'art. 133 del testo delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale (testo approvato con il decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271), dalla cui combinata lettura, iscritta nel quadro dei principi generali che assicurano l'armonia del sistema, è possibile pervenire a quella interpretazione secundum Constitutionem che questa Corte ha avuto modo di delineare nella sentenza appena richiamata.

Considerato, infatti, che nello schema processuale ordinario che regola i procedimenti devoluti alla competenza del tribunale e della corte di assise, tutte le parti private godono dell'identico termine di comparizione, diviene agevole presupporre che lo stesso termine valga anche per il responsabile civile che debba essere citato per la prima volta al dibattimento.

Nel procedimento davanti al pretore, invece, l'unico termine di comparizione è quello previsto per l'imputato, proprio perchè è l'unica parte che può "esistere" all'atto della emissione del decreto di citazione a giudizio.

Ciò premesso, rimane tuttavia il problema della individuazione del precetto a cui fare attualmente capo alla stregua dei principi costituzionali in attesa di un auspicabile intervento legislativo diretto a riequilibrare l'intero sistema dei termini per la citazione dei soggetti privati diversi dall'imputato nel processo pretorile. Ora, la constatazione che la citazione del civilmente responsabile segue necessariamente alla costituzione di parte civile, non interferendo in alcun modo con la conformazione binaria della vocatio in iudicium dell'imputato, consente di rinvenire nell'attuale assetto normativo - anche considerando il ruolo di civilmente responsabile per il fatto dell'imputato che il responsabile civile assume - come unico termine ad esso riferibile quello indicato dall'art. 555. Un termine, oltre tutto, omogeneo, quanto a posizioni soggettive, rivestendo il civilmente responsabile, una volta citato - e pure a prescindere dalla sua costituzione - la qualità di parte.

L'art. 83, quinto comma, del codice di procedura penale deve pertanto essere dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede per la citazione del responsabile civile nel procedimento pretorile il medesimo termine assegnato all'imputato dall'art. 555, terzo comma, dello stesso codice.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 83, quinto comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede per la citazione del responsabile civile nel procedimento davanti al pretore il medesimo termine assegnato all'imputato dall'art. 555, terzo comma, dello stesso codice.

2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 558, secondo comma, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Pretore di Ancona - Sezione distaccata di Jesi con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 04/11/92.

Aldo CORASANITI, Presidente

Giuliano VASSALLI, Redattore

Depositata in cancelleria il 17/11/92.