Sentenza n. 309 del 1992

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SENTENZA N.309

ANNO 1992

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-        Dott. Aldo CORASANITI, Presidente

 

-        Dott. Francesco GRECO

 

-        Prof. Gabriele PESCATORE

 

-        Avv. Ugo SPAGNOLI

 

-        Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

-        Prof. Antonio BALDASSARRE

 

-        Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

-        Avv. Mauro FERRI

 

-        Prof. Luigi MENGONI

 

-        Prof. Enzo CHELI

 

-        Dott. Renato GRANATA

 

-        Prof. Giuliano VASSALLI

 

-        Prof. Francesco GUIZZI

 

-        Prof. Cesare MIRABELLI

 

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 6, primo comma, del decreto-legge 22 dicembre 1981, n. 791 (Disposizioni in materia previdenziale), convertito nella legge 26 febbraio 1982, n. 54, promosso con ordinanza emessa il 22 novembre 1991 dal Tribunale di Firenze, nel procedimento civile vertente tra Bianchi Corrado ed Assicurazioni Generali S.p.a., iscritta al n. 62 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell'anno 1992.

Visti gli atti di costituzione di Bianchi Corrado e della Assicurazioni Generali S.p.a., nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 19 maggio 1992 il Giudice relatore Francesco Greco;

uditi gli avvocati Oronzo Mazzotta per Bianchi Corrado e Sergio Magrini per le Assicurazioni Generali S.p.a. e l'Avvocato dello Stato Oscar Fiumara per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

 

1. - Bianchi Corrado, dirigente della Compagnia Assicurazioni Generali S.p.a., comunicava, ai sensi dell'art. 6 del decreto-legge 22 dicembre 1981, n. 791, convertito in legge 26 febbraio 1982, n. 54, alla società datrice di lavoro di optare per la continuazione del rapporto d'impiego fino al sessantatreesimo anno di età.

La società gli intimava il licenziamento e, secondo il disposto dell'art. 40 del C.C.N.L. per i dirigenti delle imprese assicuratrici, gli offriva la somma corrispondente alla contribuzione volontaria mancante per il raggiungimento del massimo contributivo.

Il Bianchi impugnava il licenziamento. La società, in data 4 maggio 1990, intimava un nuovo licenziamento, motivandolo per il compimento dell'età pensionabile e per esigenze riorganizzative.

L'adito Pretore di Firenze rigettava la domanda considerando che, secondo la giurisprudenza della Cassazione, il dirigente può continuare a lavorare in base alla detta legge n. 54 del 1982, ma il rapporto non acquista stabilità, é assoggettato allo stesso regime giuridico precedente e, quindi, a recesso ad nutum del datore di lavoro anche se il C.C.N.L. ne prevede la stabilità in quanto esso opera fino all'età legale o contrattuale, esclusa la proroga.

Appellava il Bianchi e resisteva la società.

Il Tribunale di Firenze, con ordinanza del 22 novembre 1991, ha sollevato, d'ufficio, questione di legittimità costituzionale dell'art. 6, primo comma, del decreto-legge n. 791 dei 1981, convertito in legge n. 54 del 1982, in riferimento agli artt. 3, 38 della Costituzione.

Ha osservato che l'indirizzo giurisprudenziale vigente porta. in sostanza, alla inapplicabilità della legge a favore dei dirigenti; che non si tratta di conferire surrettiziamente al rapporto di impiego dei dirigenti la stabilità di cui essi non godono, ma di consentire loro l'esercizio del diritto alla prosecuzione del rapporto che é strettamente legato al diritto di aumentare l'anzianità contributiva.

La norma vivente produrrebbe la violazione dell'art. 3 della Costituzione, per la disparità di trattamento che si verificherebbe a danno dei dirigenti rispetto agli altri lavoratori, e dell'art. 38 della Costituzione, diminuendosi ingiustificatamente il trattamento pensionistico.

Lo stesso giudice remittente ha ritenuto la questione rilevante e non manifestamente infondata.

2. - L'ordinanza é stata regolarmente comunicata, notificata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale.

3. - Nel giudizio si sono costituite le parti private ed é intervenuta l'Avvocatura generale dello Stato, in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri.

3.1. - La difesa del Bianchi ha svolto argomentazioni identiche a quelle del giudice remittente, aggiungendo che il rapporto di lavoro dei dirigenti é ormai parificato a quello degli altri lavoratori subordinati.

Infatti, é estesa anche ad essi la garanzia a della forma scritta per il licenziamento e quella reale in caso di licenziamento discriminatorio, nonchè quelle procedimentali nel caso di licenziamento disciplinare.

3.2 - La difesa della società ha rilevato che la questione é mai posta, in quanto doveva essere denunciato il quarto comma dell'art. 6 anzichè il primo comma.

Ha osservato, poi, che é riconosciuta la nullità del licenziamento intimato contro l'opzione con la conseguenza della pendenza del rapporto di lavoro e la necessità di un nuovo e valido atto di recesso; che oggetto della tutela non é il raggiungimento della massima contribuzione previdenziale ma la prosecuzione del rapporto in regime di recesso ante optionem. Infatti, l'art. 6 della legge n. 407 del 1990 consente di continuare il rapporto fino a sessantadue anni, anche se si é conseguito il massimo della contribuzione e della pensione.

Non sussiste violazione dell'art. 3 della Costituzione anche perchè il recesso per i dirigenti si giustifica per la particolarità del rapporto.

Del resto l'art. 4 della legge n. 108 del 1990 dispone che al rapporto in prosecuzione opzionale si applica il medesimo regime di stabilità goduto ante optionem.

Nel settore assicurativo é stata introdotta una disciplina collettiva che assicura ai dirigenti la possibilità di continuare a fruire, dopo l'esercizio dell'opzione, della tutela contro il licenziamento illegittimo, con la conseguenza che si evidenzia ancora di piú la pratica utilità dell'opzione.

3.3. - L'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la infondatezza della questione, ha rilevato:

a) la possibilità per i dirigenti del settore assicurativo di versare i contributi volontari fino al conseguimento della massima contribuzione, sicchè é esclusa la violazione dell'art. 38 della Costituzione;

b) la peculiarità del rapporto che impedisce il confronto con quello di lavoro subordinato fruente del regime di stabilità.

4. - Nell'imminenza dell'udienza le parti private hanno presentato memoria.

La difesa del Bianchi ha insistito sulle precedenti osservazioni, ríbadendo la necessità di riconoscere al rapporto la stabilità per dare efficacia alla legge; ha aggiunto che la dizione della disposizione impugnata, che indica come titolari del diritto gli iscritti all'I.N.P.S., non consente alcuna discriminazione tra lavoratori. La difesa dell'Assicurazione ha sviluppato le osservazioni già formulate.

Considerato in diritto

 

1.-La Corte deve verificare se l'art. 6, primo comma, del decreto legge 22 dicembre 1981, n. 791, convertito in legge 26 febbraio 1982, n. 54, nella parte in cui attribuisce, come interpretato dalla giurisprudenza dominante, ai dirigenti la facoltà di optare per la continuazione del rapporto di lavoro anche dopo il raggiungimento dell'età pensionabile, al fine di conseguire la massima anzianità contributiva, ma senza fruizione delle garanzie di stabilità del posto di lavoro previste dalle leggi n. 604 del 1966 e n. 300 del 1970, violi gli artt.:

a) 3 della Costituzione, per l'irrazionale discriminazione dei dirigenti stessi rispetto ad altre categorie di lavoratori per i quali l'esercizio di identica facoltà è presidiato dal simmetrico prolungamento della operatività delle suddette garanzie di stabilità;

b) 38 della Costituzione, poichè, non operando siffatte garanzie, resta compromesso il diritto dei dirigenti di utilizzare la continuazione del rapporto di lavoro dopo l'età pensionabile per ottenere un più adeguato trattamento di quiescenza.

2. - La questione non è fondata.

Si rileva, anzitutto, che non è impugnato il quarto comma dell'art. 6 del decreto-legge n. 791 del 1981, che prevede espressamente l'applicazione delle disposizioni della legge n. 604 del 1966 ai lavoratori che esercitano l'opzione per rimanere in servizio per raggiungere l'anzianità contributiva massima o quanto meno per incrementare quella posseduta, e la deroga al solo art. 11 della stessa legge ma non anche all'art. 10, che invece dispone la non applicabilità della legge n. 604 del 1966 ai dirigenti.

2.1-Il giudice remittente ha denunciato l'art. 6, primo comma suddetto, così come risulta interpretato dalla prevalente giurisprudenza secondo cui il diritto di opzione è previsto anche per i dirigenti, ma il rapporto di lavoro di coloro che hanno effettuato l'opzione rimane assoggettato alla medesima disciplina ad esso applicabile fino all 'esercizio dell'opzione stessa, con la conseguenza che la eventuale stabilità al dirigente dalla disciplina contrattuale fino al sessantesimo anno di età non si protrae fino al raggiungimento della massima anzianità contributiva, ma permane entro il limite temporale contrattuale (sessanta anni), scaduto il quale è applicabile il regime di libera recedibilità, salva la operatività di altre garanzie eventualmente previste dai contratti collettivi.

Invece, secondo il giudice remittente, perchè possa realizzarsi concretamente lo scopo della citata disposizione di far conseguire al dirigente il massimo dell'anzianità contributiva o il suo reale incremento, in applicazione del principio della ragionevolezza e della coerenza, si dovrebbe riconoscere ai dirigenti optanti la stessa stabilità riconosciuta ai lavoratori subordinati dal quarto comma del citato art. 6. A fondamento della denunciata illegittimità costituzionale non è posto altro motivo ed, in particolare, la impugnazione non riguarda il limite della stabilità concessa dalla disciplina contrattuale collettiva fino al sessantesimo anno di età anche nella vigenza ed operatività della opzione.

Non è preso in esame nemmeno il contratto nazionale normativo ed economico per i dirigenti delle imprese assicuratrici stipulato il 29 giugno 1988. Ed, in particolare, l'art. 40, il quale prevede a favore del dirigente, oltre la facoltà di rimanere in servizio fino al sessantacinquesimo anno di età, anche quella di ottenere dall'impresa datrice di lavoro, nel caso in cui non raggiunga il massimo della contribuzione, l'ammontare della differenza contributiva necessaria per il suddetto risultato utile.

3.-La questione, nei limiti in cui è posta ed alla stregua dei parametri di riferimento (artt. 3 e 38 della Costituzione), non è fondata.

Invero, non sussiste la denunciata irrazionale disparità di trattamento tra lavoratori subordinati e dirigenti. Le due categorie non sono affatto omogenee ed i due rapporti di lavoro sono nettamente differenziati.

Elemento caratterizzante la prima categoria, che comprende operai ed impiegati, è il grado della loro collaborazione con l'imprenditore. Essa si estrinseca in attività che, pur inerenti al processo produttivo, si mantengono nella sfera della semplice esecuzione e non implicano discrezionalità e poteri decisionali.

II dirigente, invece, gode di uno status particolare; ha un'autonomia ed una discrezionalità delle decisioni; ha un potere decisionale e rappresentativo idoneo ad influenzare l'andamento e la vita dell'azienda o del settore cui è preposto, tanto al suo interno quanto nei rapporti con i terzi; il che ne fa un vero e proprio alter ego dell'imprenditore, di cui, inoltre, deve godere sempre la piena fiducia. II rapporto che il dirigente contrae giustamente cade nell'area della libera recedibilità. Salvo naturalmente la stabilità relativa che è prevista dal contratto collettivo di categoria, il quale varia da impresa ad impresa.

Tranne anche la tutela che si deve riconoscere ex lege contro fatti che ledono la sua dignità di uomo e di lavoratore (per esempio, licenziamento intimato senza l'atto scritto; licenziamenti discriminatori; licenziamenti disciplinari senza osservanza di norme che richiedano il riconoscimento di garanzie procedimentali).

In via generale, i contratti collettivi di categoria prevedono la possibilità di adire un collegio arbitrale ai fini dell'accertamento della mancanza di una idonea giustificazione dell'intimato licenziamento.

3.1 -Nè della disposizione denunciata può ritenersi la irrazionalità per mancanza di effetti utili. Invero, in presenza della effettuata opzione, non può negarsi la nullità del licenziamento intimato solo per ragioni di età.

3.2-Posto che il legislatore, nella sua discrezionalità, non ha inteso snaturare il rapporto de quo ed assimilarlo in tutto a quello dei lavoratori subordinati, indubbiamente risulta effettuato un ragionevole bilanciamento degli interessi in gioco: quello dell'ente previdenziale di ritardare l'erogazione della pensione e di incrementare la contribuzione; quello indiretto del lavoratore di aumentare l'ammontare della pensione, siccome ad una maggiore contribuzione corrisponde una maggiore pensione, ed anche la base pensionistica per effetto degli aumenti salariali intervenuti nelle more; quello del datore di lavoro di avere dirigenti validi per età, che diano certezza della massima operatività ed efficienza e che continuino a godere della sua fiducia.

4.-Nè sussiste la violazione dell'art. 38 della Costituzione in quanto è assicurato al ricorrente un trattamento pensionistico adeguato, tanto più che nella specie esso è certamente raggiunto per la possibile applicazione del citato art. 40 del contratto nazionale di categoria.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.6, primo comma, del decreto-legge 22 dicembre 1981, n.791 (Disposizioni in materia previdenziale), convertito in legge 26 febbraio 1982, n. 54, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, sollevata dal Tribunale di Firenze con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18/06/92.

Aldo CORASANITI, Presidente

Francesco GRECO, Redattore

Depositata in cancelleria il 01/07/92.