Sentenza n. 306 del 1992

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 306

ANNO 1992

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-        Prof. Giuseppe BORZELLINO, Presidente

-        Dott. Francesco GRECO

-        Prof. Gabriele PESCATORE

-        Avv. Ugo SPAGNOLI

-        Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

-        Prof. Antonio BALDASSARRE

-        Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-        Avv. Mauro FERRI

-        Prof. Luigi MENGONI

-        Prof. Enzo CHELI

-        Dott. Renato GRANATA

-        Prof. Giuliano VASSALLI

-        Prof. Francesco GUIZZI

-        Prof. Cesare MIRABELLI;

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale a) dell'art. 7, primo e secondo comma, della legge regionale Friuli-Venezia Giulia 28 agosto 1989, n. 23 (Ulteriori norme modificative ed integrative delle leggi regionali 7 settembre 1987, n. 30 e 21 gennaio 1989, n. 1, in materia di smaltimento dei rifiuti); b) degli artt. 3, secondo, terzo e quarto comma, e 4, quarto comma, della legge regionale Friuli-Venezia Giulia 4 settembre 1991, n. 41 (Interventi connessi alle varie fasi di smaltimento dei rifiuti speciali, tossici o nocivi ed ulteriori modifiche ed integrazioni alle leggi regionali 7 settembre 1987, n. 30 e 28 agosto 1989, n. 23), promosso con ordinanza emessa il 4 dicembre 1991 dal Pretore di Udine - Sezione distaccata di Latisana, nel procedimento penale a carico di Locatelli Luciano, ed altri, iscritta al n. 51 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 7, prima serie speciale, dell'anno 1992;

Visto l'atto di intervento della Regione Friuli-Venezia Giulia;

Udito nella camera di consiglio del 6 maggio 1992 il Giudice relatore Francesco Greco.

Ritenuto in fatto

1. - Il Pretore di Udine - Sezione distaccata di Latisana, nel corso del procedimento penale a carico di Locatelli Luciano ed altri, imputati del reato di cui agli artt. 110, 113, codice penale e 26 del d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, per avere, in concorso o comunque in cooperazione tra loro, nelle rispettive qualità di Presidente e di Consiglieri delegati della ditta ECO s.p.a., effettuato, presso la sede dell'azienda, un'attività di stoccaggio provvisorio di rifiuti tossici e nocivi senza la prescritta autorizzazione regionale, con ordinanza del 4 dicembre 1991 (R.O. n. 51 del 1992), ha sollevato:

A) questione di legittimità costituzionale dell'art. 7, primo e secondo comma, della legge regionale del Friuli-Venezia Giulia 28 agosto 1989, n. 23, in riferimento agli artt. 3, 25 e 116 della Costituzione (quest'ultimo integrato dalla legge costituzionale n. 1 del 1963).

Ha rilevato che, a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale dell'art. 15, quinto comma, della legge regionale Friuli-Venezia Giulia 7 settembre 1987, n. 30, il quale aveva introdotto il concetto di ammasso temporaneo di rifiuti tossici (sent. Corte Cost. n. 370 del 1989), con l'art. 7, primo comma, della legge regionale 28 agosto 1989, n. 23, coloro che avevano presentato denuncia di ammasso temporaneo di cui al predetto articolo erano autorizzati a proseguire la predetta attività, sempre che avessero presentato la domanda di autorizzazione entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge (termine poi prorogato al 30 giugno 1990 con l'art. 100 della legge regionale n. 3 del 1990); con il secondo comma dello stesso art. 7 si era consentita la prosecuzione dell'attività di ammasso temporaneo sino alla data del provvedimento di concessione o del suo diniego e, comunque, non oltre il 31 dicembre 1990 (termine poi prorogato al 30 aprile 1991 con l'art. 2 della legge regionale n. 53 del 1990).

La ECO s.p.a. si era avvalsa di dette norme e aveva proseguito l'attività di ammasso temporaneo di rifiuti tossici.

Ha osservato che con la detta norma (art. 7, primo e secondo comma) la Regione travalicava la potestà legislativa costituzionalmente conferitale, regolando una fattispecie penalmente punita e quindi esercitando una potestà che spetta solo allo Stato, onde la violazione degli artt. 3, 25 cpv., 116 della Costituzione integrato dalla legge costituzionale n. 1 del 1963;

B) Lo stesso Pretore ha, altresì, sollevato, con riferimento ai medesimi parametri costituzionali, questione di legittimità costituzionale degli artt. 3, secondo, terzo e quarto comma, e 4, quarto comma, della legge regionale del Friuli-Venezia Giulia 4 settembre 1991, n. 41.

Ha rilevato che per il regime transitorio l'art. 3, secondo comma, stabilisce che per le domande di autorizzazione allo stoccaggio provvisorio di rifiuti tossici e nocivi di cui all'art. 7, primo comma, della legge regionale n. 23 del 1989, nonché per le istanze presentate prima dell'entrata in vigore della legge in questione, la relativa autorizzazione deve essere rilasciata entro 30 giorni dall'entrata in vigore della legge medesima, e il quarto comma, che tali domande si intendono accolte qualora, decorso inutilmente il suddetto termine, non sia stato comunicato al richiedente un provvedimento motivato di diniego, introducendo così l'istituto del silenzio-assenso in materia di rifiuti.

A identico risultato conduce il successivo art. 4, che detta la disciplina generale attinente alle modalità di rilascio dell'autorizzazione, introducendo il comma 5-quinquies all'art. 2 della legge regionale n. 23 del 1989.

Ad avviso del giudice a quo, risulterebbe leso il principio della riserva allo Stato della potestà punitiva penale, considerandosi lecita un'attività penalmente sanzionata dall'ordinamento nazionale e travalicate le competenze legislative regionali con l'introduzione del silenzio-assenso in materia di stoccaggio provvisorio di rifiuti. Le relative norme sarebbero in contrasto con quelle fondamentali della riforma economico-sociale realizzata con il citato d.P.R. n. 915 del 1982, e con gli obblighi internazionali assunti dallo Stato essendo il detto d.P.R. attuativo di direttive C.E.E.

Infine, si sarebbe verificata disparità di trattamento tra chi effettua uno stoccaggio provvisorio di rifiuti tossici e nocivi nel Friuli-Venezia Giulia e chi lo esercita nel resto del territorio nazionale.

2. - Nel giudizio è intervenuto il Presidente della Giunta regionale del Friuli-Venezia Giulia, che ha concluso per la inammissibilità della prima delle questioni sollevate, in quanto le disposizioni impugnate sono state già dichiarate costituzionalmente illegittime con sentenza n. 504 del 1991, e per la infondatezza della seconda questione, in quanto le argomentazioni del giudice a quo sarebbero basate sull'erroneo convincimento che il sistema normativo apprestato dal d.P.R. n. 915 del 1982 comporti una riserva assoluta di attribuzioni amministrative, che precluderebbe ogni sia pur lieve modifica da parte del legislatore regionale.

3. - Nella imminenza della camera di consiglio il Presidente della Giunta regionale ha depositato memoria con la quale sulla seconda questione ha rilevato che lo smaltimento dei rifiuti rientra nella materia "urbanistica", di competenza esclusiva della regione e che, quindi, per l'attuazione delle direttive comunitarie, la legge regionale prevale su quella statale, tranne che per la parte in cui queste espressamente indicano i principi da seguire. Inoltre, l'introduzione del silenzio-assenso nel sistema autorizzativo non esorbiterebbe dalla sfera della potestà legislativa regionale, tanto più che esso è ammesso anche in altre discipline, quale quella delle concessioni edilizie (artt. 7 e 8 del decreto-legge 23 gennaio 1982, n. 9).

Del resto, l'art. 3, sesto comma, della legge regionale 4 settembre 1991, n. 41, impone, in ogni momento, le eventuali prescrizioni tecniche necessarie per un corretto svolgimento dell'attività.

Inoltre, in ordine all'aspetto precettistico delle norme penali (sent. Corte Cost. n. 26 del 1966), che è quello in discussione, la riserva penale è relativa e la definizione di tale aspetto mediante una forma alternativa di espressione sarebbe stata ampiamente adempiuta.

Considerato in diritto

1. - La Corte deve verificare:

A) se l'art. 7, primo e secondo comma, della legge regionale del Friuli-Venezia Giulia 28 agosto 1989, n. 23, nella parte in cui prevede, sia pure in via transitoria, la possibilità di continuare l'abusivo ammasso temporaneo di rifiuti tossici e nocivi all'interno dell'azienda, previa presentazione della domanda di autorizzazione, violi gli artt. 116, integrato dalla legge costituzionale n. 1 del 1963 (Statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia), 3 e 25, secondo comma, della Costituzione;

B) se l'art. 3, secondo, terzo e quarto comma, e l'art. 4, quarto comma, della legge regionale Friuli-Venezia Giulia 4 settembre 1991, n. 41, nella parte in cui, in materia di rifiuti tossici, sia in regime transitorio che in via definitiva, introducono l'istituto del silenzio-assenso prevedendo la possibilità di una autorizzazione tacita per l'esercizio dell'attività di stoccaggio provvisorio, violino gli artt. 116, integrato dalla legge Costituzionale n. 1 del 1963 (Statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia), 3 e 25, secondo comma, della Costituzione.

In entrambe le fattispecie si sarebbero verificati:

a) un travalicamento della sfera delle competenze legislative regionali, essendosi legiferato in materia nella quale sussiste una legislazione statale di principio, emanata in adempimento di obblighi comunitari ( il d.P.R. n. 915 del 1982, attuativo di direttive C.E.E.);

b) una irrazionale discriminazione tra coloro che operano nella suddetta Regione e coloro che operano in altre regioni;

c) la lesione del principio della riserva statale in materia di legislazione penale, trattandosi di una fattispecie (stoccaggio provvisorio non autorizzato) penalmente punita.

2. - La questione sub A) deve essere dichiarata inammissibile, perché la disposizione impugnata è già stata dichiarata costituzionalmente illegittima (sentenza n. 504 del 1991) e, quindi, espunta dall'ordinamento.

3. - La questione sub B) è fondata.

La Regione Friuli-Venezia Giulia, a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale (sent. n. 370 del 1989) dell'art. 15, quinto comma, della legge regionale del 7 settembre 1987, n. 30, che non richiedeva l'autorizzazione regionale per alcuni casi di ammasso temporaneo di rifiuti tossici e nocivi, ha ridisciplinato la materia con l'art. 3 della legge regionale 4 settembre 1991 n. 41, dando possibilità agli esercenti la detta attività in regime transitorio di chiedere l'autorizzazione regionale entro certi termini.

Dopo avere disposto che la richiesta autorizzazione deve essere rilasciata entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge stessa, ha previsto (quarto comma) che le domande devono intendersi accolte qualora entro il suddetto termine non sia intervenuto il provvedimento autorizzativo o il diniego motivato.

In tal modo, nella materia di cui trattasi, ha introdotto l'istituto del silenzio-assenso, ovvero ha previsto la possibilità della autorizzazione tacita in luogo di quella espressa.

Lo stesso istituto è stato previsto, per la disciplina generale, dal comma quinto-quinquies, aggiunto all'art. 15 della legge regionale n. 30 del 1987, come modificato dall'art. 16 della legge regionale 28 novembre 1988, n. 65, e dall'art. 2 della legge regionale 28 agosto 1989, n. 23.

In tal modo non viene compiuta nessuna indagine e nessun accertamento sull'esistenza delle condizioni, sopratutto tecniche, richieste per l'esercizio dell'attività di cui trattasi ed, in particolare, sulle misure e sugli accorgimenti da apprestarsi per evitare che dall'attività medesima derivino danni alla salute e all'ambiente, in relazione alla natura tossica e nociva dei rifiuti accumulati.

3.1. - Ora, le direttive C.E.E. n. 75/442, 76/403 e 78/319 qualificano quella di smaltimento di rifiuti tossici e nocivi come attività di pubblico interesse da controllare accuratamente; stabiliscono che essa debba essere soggetta ad autorizzazione da parte delle autorità competenti secondo le legislazioni dei vari Stati membri e prevedono che l'autorizzazione sia espressa e specifica, nel senso che debbono indicarsi quale o quali attività siano consentite ed a quali condizioni, con riferimento alla natura dei luoghi, al tipo di attività, ai modi e alla quantità dei rifiuti, alla capacità economica e professionale dell'imprenditore, alle esigenze primarie di protezione della salute e dell'ambiente, ai molteplici criteri di economicità ed efficenza, alla pianificazione economica e territoriale.

La più recente direttiva n. 91/156 del 18 marzo 1991, a modifica della direttiva n. 75/442, da recepirsi dagli Stati membri entro il 1° aprile 1993, dispone, tra l'altro (art. 9), che le autorizzazioni devono riguardare, in particolare, i tipi e i quantitativi di rifiuti, le precauzioni da prendere in materia di sicurezza, il luogo di smaltimento e il metodo di trattamento. In via generale ribadisce (art. 4) che si debbano adottare le misure necessarie per assicurare che i rifiuti siano recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell'uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero re- care pregiudizio all'ambiente.

3.2. - Con il d.P.R. n. 915 del 1982 si è data attuazione alle suddette direttive.

Rivestono la portata di norme di principio quelle disposizioni del decreto che, in stretta correlazione con la esigenza di dare attuazione alle direttive comunitarie, delineano gli obiettivi essenziali e i limiti di operatività della disciplina dello smaltimento dei rifiuti (sentenza n. 192 del 1987).

In particolare, si tratta delle disposizioni contenute negli artt. 1 e 2, in cui si fissano le regole generali per la inderogabile necessità di evitare ogni rischio di inquinamento e di degrado dell'ambiente.

L'art. 4 regola le competenze dello Stato al quale spettano le funzioni di indirizzo, promozione, consulenza e coordinamento delle attività connesse con la attuazione del decreto, come espressione di siffatte funzioni, e, tra l'altro (p.f), la determinazione dei criteri generali per il rilascio delle autorizzazioni relative a tutte le fasi dello smaltimento dei rifiuti, ivi compreso lo stoccaggio provvisorio, prevedendosi poi (art. 26) come reati le attività svolte senza l'autorizzazione.

Le suddette competenze e la connessa emanazione di norme tecniche sono correttamente volte a definire i principi di massima e i criteri generali da osservarsi nel settore per assicurare le indefettibili esigenze di uniformità alle quali deve ispirarsi la tutela dell'ambiente e della salute.

4. - Con l'art. 6, in adempimento anche delle direttive comunitarie le quali demandano agli stati membri di stabilire le autorità incaricate, in una determinata zona, di programmare, organizzare e controllare le operazioni di smaltimento dei rifiuti (art. 5 direttiva n. 75/442, art. 6 direttiva n. 78/319), si conferma la competenza regionale in materia già trasferita con l'art. 101 del d.P.R. n. 616 del 1977 e si demanda tra l'altro, alle regioni il rilascio delle autorizzazioni.

Sempre in attuazione delle direttive C.E.E., all'art. 16, si stabilisce che per il rilascio dell'autorizzazione, anche per lo stoccaggio provvisorio, deve essere accertata la rispondenza del sito, dei metodi di trattamento e delle caratteristiche dell'impianto, ai requisiti stabiliti nello stesso d.P.R. e che nella autorizzazione dovranno essere specificati i tipi e i quantitativi massimi trattabili annualmente.

Sia le direttive C.E.E. che il d.P.R. citato, che ad esse ha dato attuazione, escludono pertanto che per le fasi dello smaltimento dei rifiuti tossici e nocivi si possa fare ricorso all'istituto del silenzio-assenso e, cioè, alla autorizzazione tacita.

5. - Anche l'indirizzo giurisprudenziale prevalente è nel senso che, una volta accertata la natura tossica e nociva dei rifiuti, il regime delle attività di smaltimento non può prescindere dalla necessità di una espressa e specifica autorizzazione regionale, come si desume dall'art. 16 del d.P.R n. 915 del 1982.

Non vi è spazio per le autorizzazioni tacite e generiche, sia per la dizione letterale della norma, sia per le finalità da raggiungere, volte ad assicurare che ogni fase si svolga in assoluta sicurezza per la salute e l'ambiente, sulla base di prescrizioni puntuali e specifiche dell'atto di autorizzazione.

Anche l'art. 14 quarto comma, della recente legge n. 241 del 1990 esclude la possibilità del ricorso al silenzio-assenso per le amministrazioni dello Stato preposte alla tutela dell'ambiente, del paesaggio e della salute dei cittadini.

5.1. - La stessa Corte C.E.E. (sent. del 28 febbraio 1991 in causa n. 360/87), ha escluso il ricorso al silenzio-assenso e alla autorizzazione tacita nella analoga materia dell'inquinamento provocato da sostanze pericolose. La esclusione è stata motivata con il rilievo della mancata effettuazione dei controlli necessari prima e dopo il rilascio dell'autorizzazione e dell'accertamento delle condizioni richieste, dalle quali sorgono diritti soggettivi ed obblighi in capo alle parti.

6. - In tale situazione risulta violato l'art. 116 della Costituzione integrato dall'art. 4 della legge Costituzionale 31 gennaio 1963 n. 1 (Statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia) il quale stabilisce che la potestà legislativa regionale si attua in armonia con la Costituzione e con i principi generali dell'ordinamento dello Stato nonché con le norme fondamentali delle riforme economico-sociali e con gli obblighi internazionali dello Stato.

Tra le materie indicate vi è l'urbanistica che, secondo la Regione, comprenderebbe anche la tutela dell'ambiente.

L'art. 5 della suddetta legge costituzionale pone specificamente per la Regione l'obbligo del rispetto dei principi fondamentali stabiliti dallo Stato in alcune materie tra cui l'igiene e la sanità.

Del resto si è già affermato (sent. n. 349 del 1991) che la competenza esclusiva delle Regioni, anche a Statuto speciale, è destinata a cedere di fronte all'attuazione di direttive comunitarie correlata al rispetto degli obblighi internazionali derivanti dal trattato istitutivo della C.E.E. e quindi in relazione alle disposizioni della legge statale direttamente attuativa della normativa comunitaria, nella misura in cui esse si presentano come necessarie al perseguimento della finalità attuativa.

Restano assorbite le censure poste in riferimento agli artt. 3 e 25 della Costituzione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

Dichiara:

A) l'illegittimità costituzionale dell'art. 3, secondo, terzo e quarto comma, e dell'art. 4, quarto comma, della legge regionale del Friuli-Venezia Giulia 4 settembre 1991, n. 41 (Interventi connessi alle varie fasi di smaltimento dei rifiuti speciali, tossici o nocivi ed ulteriori modifiche ed integrazioni alle leggi regionali 7 settembre 1987, n. 30 e 28 agosto 1989, n. 23), nella parte in cui, in materia di rifiuti tossici, sia in regime transitorio che in via definitiva, introducono l'istituto del silenzio-assenso, prevedendo la possibilità di una autorizzazione tacita per l'esercizio dell'attività di stoccaggio provvisorio.

B) la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 7, primo e secondo comma, della legge regionale del Friuli-Venezia Giulia 28 agosto 1989, n. 23 (Ulteriori norme modificative ed integrative delle leggi regionali 7 settembre 1987, n. 30 e 21 gennaio 1989, n. 1, in materia di smaltimento dei rifiuti), in riferimento agli artt. 3, 25 e 116 della Costituzione, sollevata dal Pretore di Udine con ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 giugno 1992.

Giuseppe BORZELLINO, Presidente

Francesco GRECO, Redattore

Depositata in cancelleria il 01/07/1992.