Ordinanza n. 305 del 1992

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ORDINANZA N. 305

ANNO 1992

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-        Dott. Aldo CORASANITI, Presidente

-        Prof. Giuseppe BORZELLINO

-        Dott. Francesco GRECO

-        Prof. Gabriele PESCATORE

-        Avv. Ugo SPAGNOLI

-        Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

-        Prof. Antonio BALDASSARRE

-        Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-        Avv. Mauro FERRI

-        Prof. Luigi MENGONI

-        Prof. Enzo CHELI

-        Dott. Renato GRANATA

-        Prof. Giuliano VASSALLI

-        Prof. Francesco GUIZZI

-        Prof. Cesare MIRABELLI

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 443, terzo comma, del codice di procedura penale promosso con ordinanza emessa il 16 dicembre 1991 dalla Corte di Assise di Appello di Trento nel procedimento penale a carico di Paolo Turco, ed altro iscritta al n. 87 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10, prima serie speciale dell'anno 1992;

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 20 maggio 1992 il Giudice relatore Enzo Cheli;

RITENUTO che nel processo d'appello instaurato con ricorso del Procuratore Generale presso la Corte d'appello di Trento, avverso la sentenza di condanna emessa nei confronti di Turco Paolo e Conci Antonio a seguito di giudizio abbreviato dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Trento, la Corte d'assise d'appello di Trento, con ordinanza del 16 dicembre 1991 (R.O. n.87 del 1992), ha dichiarato rilevante e non manifestamente infondata - in riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione, e in relazione alla direttiva n.3 della legge-delega 16 febbraio 1987 n. 81 - la questione di legittimità costituzionale dell'art.443, terzo comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui, non consentendo al pubblico ministero di proporre impugnazione avverso la sentenza emessa al termine del rito abbreviato, prevedrebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra accusa e difesa, "malgrado la parità sancita nella direttiva n. 3 della legge delega";

che nel giudizio davanti a questa Corte ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata;

CONSIDERATO che questa Corte, con la sentenza n. 363 del 1991, ha già dichiarato non fondata la questione di costituzionalità, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dell'art. 443, terzo comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui, non consentendo al pubblico ministero di proporre impugnazione avverso le sentenze di condanna emesse al termine del giudizio abbreviato, contrasterebbe con il principio della parità processuale tra accusa e difesa;

che la questione sollevata nel presente giudizio, anche se prospettata in riferimento a parametri diversi rispetto a quelli esaminati nella sentenza n. 363 del 1991, conduce comunque a dover valutare se il limite all'appellabilità delle sentenze da parte del pubblico ministero previsto nella norma impugnata leda o meno il principio della parità processuale delle parti;

che, nella motivazione della sentenza n.363, la Corte ha ribadito che "il principio della parità fra accusa e difesa non comporta necessariamente l'identità tra i poteri processuali del pubblico ministero e quelli dell'imputato e del suo difensore" e che la previsione di un diverso trattamento riservato al pubblico ministero, per essere conforme a Costituzione, deve trovare "una ragionevole motivazione" nella sua peculiare posizione istituzionale, nella funzione ad esso attribuita e nelle esigenze di una corretta amministrazione della giustizia;

che, con specifico riferimento alla norma impugnata, la Corte ha affermato che il limite all'appellabilità in essa previsto non contrasta con i richiamati canoni di ragionevolezza, dal momento che esso "trova fondamento, da un lato, nell'obiettivo primario di una rapida e completa definizione dei processi svoltisi in primo grado secondo il rito abbreviato, dall'altro, nella circostanza che la sentenza di condanna emessa in primo grado sulla base di tale rito segna comunque la realizzazione della pretesa punitiva fatta valere nel processo attraverso l'azione intrapresa dal pubblico ministero";

che, pertanto, anche a prescindere dall'esame della disciplina contenuta nella direttiva n. 53 della legge-delega n. 81 del 1987 - che impone la previsione di limiti all'appellabilità delle sentenze emesse al termine del giudizio abbreviato - la questione sollevata nel presente giudizio deve essere dichiarata manifestamente infondata, dal momento che le richiamate argomentazioni, contenute nella sentenza n. 363 del 1991, conducono ad escludere la lesione del principio di parità processuale da parte della norma impugnata anche in relazione alla direttiva n. 3 della legge-delega.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte Costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 443, terzo comma, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione, e in relazione all'art. 2 n. 3 della legge 16 febbraio 1987, n, 81 (Delega al Governo della Repubblica per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale), dalla Corte di assise d'appello di Trento con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15/06/92.

Aldo CORASANITI, Presidente

Enzo CHELI, Redattore

Depositata in cancelleria il 24/06/92.