Sentenza n. 64 del 1992

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SENTENZA N. 64

ANNO 1992

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Dott. Aldo CORASANITI,Presidente

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 61, secondo comma, della legge 11 luglio 1980, n. 312 (Nuovo assetto retributivo-funzionale del personale civile e militare dello Stato), promosso con ordinanza emessa il 1° febbraio 1991 dal Tribunale di Catania nel procedimento civile vertente tra Santo Scollo ed altra e Ministro della pubblica istruzione iscritta al n.451 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27, prima serie speciale, dell'anno 1991.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 4 dicembre 1991 il Giudice relatore Gabriele Pescatore.

Ritenuto in fatto

 

1. Il Tribunale di Catania, nel corso di un giudizio promosso contro il ministero della pubblica istruzione ed un insegnante, dai genitori di un alunno di un istituto tecnico commerciale per geometri, per ottenere il risarcimento dei danni conseguenti a lesioni riportate dal minore durante l'orario scolastico, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 28 Cost., dell'art. 61 della l. 11 luglio 1980, n.312.

Tale articolo - dopo avere disposto che la responsabilità patrimoniale del personale direttivo, docente, educativo e non docente nella scuola materna, elementare, secondaria ed artistica dello Stato e delle istituzioni educative statali, per danni arrecati direttamente all'amministrazione in connessione a comportamenti degli alunni, è limitata ai soli casi di dolo o colpa grave nell'esercizio della vigilanza sugli alunni stessi, e che tale limitazione si applica anche alla responsabilità verso l'amministrazione che risarcisca il terzo dei danni subiti per comportamento degli alunni sottoposti alla vigilanza - stabilisce che, "salvo rivalsa nei casi di dolo o colpa grave, l'amministrazione si surroga al personale medesimo nelle responsabilità civili derivanti da azioni giudiziarie promosse da terzi".

Secondo il giudice a quo, quest'ultima disposizione, sancendo un esonero dalla responsabilità diretta per il personale scolastico, violerebbe l'art.28 Cost. che tale responsabilità prevede, creando "per detto personale una vera e propria area di franchigia".

Nell'ordinanza di rimessione si deduce che l'art. 28 della Costituzione, innovando rispetto al vecchio ordinamento, ha consacrato il principio della responsabilità diretta dei pubblici impiegati nei confronti dei terzi, parallelamente a quella dell'amministrazione, realizzando una evoluzione in senso garantista del regime previgente, nel quale gli agenti dell'amministrazione rispondevano direttamente verso i terzi solo per gli atti compiuti dolosamente.

La disposizione impugnata, viceversa, avrebbe eliminato la responsabilità solidale del pubblico dipendente e della pubblica amministrazione, innovando radicalmente rispetto alla normativa che in precedenza disciplinava la responsabilità per danni cagionati a terzi inquello specifico settore del pubblico impiego che è il set Infatti, in forza del rinvio operato dall'art. 139 del d.P.R. n.417 del 1974, la disciplina al riguardo era quella del T.U. 10 gennaio 1957, n. 3, che all'art. 22, coerentemente al principio enunciato nell'art. 28 della Costituzione, affermava per gli impiegati civili dello Stato, in generale, il principio della responsabilità diretta per i danni derivanti da ogni violazione dei diritti del terzo, commessa con dolo o colpa grave:responsabilità concorrente con quella della pubblica amministrazione.

Un'interpretazione giurisprudenziale eccessivamente rigoristica aveva riconnesso la responsabilità dell'insegnante non alla prova positiva dell'omissione della vigilanza (essendo la colpa presunta), ma alla mancata dimostrazione di aver adottato in via preventiva le misure organizzative e disciplinari idonee ad evitare la situazione di pericolo favorevole all'insorgenza del danno.

Il legislatore - secondo il giudice a quo - per ovviare a tale rigorismo, emanando la norma impugnata avrebbe dettato una disciplina di dubbia legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 28 Cost..

Nel giudizio così promosso è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, col patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.

Nell'atto d'intervento viene sottolineato che l'art. 28 Cost. consente specifiche discipline che, in dati settori, introducano regole particolari e diverse rispetto ai principi comuni in materia.

La normativa dettata dall'art. 61 della l. n. 312 del 1980, pur assicurando "una più contenuta responsabilità per fatto illecito del personale scolastico", avrebbe riconosciuto un'adeguata tutela al danneggiato, in forza della responsabilità diretta della pubblica amministrazione.

Conseguentemente, nessun contrasto sarebbe ipotizzabile con le prescrizioni dell'art. 28 Cost..

Considerato in diritto

 

1. Questa Corte è chiamata a decidere se l'art. 61, secondo comma, della legge 11 luglio 1980, n. 312 - nella parte in cui stabilisce che, salvo rivalsa nei casi di dolo o colpa grave, l'amministrazione si surroga al personale scolastico nelle responsabilità civili derivanti da azioni giudiziarie promosse da terzi - contrasti con l'art. 28 Cost., sancendo, per il personale scolastico, un esonero dalla responsabilità diretta, non consentito dallo stesso art. 28, in base al quale i funzionari ed i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti e in tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli altri enti pubblici.

2. La questione non è fondata.

Secondo l'interpretazione di questa Corte, l'art. 28 della Costituzione stabilisce la responsabilità diretta per violazione di diritti tanto dei dipendenti pubblici per gli atti da essi compiuti, quanto dello Stato o degli enti pubblici, rimettendone la disciplina dei presupposti al legislatore ordinario (cfr. in proposito le sentenze n. 18 del 1989, n. 26 del 1987, n. 148 del 1983, n. 123 del 1972). Ciò comporta che il legislatore può legittimamente emanare norme che limitano la responsabilità diretta dei pubblici dipendenti, anche escludendola in relazione a determinate situazioni oggettive o soggettive (cfr. le sentenze n. 18 del 1989 e n. 2 del 1968).

Il precetto costituzionale - frutto di un travagliato dibattito dell'Assemblea costituente - ha modificato l'indirizzo della giurisprudenza e della dottrina anteriore alla Costituzione; secondo tale indirizzo, per gli atti compiuti dal pubblico dipendente in violazione di diritti, era responsabile verso i terzi la pubblica amministrazione, salvo che ricorresse il dolo (poichè questo, secondo quell'indirizzo, provocando la rottura del rapporto d'identificazione tra l'ente e la persona titolare dell'ufficio, veniva ad escludere la riferibilità dell'atto alla pubblica amministrazione, con conseguente imputazione personale e responsabilità diretta dell'agente).

Ai fini della presente questione, non è necessario percorrere la lunga evoluzione, che, muovendo dalla distinzione tra atti jure publico o privato e, poi, tra attivincolatie discrezionali, giunse all'affermazione della responsabilità della p.a. per il danno derivante dalla lesione di beni della vita protetti, nei confronti di essa, da norme di relazione: danno ingiusto che non consente diversità di trattamento della condotta dell'amministrazione rispetto a quella del privato. Di fronte a tendenze che, per reprimere l'iniuria avevano fatto ricorso anche a titoli obiettivi di responsabilità o al principio dell'inscindibilità tra sacrificio e risarcimento, fu la giurisprudenza ad affermare l'esigenza del requisito della colpa come base del diritto al ristoro, colpa che, in quanto riferibile all'amministrazione, deve essere in ogni caso perseguibile.

In questa linea, l'art. 28 della Costituzione ha inteso in primo luogo affermare, a maggior garanzia della legalità dell'azione amministrativa e a miglior tutela dei cittadini, la responsabilità "diretta" dei pubblici dipendenti e della pubblica amministrazione per gli atti compiuti in violazione di diritti. In secondo luogo, con il riferimento alle leggi ordinarie per la configurazione di tale responsabilità, ha inteso attribuire al legislatore una discrezionalità che, tenendo conto della complessità delle esigenze e degl'interessi a confronto, gli consentisse sia di limitare la responsabilità diretta dei pubblici dipendenti in relazione all'elemento psicologico, sia di escluderla, in riferimento a determinate fattispecie, per talune particolari categorie di soggetti tenuti.

Statuendo, infine, che, nei casi in cui vi è responsabilità diretta dei pubblici dipendenti, questa "si estende allo Stato e agli enti pubblici", ha inteso stabilire che in detti casi non può essere esclusa la responsabilità diretta anche della pubblica amministrazione.

Con tale ultima statuizione, peraltro, il precetto costituzionale non ha vincolato il legislatore ad escludere la responsabilità della pubblica amministrazione ove non sussista la responsabilità del pubblico dipendente: anzi - tenuto conto che la ratio dell'art. 28 è quella di rafforzare, oltre che la legalità dell'azione amministrativa, la tutela dei privati contro gli atti illeciti della pubblica amministrazione - deve ritenersi implicito nel suo complessivo contenuto che la legittimità delle norme, esclusive o limitative della responsabilità diretta dei pubblici dipendenti, va valutata anche tenendo conto della contestua della responsabilità diretta della pubblica amministrazione.

3. L'affermazione, in linea di principio, della responsabilità dell'agente dello Stato e degli enti pubblici non esclude la possibilità che, nei confronti dell'agente, siano previste regole particolari e differenziate, rispetto ai principi comuni.

Dunque, per i pubblici dipendenti il risarcimento del danno ingiusto può essere oggetto di regole generali ovvero di discipline particolari, relative a determinate categorie (più o meno vaste) di pubblici dipendenti: tipi di normative che ricorrono nei confronti degli impiegati civili dello Stato e (nell'ambito di questa categoria) degli insegnanti per culpa in vigilando ad essi ascrivibile.

La responsabilità degl'impiegati dello Stato verso la pubblica amministrazione ed i terzi, è regolata dagli artt. 18 e segg. del d.P.R.10 gennaio 1957, n. 3.

L'art. 22, primo comma, di tale d.P.R. dispone che l'impiegato il quale, "nell'esercizio delle attribuzioni ad esso conferite dalla legge o dai regolamenti cagioni ad altri un danno ingiusto" è personalmente obbligato a risarcirlo. L'art. 23, primo comma, precisa che "è danno ingiusto, agli effetti previsti dall'art. 22, quello derivante da ogni violazione dei diritti dei terzi che l'impiegato abbia commesso per dolo o per colpa grave". Restano però salve "le responsabilità più gravi previste dalle leggi vigenti". L'azione di risarcimento nei confronti dell'impiegato statale (art. 22, primo comma) può "essere esercitata congiuntamente con l'azione diretta nei confronti dell'amministrazione, qualora in base alle norme ed ai principi vigenti nell'ordinamento giuridico, sussista anche la responsabilità dello Stato". Nel caso in cui, in conseguenza dell'azione diretta, l'amministrazione abbia risarcito il danno, è prevista azione di rivalsa contro il dipendente (art. 22, secondo comma e 18, primo comma).

In base a questa normativa, di regola, gl'impiegati statali sono responsabili verso i terzi per gli atti compiuti in violazione di diritti, soltanto ove abbiano agito con dolo o colpa grave; con la loro responsabilità concorre quella dello Stato; quando non ricorra dolo o colpa grave, gli impiegati statali non rispondono verso i terzi. La giurisprudenza, applicando la regola secondo la quale la lesione del principio del neminem laedere è idonea a generare responsabilità, ne ha dedotto, in caso di colpa lieve, la responsabilità diretta dello Stato, avendo esso agito attraverso il dipendente.

In mancanza di norme speciali, le disposizioni del d.P.R. n. 3 del 1957 sono applicabili anche in materia di responsabilità civile del personale insegnante delle scuole pubbliche statali, in base all'art. 384 di tale d.P.R..

La giurisprudenza, tuttavia, con interpretazione consolidata, aveva affermato che - facendo salve l'art. 23 del d.P.R. n. 3 del 1957 "le responsabilità più gravi previste dalle leggi vigenti" - gl'insegnanti e lo Stato dovessero rispondere del danno cagionato a terzi dal fatto illecito degli alunni delle scuole statali, in base alla presunzione di responsabilità sancita dall'art. 2048 cod. civ., il cui funzionamento non era impedito dalle disposizioni limitative della responsabilità previste dal d.P.R. n. 3 del 1957. Ne derivava l'applicabilità agl'insegnanti statali, in materia di culpa in vigilando, della regola stabilita dall'ultimo comma della norma ora ricordata del codice civile, secondo la quale la liberazione della responsabilità poteva conseguire soltanto dalla prova "di non avere potuto impedire il fatto".

Il consolidarsi di questa interpretazione aveva inciso in modo particolarmente oneroso sulla posizione degl'insegnanti statali, i quali,oltre che per la responsabilità regolata dal d.P.R. n. 3 del 1957 - ad essi applicabile in relazione a tutte le attività inerenti al loro ufficio, diverse dalla "vigilanza" sugli alunni - erano tenuti anche per responsabilità per culpa in vigilando, secondo la rigorosa disciplina civilistica, caratterizzata dal principio di risarcibilità anche in caso di sussistenza di particolari situazioni di rischio.

4. Dagli atti parlamentari risulta che ratio dell'art. 61 della legge n. 312 del 1980 è la riconduzione della responsabilità degl'insegnanti statali per culpa in vigilando entro limiti ritenuti dal legislatore più equi e confacenti, rispetto alla regola, per essi fino ad allora vigente, posta dall'art. 2048 cod. civ..

A tal fine l'art. 61 ha stabilito (primo comma) che la responsabilità patrimoniale del personale direttivo, docente, educativo e non docente della scuola materna, elementare, secondaria ed artistica dello Stato e delle istituzioni educative statali, per danni arrecati direttamente all'amministrazione, in connessione a comportamenti degli alunni, è limitata ai soli casi di dolo o colpa grave nell'esercizio della vigilanza sugli alunni stessi. Detta limitazione "si applica anche alla responsabilità del predetto personale verso l'amministrazione che risarcisca il terzo dei danni subiti per comportamenti degli alunni sottoposti alla vigilanza. Salvo rivalsa nei casi di dolo o colpa grave, l'amministrazione si surroga al personale medesimo nelle responsabilità civili derivanti da azioni giudiziarie promosse da terzi" (art.61, secondo comma).

In base a tale normativa, limitatamente alla materia di responsabilità per culpa in vigilando, gl'insegnanti statali cessano di essere legittimati personalmente verso i terzi, nei cui confronti risponde invece l'amministrazione, sulla quale gravano in via diretta le "responsabilità civili derivanti da azioni giudiziarie promosse da terzi".

Lo Stato potrà rivalersi sugl'insegnanti ove il difetto di vigilanza sia ascrivibile a dolo o colpa grave e, in tali ipotesi, potrà anche agire contro essi per i danni arrecatigli direttamente dal comportamento degli alunni.

Questo essendo il contenuto della norma impugnata, deve ritenersi che essa non violi l'art. 28 Cost., il quale, come si è già rilevato, consente al legislatore sia di limitare la responsabilità diretta dei pubblici dipendenti in relazione all'elemento psicologico, sia di escluderla, in determinate fattispecie, ferma rimanendo la responsabilità della p.a.,in base ai principi.

Al riguardo va considerato che, pur dopo l'entrata in vigore dell'art. 61 della legge n. 312 del 1980, la responsabilità degl'insegnati statali verso i terzi per gli atti compiuti in violazione di diritti, continua ad essere regolata, in via generale, dal d.P.R. n. 3 del 1957 il quale (per effetto dell'art.384 diquesto testo unico) resta applicabile a tutte le ipotesi di degl'insegnanti che non siano inquadrabili nella categoria della culpa in vigilando; in relazione a questa soltanto l'art. 61 ha escluso la responsabilità diretta, sostituendovi quella dello Stato. Di conseguenza, nei confronti degli insegnanti statali, ricorre un sufficiente margine di operatività del regime generale, sia per quanto concerne la legittimazione diretta sia per quanto concerne l'oggetto del risarcimento.

Trattasi, dunque, di una esclusione di responsabilità limitata a determinate fattispecie; come tale, consentita dall'art. 28 Cost., secondo valutazioni rimesse alla discrezionalità legislativa la quale, in aderenza alla ratio di detto precetto costituzionale, ha apprestato con l'art. 61 della l. n. 312 del 1980 idonea garanzia al diritto dei terzi al risarcimento dei danni, attraverso la previsione della responsabilità diretta dell'amministrazione in relazione alle fattispecie riguardo alle quali è stata esclusa l'azione diretta nei confronti degl'insegnanti, mentre questi continuano a rispondere in via diretta nelle ipotesi diverse da quelle connesse alla culpa in vigilando.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.61, secondo comma, della legge 11 luglio 1980, n. 312 (Nuovo assetto retributivo-funzionale del personale civile e militare dello Stato), sollevata dal Tribunale di Catania, in riferimento all'art.28 della Costituzione, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 05/02/92.

Aldo CORASANITI, Presidente

Gabriele PESCATORE , Redattore

Depositata in cancelleria il 24 febbraio del 1992.