Sentenza n. 29 del 1992

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SENTENZA N. 29

ANNO 1992

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Dott. Aldo CORASANITI, Presidente

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Cesare MIRABELLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 482, primo comma, e 382, primo comma, del codice di procedura penale del 1930 promosso con ordinanza emessa il 30 aprile 1991 dal Tribunale di Trapani nel procedimento penale a carico di Cizio Giuseppe ed altro, iscritta al n. 512 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 33, prima serie speciale, dell'anno 1991.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 18 dicembre 1991 il Giudice relatore Mauro Ferri.

Ritenuto in fatto

 

1. Con ordinanza emessa il 30 aprile 1991 il Tribunale di Trapani ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dell'art. 482, primo comma - in relazione all'art. 382, primo comma - del codice di procedura penale abrogato, nella parte in cui, nel caso di proscioglimento dell'imputato da reato punibile a querela della persona offesa, impone di condannare il querelante al pagamento delle spese processuali anticipate dallo Stato anche in assenza di colpa del querelante stesso.

2. Il giudice a quo - premesso che nel caso sottoposto al suo esame il proscioglimento degli imputati dal reato di diffamazione a mezzo stampa consegue al riconoscimento del legittimo esercizio del diritto di critica garantito dall'art. 21 Cost., e quindi con la formula "perchè il fatto non costituisce reato" - rileva che a siffatta pronuncia dovrebbe inevitabilmente conseguire la condanna del querelante al pagamento delle spese processuali in quanto, dal combinato disposto degli artt.482 e 382 dall'abrogato codice di rito, ed eccettuati i casi di proscioglimento per perdono giudiziale o per altra causa estintiva sopravvenuta alla querela, non è consentita alcuna valutazione del suo comportamento.

Al querelante, pertanto, andrebbe addossata la responsabilità per le spese quand'anche non sia ravvisabile nei suoi confronti alcun profilo di colpa.

Il Tribunale di Trapani rammenta che già con le sentenze n.284 (rectius: n. 165) del 1974 e n. 52 del 1975 questa Corte ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale delle norme in questione, individuando la ratio unitaria delle ipotesi di esenzione del querelante dalla responsabilità per le spese nel fatto che "l'assoluzione dell'imputato derivi da circostanze non riconducibili al querelante, cui nessuna colpa può essere addebitata", e riconoscendo che contrastava col principio di eguaglianza la mancata considerazione di quegli altri casi allora sottoposti al suo esame (proscioglimento del non imputabile per incapacità di intendere e di volere, querela contro ignoti per reato realmente verificatosi) rispetto ai quali era ravvisabile la medesima ratio.

Ad avviso del remittente, però, detto intervento non può ritenersi risolutivo degli accennati profili di incostituzionalità; in particolare, l'equiparazione fra l'obbligo al pagamento delle spese incombente sull'imputato riconosciuto colpevole e l'identico obbligo del querelante, nel caso di assoluzione del primo, apparirebbe irragionevole e contrastante con il principio di eguaglianza poichè assoggetta alla medesima disciplina, per l'aspetto in esame, due situazioni radicalmente differenti: quella di chi viene condannato a seguito di giudizio necessariamente esteso alla colpevolezza e quella di chi, invece, si vede addossata una responsabilità di ordine patrimoniale prescindendo del tutto da ogni considerazione sulla colpa.

Inoltre, il criterio dell'automaticità della condanna del querelante alle spese (salve le tassative eccezioni prima rammentate) evidenzierebbe un ulteriore profilo di irragionevolezza nella parte in cui, escludendo ogni valutazione del comportamento di chi ha esercitato il diritto di querela, impone di addossare egualmente l'onere delle spese processuali tanto al querelante avventato o temerario quanto a quello cui nessun addebito del genere possa muoversi.

A ciò deve aggiungersi, ad avviso del remittente, un ulteriore profilo di illegittimità costituzionale, in riferimento all'art.24 della Costituzione, emergente dal fatto che la persona offesa da un reato perseguibile a querela viene a trovarsi esposta al rischio di responsabilità patrimoniale per circostanze a lui estranee; il che importerebbe un'indebita ed ingiustificata compressione del diritto di agire in giudizio per la difesa dei propri diritti.

Infine, i dubbi di illegittimità delle norme denunciate si prospetterebbero ancor più fondati a seguito dell'entrata in vigore del nuovo codice di rito penale, nel quale gli artt. 542 e 427, pur mantenendo fermo il criterio dell'automatismo assoluzione-condanna de spese, hanno ristretto le ipotesi di condanna ai soli casi di assoluzione perchè il fatto non sussiste o perchè l'imputato non l'ha commesso; con esclusione, quindi della responsabilità per le spese nel caso di assoluzione con formula "perchè il fatto non costituisce reato".

Questa nuova e diversa normativa introdurrebbe quindi un ulteriore profilo di irragionevole disparità di trattamento tra vari querelanti a seconda che i relativi processi vengano celebrati - per ragioni casuali, anche indipendenti dal tempo di presentazione della querela - applicando l'una o l'altra disciplina processuale.

3. É intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'infondatezza della sollevata questione.

Ritiene l'Avvocatura che i richiami alle due sentenze con le quali questa Corte ha già dichiarato la parziale incostituzionalità dell'art.382 del codice di procedura penale abrogato non siano conferenti.

In quelle ipotesi la condotta del querelante non era meritevole di essere sanzionata, mentre nel caso in esame non sarebbe comprensibile per quali motivi il querelante risulterebbe esente da colpa. Ad avviso della difesa del governo, infatti, la responsabilità del querelante discenderebbe proprio dall'aver omesso di prendere in considerazione, prima di formulare l'istanza punitiva, la sussistenza a favore degli imputati di quel diritto di critica costituzionalmente garantito ed i cui parametri sono sufficientemente ben definiti.

Considerato in diritto

 

1. Il Tribunale di Trapani ritiene che il principio di eguaglianza ed il diritto di difesa, garantiti dagli artt. 3 e 24 della Costituzione, siano violati dalle disposizioni previste dagli artt. 482, primo comma, e 382, primo comma, del codice di procedura penale del 1930, nelle parti in cui prevedono la condanna del querelante alle spese del procedimento anticipate dallo Stato anche in assenza di colpa del querelante stesso; vale a dire, per quanto riguarda il giudizio a quo, nell'ipotesi di proscioglimento dell'imputato perchè il fatto non costituisce reato.

2. In primo luogo il giudice remittente, premesso che nel caso sottoposto al suo esame si impone il proscioglimento degli imputati dal reato di diffamazione a mezzo stampa per l'esistenza di una causa di giustificazione, sostiene che l'applicazione della norma impugnata comporterebbe una irragionevole equiparazione, sotto il profilo della responsabilità patrimoniale, del querelante avventato o temerario al querelante cui nessun addebito possa muoversi.

Sotto questo profilo la questione è fondata

Questa Corte ha già avuto occasione di rilevare (v. sent. n.165 del 1974 e n.52 del 1975) che le indicate disposizioni, nel sancire, anche al fine di evitare liti temerarie, la responsabilità del querelante per il pagamento delle spese processuali nel caso di proscioglimento dell'imputato, stabiliscono alcune eccezioni rette da una ratio unitaria, che è quella di esentare dalla detta responsabilità chi ha esercitato il diritto di querela allorquando l'assoluzione dell'imputato derivi da circostanze non riconducibili al querelante stesso al quale, quindi, nessuna colpa può essere addebitata: "Ove ricorrano tali estremi - ha dichiarato la sentenza n. 52 del 1975 - contrasta con il principio di eguaglianza la norma giuridica, come quella denunciata, che egualmente imponga la condanna alle spese processuali".

Anche nell'ipotesi in esame si realizza una simile situazione.

Invero la formula di proscioglimento "perchè il fatto non costituisce reato" deve essere adottata quando, pur affermandosi l'esistenza del fatto nella sua materialità, manchi l'elemento soggettivo del dolo o della colpa, ovvero quando sussista una causa di giustificazione: circostanze tutte il cui accertamento non è in alcun modo riconducibile al querelante; nè la sussistenza delle medesime può essere ritenuta sintomo di una avventatezza o temerarietà della querela, tant'è che detta formula, in linea generale, non è preclusiva dell'azione civile, ben potendo il fatto lamentato non costituire illecito penale ma costituire invece illecito civile.

Val la pena di sottolineare che nel nuovo codice di procedura penale del 1988 il legislatore (seguendo alcune indicazioni contenute nelle citate sentt. nn. 165 del 1974  e 52 del 1975 di questa Corte) ha già adottato la medesima soluzione eliminando la formula di proscioglimento in questione dal novero delle ipotesi che comportano la condanna del querelante alle spese del procedimento.

Sussiste quindi il lamentato contrasto in ordine all'art. 3 della Costituzione mentre rimane assorbita la questione proposta in riferimento all'art. 24 della Costituzione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale degli artt. 382, primo comma, e 482, primo comma, del codice di procedura penale del 1930, nella parte in cui prevedono la condanna del querelante alle spese del procedimento anticipate dallo Stato, anche nell'ipotesi di proscioglimento dell'imputato perchè il fatto non costituisce reato.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22/01/92.

Aldo CORASANITI, Presidente

Mauro FERRI, Redattore

Depositata in cancelleria il 3 febbraio del 1992.