Ordinanza n. 22 del 1992

 CONSULTA ONLINE 

 

ORDINANZA N. 22

ANNO 1992

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Dott. Aldo CORASANITI, Presidente

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Cesare MIRABELLI

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma ventinovesimo, della legge 17 febbraio 1985, n. 17, (Conversione con modificazioni in materia di IVA e di imposte sul reddito e disposizioni relative all'Amministrazione finanziaria) promosso con ordinanza emessa il 10 dicembre 1990 dalla Commissione tributaria di primo grado di Alessandria sui ricorsi riuniti proposti da Contorno Saverio contro l'Ufficio IVA di Alessandria iscritta al n. 494 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 33, prima serie speciale, dell'anno 1991;

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udito nella camera di consiglio del 18 dicembre 1991 il Giudice relatore Renato Granata;

Ritenuto che, con ordinanza del 10 dicembre 1990, la Commissione tributaria di primo grado di Alessandria, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità di taluni avvisi di accertamento in rettifica operati dal locale Ufficio I.V.A. ai sensi dell'art. 2 n. 29 della l. 17 febbraio 1985 n. 17, ha dubitato della costituzionalità della norma suddetta nella parte in cui questa consente all'Amministrazione di rettificare le dichiarazioni dei contribuenti in regime forfettario - anche "indipendentemente da quanto stabilito nell'art. 39 del dPR 1973 n. 600 e negli artt. 54, 55 d.P.R. 1972 n.633" e, cioè, pur quando non risultino infedeltà di tali dichiarazioni o mancata emissione di fatture - "determinando induttivamente l'ammontare dei ricavi, in misura superiore a quella dichiarata, sulla base di presunzioni desunte da uno o più degli elementi" nella stessa disposizione elencati, quali "dimensione ed ubicazione dei locali destinati all'esercizio, beni strumentali impiegati, numero, qualità e retribuzione degli addetti..";

che, ad avviso del giudice a quo, l'eccessiva astrattezza dei dati sui quali nella specie si fonda l'accertamento induttivo, e l'assenza in essi dei requisiti di "gravità, precisione e concordanza" richiesti dall'art.2729 cod. civ. in tema di presunzioni, lascerebbero appunto inferire la vulnerazione dei precetti della capacità contributiva e di progressività dell'imposta (art.53, comma primo e secondo, Cost.), dell'art.24 (per la estrema difficoltà che avrebbe il contribuente di superare una presunzione siffatta), dell'art.3 (per l'arbitraria discriminazione che ne conseguirebbe ai danni dei lavoratori autonomi, in specie artigiani, in regime forfettario ) e dell'art.4 Cost. (per la negativa incidenza che il denunciato meccanismo impositivo potrebbe avere sullo stesso esercizio del diritto al lavoro);

che di tutte tali questioni l'Avvocatura di Stato, per l'intervenuto Presidente del Consiglio dei ministri, ha eccepito l'inammissibilità, sia sotto il profilo del difetto di motivazione sulla rilevanza, attesa la loro enunciazione in termine di "critica astratta alla disposizione denunciata"; sia in ragione di una sorta di aberratio ictus, nella misura in cui con esse verrebbero addotti motivi di irragionevolezza ascrivibili al provvedimento impositivo più che alla norma in esso applicata.

Considerato che entrambe le riferite eccezioni, il cui esame è ovviamente preliminare, vanno disattese. La prima, perchè - contrariamente a quanto dell'Avvocatura assunto - non mancano nell'ordinanza di rimessione i riferimenti al caso concreto (sia con riguardo all'attività, di "parrucchiere per uomo", svolta dal ricorrente, sia al dato indiziante, "numero degli addetti", nella specie utilizzato per l'accertamento presuntivo del correlativo maggior ricavo), che giustificano la dipendenza della lite di merito dall'esito del giudizio di legittimità. La seconda, perchè - a parte taluni rilievi della Commissione a quo effettivamente riferibili al provvedimento impositivo e perciò ininfluenti in questa sede - il nucleo centrale della censure formulate attinge proprio la norma denunciata;

che, nel merito, la questione è, comunque, sotto ogni profilo, manifestamente infondata;

che infatti - alla luce della costante giurisprudenza di questa Corte che, in relazione al precetto della capacità contributiva, ha più volte ribadito la legittimità del ricorso a presunzioni in materia tributaria "purchè non irragionevoli e fondate su indici concretamente rivelatori di ricchezza" (cfr., da ultimo sent. 103/91; ord.ze 982, 21/88; 586, 334, 221/87), indipendentemente quindi dalla ricorrenza dei requisiti dell'art.2729 c.c., attinente alla formazione della prova nella diversa sfera dei rapporti tra privati (cfr. sent. 283/87) - va, in primo luogo, sicuramente anche nella specie esclusa la pretesa violazione dell'art. 53, co.1, Cost.: per un verso, perchè non irragionevole è la consentita utilizzazione di parametri conoscitivi extracontabili in presenza di scritture semplificate (e che non abbisognano per ciò di essere previamente smentite in forme predeterminate) quali quelle di cui si avvalgono i contribuenti cd. forfettari, destinatari dell'accertamento in oggetto; per altro verso, perchè parimenti non irragionevole è l'assunzione - in base a massime di comune esperienza - dei dati in questione ad indici di significazione (per altro non automatica) di conseguiti ricavi. E senza che la facoltà, riconosciuta all'Amministrazione, di utilizzare (come nella specie) anche uno soltanto dei dati indizianti, possa risolversi - come si assume - in fittizietà dell'imposizione, potendo a sua volta il contribuente, già nella fase procedimentale, introdurre i dati trascurati dal Fisco, e che egli invece ritenga influenti, nel complessivo contesto conoscitivo, in risposta alla "richiesta di chiarimenti" che la stessa norma denunciata impone all'Ufficio di previamente notificargli;

che, parallelamente tale forma anticipata di contraddittorio - unitamente all'obbligo (nella medesima disposizione pure previsto) di "specifica indicazione nell'avviso di accertamento" (anche in funzione ed a supporto del successivo sindacato giurisdizionale) "dei fatti che danno fondamento alla presunzione" - appresta al contribuente una adeguata rete di garanzie che esclude l'ipotizzabilità di alcuna violazione del precetto della difesa;

che manifestamente insussistente è poi anche l'ulteriore profilo di contrasto con l'art. 3 Cost, attesa la già rilevata disomogeneità di posizione ai fini considerati tra contribuenti in regime di contabilità, rispettivamente, ordinaria o semplificata;

che infine i residui parametri di cui agli artt. 53 cpv. e 4 Cost. sono all'evidenza non utilmente nella specie invocati: (quanto al primo) non venendo in discussione criteri di progressività in materia di IVA, che è imposta sui consumatori finali e non sugli imprenditori, e (quanto al secondo) non potendo - per definizione - stabilirsi una contrapposizione tra diritto al lavoro e dovere di concorrere alle spese pubbliche.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 29, della l. 17 febbraio 1985 n.17 (Conversione con modificazioni, del d.l. 19 dicembre 1984 n. 853, recante disposizioni in materia di IVA e di imposte sul reddito e disposizioni relative all'Amministrazione finanziaria) sollevate, in riferimento agli artt. 3, comma primo, 4, 24, 53, comma primo e secondo, Cost., dalla Commissione tributaria di primo grado di Alessandria, con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22/01/92.

Aldo CORASANITI, Presidente

Renato GRANATA, Redattore

Depositata in cancelleria il 24 gennaio del 1992.