Sentenza n. 494 del 1991

 

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SENTENZA N. 494

 

ANNO 1991

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Dott. Aldo CORASANITI                                         Presidente

Prof. Giuseppe BORZELLINO                                   Giudice

Dott. Francesco GRECO                                                 “

Prof. Gabriele PESCATORE                                           “

Avv. Ugo SPAGNOLI                                                    “

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA                               “

Prof. Antonio BALDASSARRE                                     “

Prof. Vincenzo CAIANIELLO                                       “

Avv. Mauro FERRI                                                         “

Prof. Luigi MENGONI                                                    “

Prof. Enzo CHELI                                                           “

Dott. Renato GRANATA                                                “

Prof. Giuliano VASSALLI                                              “

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 4 e 5 della legge 26 settembre 1985, n. 482 (Modificazioni del trattamento tributario delle indennità di fine rapporto e dei capitali corrisposti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita), dell'art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito) e degli artt. 12, 13 e 14 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 (Istituzione e disciplina dell'imposta sul reddito delle persone fisiche) promossi con le seguenti ordinanze:

 

1) ordinanza emessa il 29 novembre 1986 dalla Commissione tributaria di primo grado di Como sui ricorsi riuniti proposti da Leopoldo Corbetta ed altra contro l'Intendenza di Finanza di Como iscritta al n. 386 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell'anno 1991;

 

2) ordinanza emessa il 22 marzo 1991 dalla Commissione tributaria di primo grado di Genova sul ricorso proposto da Antonio Fazzuoli contro l'Intendenza di Finanza di Genova iscritta al n. 417 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, prima serie speciale, dell'anno 1991;

 

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

Udito nella camera di consiglio del 20 novembre 1991 il Giudice relatore Gabriele Pescatore;

 

 

Ritenuto in fatto

 

 

1. - La Commissione tributaria di primo grado di Genova nel corso di un giudizio promosso nel dicembre 1984 - da un dipendente della SIP, collocato in pensione il 30 settembre 1976, il quale chiedeva il parziale rimborso dell'Irpef sull'indennità di fine rapporto - ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 24 e 53 della Costituzione, dell'art. 4 della legge 26 settembre 1985, n. 482, nella parte in cui non prevede la possibilità di chiedere la riliquidazione, entro il termine decennale di prescrizione - secondo i più favorevoli criteri dettati da tale legge - dell'Irpef già pagata.

 

Nell'ordinanza di rimessione si osserva che, a norma dell'art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, l'istanza per il rimborso delle imposte indebitamente pagate con versamento diretto o per trattenuta da parte del sostituto d'imposta, deve essere presentata entro il termine di decadenza di diciotto mesi.

 

L'art. 4 della legge n. 482 del 1985, nell'introdurre un sistema di tassazione, ai fini dell'Irpef, delle indennità di fine rapporto, più favorevole di quello precedente, stabilì che tale sistema si applicasse - con alcune attenuazioni per gli anni dal 1974 al 1982 - anche in tutti i casi in cui fossero pendenti giudizi ritualmente promossi alla data della sua entrata in vigore. Stabilì, inoltre, che tale nuovo sistema si applicasse anche per la riliquidazione dell'imposta versata sulle indennità percepite anteriormente, se a detta data non fosse decorso il termine per la presentazione dell'istanza di cui all'art. 38 del d.P.R. n. 602 del 1973 o, se questa fosse stata presentata anteriormente all'1 gennaio 1982, se non fosse decorso il termine per ricorrere di cui all'art. 37, comma secondo, del d.P.R. n. 602 del 1973, ovvero se, successivamente al 31 dicembre 1981, fosse stata presentata tempestivamente detta istanza.

 

Osserva il giudice a quo che tutte dette ipotesi consentono l'applicazione del regime più favorevole ai soli casi ancora non definiti per il decorso del termine di diciotto mesi di cui al citato art. 38, per cui il ricorso proposto dovrebbe essere rigettato perché tardivo: da qui la rilevanza della questione. Rispetto alla non manifesta infondatezza di essa, nell'ordinanza di rimessione si deduce che sarebbe arbitraria, ingiustificata e lesiva del diritto di difesa l'esclusione della possibilità di chiedere l'applicazione dei benefici della legge n. 482 del 1985 per il mancato rispetto di un termine consumatosi prima della sua emanazione, con conseguente violazione degli artt. 3, 53 e 24 della Costituzione.

 

2. - Con altra ordinanza in data 29 novembre 1986, la Commissione tributaria di primo grado di Como - nel corso di due giudizi riuniti, promossi nell'ottobre 1984 e nel gennaio 1986, rispettivamente da un dipendente della SIP e da un dipendente statale, per ottenere il rimborso dell'Irpef corrisposta sull'indennità di fine rapporto da essi percepita - ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 4 e 5 della legge 26 settembre 1985, n. 482.

 

Ha dedotto che l'art. 4 anzidetto, condizionando la riliquidazione dell'Irpef sulle indennità di fine rapporto percepite prima dell'1 gennaio 1980 (secondo il più favorevole criterio da esso previsto), alla proposizione dell'istanza di restituzione entro diciotto mesi dal pagamento dell'imposta (in base a quanto stabilito dall'art. 38 del d.P.R. n. 602 del 1973), introduce un'irragionevole disparità di trattamento rispetto a coloro che l'hanno percepita dopo l'1 gennaio 1980, ai quali - a norma dell'art. 5 della legge n. 482 del 1985 - l'imposta va in ogni caso riliquidata.

 

Il giudice a quo ha pure sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 5 della legge n. 482 del 1985 - nella parte in cui esclude dalla riliquidazione coloro che hanno percepito l'indennità prima dell'1 gennaio 1980 - deducendo che la suddetta irragionevole disparità di trattamento deriva anche da esso.

 

Per il caso che tali questioni fossero dichiarate inammissibili o infondate, il giudice a quo ha sollevato inoltre questione di legittimità costituzionale dell'art. 4 della legge n. 482 del 1985, dell'art. 38 del d.P.R. n. 602 del 1973 e degli artt. 12, 13 e 14 del d.P.R. n. 597 del 1973 in quanto:

 

a) l'art. 4 della legge n. 482 del 1985 e l'art. 38 del d.P.R. n. 602 del 1973 violerebbero gli artt. 3 e 24 della Costituzione, poiché l'efficacia preclusiva della mancata presentazione dell'istanza ex art. 38 incide gravemente sul diritto di difesa del lavoratore, vanificando il principio generale della prescrizione decennale;

 

b) gli artt. 12, 13 e 14 del d.P.R. n. 597 del 1973 - applicabili alla fattispecie ove si escluda la riliquidazione dell'imposta - violerebbero gli artt. 3 e 53 della Costituzione, non tenendo conto il sistema di tassazione da essi previsto delle caratteristiche proprie delle indennità di fine rapporto, né dell'arco di tempo in cui si è maturato il relativo diritto.

 

Dinanzi a questa Corte, in tale giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o manifestamente infondate.

 

 

Considerato in diritto

 

 

1. - I giudizi promossi con le ordinanze in epigrafe riguardano questioni identiche o strettamente connesse, per cui vanno riuniti per essere decisi con un'unica sentenza.

 

2. - La Corte è chiamata a decidere:

 

a) se l'art. 4 della legge 26 settembre 1985, n. 482 - nella parte in cui non prevede in via generale la possibilità di chiedere, entro il termine decennale della prescrizione ordinaria, la riliquidazione, secondo i più favorevoli criteri da essa adottati, dell'Irpef sulle indennità di fine rapporto già corrisposte - contrasti con gli artt. 3, 24 e 53 della Costituzione, sotto il profilo che sarebbe arbitraria, ingiustificata e lesiva del diritto di difesa l'esclusione della possibilità di usufruire dei benefici della legge n. 482 del 1985, in conseguenza del mancato rispetto del termine di diciotto mesi (previsto dall'art. 38 del d.P.R. n. 602 del 1973) dal versamento dell'imposta per presentare l'istanza di rimborso;

 

b) se detto art. 4 della legge n. 482 del 1985 - condizionando la riliquidazione dell'Irpef sulle indennità di fine rapporto percepite prima dell'1 gennaio 1980 (secondo il più favorevole criterio da esso previsto), alla proposizione dell'istanza di restituzione entro diciotto mesi dal pagamento dell'imposta - violi l'art. 3 della Costituzione, introducendo un'irragionevole disparità di trattamento rispetto a coloro che l'abbiano percepita dopo l'1 gennaio 1980, ai quali (a norma dell'art. 5) l'imposta va "in ogni caso" riliquidata, su richiesta formulata nei modi e nei sensi previsti dal quinto comma;

 

c) se l'art. 5 di detta legge n. 482 del 1985 - nella parte in cui esclude dalla riliquidazione "in ogni caso" coloro che hanno percepito l'indennità prima dell'1 gennaio 1980 - violi l'art. 3 della Costituzione, introducendo a sua volta un'irragionevole disparità di trattamento rispetto a coloro che l'hanno percepita dopo tale data;

 

d) se l'art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, violi gli artt. 3 e 24 della Costituzione, in quanto - prevedendo, in caso di versamento diretto dell'Irpef, che l'istanza di rimborso, per l'inesistenza totale o parziale dell'obbligo di versamento, debba essere presentata dal percipiente delle somme assoggettate a ritenuta, a pena di decadenza, entro diciotto mesi dalla data in cui la ritenuta è stata operata - vanificherebbe il principio generale della prescrizione decennale, nonché il diritto di difesa;

 

e) se gli artt. 12, 13 e 14 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 violino gli artt. 3 e 53 della Costituzione, non tenendo conto il sistema di tassazione da essi previsto delle caratteristiche proprie delle indennità di fine rapporto, né dell'arco di tempo in cui si è maturato il relativo diritto.

 

3. - Deve preliminarmente osservarsi che la legge 26 settembre 1985, n. 482, modificando il trattamento tributario delle indennità di fine rapporto in senso più favorevole ai percettori di esse, è entrata in vigore (art. 9) l'1 ottobre 1985.

 

In deroga al principio (art. 11 disp. att. cod. civ.) secondo il quale le nuove disposizioni da essa poste avrebbero dovuto avere effetto rispetto ai rapporti tributari nascenti da tale data, l'art. 4 contiene talune norme che consentono - in presenza di determinati presupposti e sulla base di un'apposita istanza (regolata dal quinto comma) - l'efficacia retroattiva dei nuovi criteri di tassazione.

 

Esso statuisce, innanzitutto (nel primo comma), che questi "si applicano nei giudizi ritualmente promossi e pendenti alla data di entrata in vigore della legge"; dispone, inoltre, che si applichino per la riliquidazione dell'imposta dovuta sulle indennità già corrisposte "se a tale data non sia decorso il termine per la presentazione dell'istanza di cui all'art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 o, se questa era stata presentata anteriormente all'1 gennaio 1982, non era decorso a tale data il termine per il ricorso di cui al secondo comma dell'art. 37 dello stesso decreto ovvero se, successivamente al 31 dicembre 1981, sia stata presentata tempestivamente la suddetta istanza".

 

Come si legge nella relazione alla Camera dei deputati, allegata al disegno di legge (n. 1973) presentato dal Ministro delle finanze il 30 luglio 1984, in questo modo il legislatore ha esteso l'applicabilità della nuova disciplina anche ai casi in cui il contribuente non avesse ancora iniziato il giudizio dinanzi al giudice tributario, ma avesse tempestivamente esperito le procedure amministrative che ne costituiscono l'indispensabile presupposto (o non fossero decorsi i relativi termini), così da poterlo legittimamente proporre.

 

Poiché il citato primo comma dell'art. 4 si riferisce all'ipotesi in cui l'imposta fosse stata riscossa per "versamento diretto" (pag. 7 della citata relazione), con il successivo comma, di tenore analogo, il beneficio fu esteso anche ai casi in cui l'imposta fosse stata riscossa per "ritenuta diretta" (emendamento governativo 4-8, approvato dalla sesta commissione della Camera nella seduta del 21 marzo 1985).

 

La Camera dei deputati - innovando rispetto al disegno di legge governativo - (nella seduta del 22 maggio 1985), riconobbe l'applicabilità dei nuovi criteri di tassazione (art. 4, terzo comma) anche ai rapporti cessati anteriormente alla data di entrata in vigore della legge "qualora le somme spettanti a titolo d'indennità di fine rapporto non fossero state in tutto o in parte corrisposte".

 

Nella stessa seduta la Camera approvò un'ulteriore estensione del beneficio in questione, statuendo che poteva essere "in ogni caso" riliquidata, ai sensi del primo comma dell'art. 4, a domanda, "l'imposta dovuta sulle indennità e altre somme percepite a decorrere dall'1 gennaio 1983". Tale beneficio fu esteso dal Senato (seduta del 18 luglio 1985) alle indennità percepite dall'1 gennaio 1980, secondo il disposto dell'attuale art. 5 della legge n. 482 del 1985.

 

Emerge da quanto precede che il legislatore, con gli artt. 4 e 5 impugnati dalle ordinanze di rimessione, ha inteso consentire l'efficacia retroattiva, a domanda degli interessati, entro certi limiti, dei nuovi criteri di tassazione introdotti dalla legge n. 482 del 1985.

 

Detta retroattività - come risulta dall'esame dei lavori parlamentari - originariamente doveva riguardare solo i rapporti non ancora definiti, al fine di eliminare in radice il relativo contenzioso, vertente anche sulla legittimità costituzionale della precedente normativa, ma il Parlamento la estese anche a situazioni già definite, con una valutazione di carattere equitativo, volto ad attenuare sperequazioni, astrattamente ammissibili.

 

4. - Ciò premesso - esaminando le questioni nell'ordine logico in cui sono state proposte - va dichiarato innanzitutto non fondato il profilo di legittimità costituzionale dell'art. 4 della legge n. 482 del 1985 sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 53 della Costituzione, in quanto non ha previsto in via generale la possibilità di chiedere, entro il termine decennale di prescrizione ordinaria, la riliquidazione, secondo i più favorevoli criteri da essa adottati, dell'Irpef sulle indennità di fine rapporto già corrisposte.

 

Il legislatore, invero, nella sua discrezionalità e secondo la valutazione - che solo a lui compete - delle disponibilità di bilancio, può legittimamente stabilire la decorrenza dei benefici fiscali che introduce (cfr. da ultimo l'ordinanza n. 272 del 1990 di questa Corte). Né può dirsi irragionevole, o contrastante col diritto di difesa, che la riliquidazione non sia stata estesa, in via di principio, a coloro che, non avendo proposto tempestive impugnazioni contro le trattenute e non essendo più in termini per proporle, avevano lasciato diventare "definitivo" il rapporto con l'amministrazione finanziaria. La inoppugnabilità conseguente, infatti, giustifica il diverso trattamento tributario ed implica che nessuna violazione può esservi del diritto di difesa.

 

Inammissibili, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, vanno invece dichiarate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 4 e 5 della legge n. 482 del 1985, sollevate in quanto attribuiscono "in ogni caso" (e quindi anche in mancanza di tempestiva impugnazione, o della possibilità al momento dell'entrata in vigore della legge di proporla, non essendo scaduti i relativi termini), la facoltà di chiedere la riliquidazione dell'imposta a coloro che hanno percepito l'indennità a decorrere dall'1 gennaio 1980 e non anche a coloro che l'abbiano percepita in precedenza.

 

Come si è detto, tale facoltà è stata attribuita dal legislatore a fini meramente equitativi, valutati in concreto. Essa è perciò espressione di una discrezionalità legislativa, non sorretta, soltanto da criteri strettamente giuridici, ma correlata ad esigenze di opportunità. Rispetto ad esse (ai fini dell'ammissione alla disciplina derogatoria di favore) non può profilarsi la violazione del principio di uguaglianza. Questa Corte, infatti, ha costantemente ritenuto inammissibili questioni volte a censurare la discrezionalità del legislatore in ordine alla concessione di agevolazioni fiscali nonché ai limiti ed alle condizioni di esse, (cfr., da ultimo la sentenza n. 28 del 1988 e le ordinanze n. 113 del 1989 e n. 319 del 1987).

 

Quanto alla questione di legittimità costituzionale dell'art. 38 del d.P.R. n. 602 del 1973, essa è infondata (cfr. ordinanze n. 305 del 1985 e n. 545 del 1987).

 

Al legislatore, infatti, è consentito di determinare, in relazione alle esigenze dei singoli procedimenti, le modalità di esercizio del diritto di difesa (cfr. da ultimo la sentenza n. 543 del 1989), che non è menomato dal sistema previsto dall'art. 38 - il quale stabilisce un termine di decadenza di diciotto mesi per presentare l'istanza di rimborso ove si ritengano non dovute, in tutto o in parte, le imposte pagate con "versamento diretto" - e la facoltà dell'interessato di proporre, contro le decisioni dell'intendente di finanza (ovvero il silenzio-rifiuto conseguente al trascorrere di novanta giorni dalla data dell'istanza senza che sia intervenuta tale decisione) ricorso alle commissioni tributarie, secondo le disposizioni del d.P.R. n. 636 del 1972.

 

Quanto, infine, alla questione, relativa agli artt. 12, 13 e 14 del d.P.R. n. 597 del 1973, attenendo essa al merito dei giudizi a quibus, va dichiarata inammissibile, avendo i giudici remittenti negato la rilevanza di tutte le questioni innanzi esaminate, fondandosi sulla mancata tempestiva proposizione dei ricorsi, di talché si rende inammissibile il loro esame nel merito.

 

 

per questi motivi

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

Riuniti i giudizi:

 

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 4 e 5 della legge 26 settembre 1985, n. 482 (Modificazioni del trattamento tributario delle indennità di fine rapporto e dei capitali corrisposti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita), sollevate, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dalla Commissione tributaria di primo grado di Como con ordinanza 29 novembre 1986;

 

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 12, 13 e 14 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 (Istituzione e disciplina dell'imposta sul reddito delle persone fisiche), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dalla Commissione tributaria di primo grado di Como, con ordinanza 29 novembre 1986;

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dalla Commissione tributaria di primo grado di Como, con ordinanza 29 novembre 1986;

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4 della legge 26 settembre 1985, n. 482 (Modificazioni del trattamento tributario delle indennità di fine rapporto e dei capitali corrisposti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita), sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dalla Commissione tributaria di primo grado di Genova, con ordinanza 22 marzo 1991.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 dicembre 1991.

 

 

Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA - Giuliano VASSALLI.

 

 

Depositata in cancelleria il 27 dicembre 1991.