Sentenza n. 493 del 1991

 

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SENTENZA N. 493

ANNO 1991

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Dott. Aldo CORASANITI                                         Presidente

Prof. Giuseppe BORZELLINO                                   Giudice

Dott. Francesco GRECO                                                 “

Prof. Gabriele PESCATORE                                           “

Avv. Ugo SPAGNOLI                                                    “

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA                               “

Prof. Antonio BALDASSARRE                                     “

Prof. Vincenzo CAIANIELLO                                       “

Avv. Mauro FERRI                                                         “

Prof. Luigi MENGONI                                                    “

Prof. Enzo CHELI                                                           “

Dott. Renato GRANATA                                                “

Prof. Giuliano VASSALLI                                              “

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge regionale approvata il 2 maggio 1991 (Nuove disposizioni per la disciplina dello stato giuridico ed economico del personale dell'Amministrazione regionale e per la contrattazione decentrata a livello regionale) promosso con ricorso del commissario dello Stato per la regione siciliana notificato il 10 maggio 1991, depositato in cancelleria il 17 maggio successivo ed iscritto al n. 24 del registro ricorsi 1991;

Visto l'atto di costituzione della regione Sicilia;

Udito nell'udienza pubblica del 19 novembre 1991 il giudice relatore Enzo Cheli;

Uditi l'Avvocato dello Stato Franco Favara per il ricorrente, e l'avvocato Francesco Castaldi per la regione Sicilia.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con ricorso in data 10 maggio 1991, il commissario dello Stato per la regione siciliana ha impugnato l'art. 1 della legge regionale approvata il 2 maggio 1991 (Nuove disposizioni per la disciplina dello stato giuridico ed economico del personale dell'Amministrazione regionale e per la contrattazione decentrata a livello regionale), nella parte in cui non esclude il personale appartenente alle qualifiche di dirigente superiore e direttore regionale dall'applicazione della normativa ivi contenuta, per violazione dell'art. 14, lett. q), dello statuto regionale, approvato con r.d.lgs. 15 maggio 1946, n. 455, in relazione all'art. 26, secondo comma, della legge 29 marzo 1983, n. 93 (legge-quadro sul pubblico impiego), e dell'art. 97, secondo comma, della Costituzione.

Nel ricorso si espone che la legge impugnata, nel disciplinare lo stato giuridico ed economico del personale della Regione per uniformarlo ai principi della legge-quadro sul pubblico impiego (legge 29 marzo 1983, n. 93), demanda la regolamentazione degli aspetti inerenti all'organizzazione del lavoro ed al trattamento economico di tutto il personale ad accordi sindacali, da recepirsi con decreto del presidente della regione.

Per effetto di tale previsione risulta sottratta alla competenza dell'organo legislativo regionale anche la disciplina concernente il personale dirigente e relativa agli stessi oggetti. Ma questo, a giudizio del ricorrente, determinerebbe una lesione del principio fondamentale che riserva alla legge la disciplina dell'intero trattamento giuridico ed economico dei dirigenti, principio che andrebbe desunto dall'art. 26, quarto comma, della legge-quadro, dove risulta stabilito che "sino all'entrata in vigore della legge di riforma della dirigenza resta disciplinato dalle vigenti disposizioni il trattamento economico e normativo dei dirigenti dello Stato ed assimilati nonché dei dirigenti degli enti di cui alla legge 20 marzo 1975, n. 70".

Tale principio, secondo il ricorrente, dovrebbe trovare applicazione anche nei confronti della dirigenza regionale, per la quale, a parità di funzioni con quella statale, si pone una uguale esigenza di tutela dell'autonomia professionale.

Un ulteriore motivo di gravame viene poi sollevato in relazione al fatto che la legge in questione è stata comunicata al commissario dello Stato il quarto giorno dalla sua approvazione, in quanto il terzo giorno risultava festivo. Il mancato rispetto del termine di tre giorni, di cui all'art. 28 dello statuto regionale, determinerebbe - a giudizio del ricorrente - l'inefficacia dell'intera legge per vizio formale.

2. - Si è costituito in giudizio il presidente della regione siciliana per chiedere il rigetto del ricorso.

Sul vizio procedurale, il presidente della regione, dopo aver osservato che la proroga dei termini scadenti in un giorno festivo al primo giorno seguente non festivo è regola generale, richiama la sentenza di questa Corte n. 365 del 1990, dove è stato escluso che la tardiva comunicazione possa rappresentare un vizio formale della legge.

Nel merito, il presidente della regione afferma che dall'art. 26, quarto comma, della legge-quadro sul pubblico impiego non sarebbe in alcun modo ricavabile un principio generale né tanto meno una norma di riforma economico-sociale, suscettibile di condizionare la competenza legislativa della regione siciliana. La disposizione in questione si caratterizzerebbe, infatti, come norma transitoria, destinata ad operare, con carattere di specialità, fino alla riforma della dirigenza, in quanto espressamente riferita a specifiche categorie di personale, caratterizzate dall'essere oggetto di normative settoriali connesse a ben individuate collocazioni funzionali. Tale disposizione non potrebbe, pertanto, estendersi oltre l'ambito temporale e materiale espressamente indicato e non esprimerebbe, comunque, un principio generale della legge-quadro. La Regione ricorda anche che successivamente all'entrata in vigore della stessa legge-quadro la disciplina della dirigenza è stata demandata ad accordi sindacali sia nel comparto degli enti locali che nella normativa di altre regioni a statuto speciale, in ossequio al principio negoziale che costituirebbe, esso sì, una norma fondamentale della riforma adottata con la legge-quadro sul pubblico impiego.

3. - In prossimità dell'udienza l'Avvocatura generale dello Stato ha presentato, nell'interesse del commissario dello Stato, memoria per ribadire i motivi del ricorso.

 

Considerato in diritto

 

1. - Il commissario dello Stato per la regione siciliana impugna l'art. 1 della legge approvata dall'assemblea regionale siciliana il 2 maggio 1991 con il n. 338, recante "Nuove disposizioni per la disciplina dello stato giuridico ed economico del personale dell'amministrazione regionale e per la contrattazione decentrata a livello regionale", nella parte in cui non esclude dall'applicazione della normativa contenuta nella stessa legge il personale appartenente alla qualifica di dirigente superiore e di direttore generale. L'inclusione di questo personale nell'ambito di operatività della legge - comportando una disciplina mediante accordi sindacali anche dell'organizzazione del lavoro e del trattamento economico dei dirigenti regionali (artt. 3 e 5) - verrebbe a violare, ad avviso del commissario, oltre all'art. 97, secondo comma, della Costituzione, l'art. 14, lett. q), dello statuto speciale in relazione all'art. 26, quarto comma, della legge 24 marzo 1983, n. 93, da cui andrebbe desunto, come norma fondamentale suscettibile di limitare la competenza esclusiva della regione siciliana, un vincolo di riserva di legge per l'intera disciplina concernente il trattamento dei dirigenti regionali.

Il ricorso contesta altresì l'efficacia del disegno di legge nel suo complesso, per essere stato lo stesso comunicato al commissario soltanto il quarto giorno dopo la sua approvazione, in violazione dell'art. 28 dello statuto speciale.

2. - Va in primo luogo esaminata la questione sollevata nei confronti dell'intero disegno di legge per vizio formale conseguente alla sua comunicazione al commissario oltre il termine di tre giorni stabilito nell'art. 28 dello statuto speciale.

Questa Corte, in relazione ad analoga questione, ha già avuto modo di rilevare che "la violazione da parte della regione Sicilia del termine di cui all'art. 28 della statuto speciale altra conseguenza non produce se non che il termine di giorni cinque dato al commissario dello Stato per l'impugnazione della legge regionale decorre dall'ulteriore giorno dell'effettivo invio della legge stessa" (sent. n. 365 del 1990).

Tale indirizzo, che va confermato, conduce a dichiarare l'infondatezza della questione proposta con riferimento all'art. 28 dello statuto speciale, dal momento che la tardiva comunicazione della legge al commissario non può essere motivo sufficiente per affermare l'invalidità e l'inefficacia della legge nel suo complesso.

3. - Anche la questione sollevata nei confronti dell'art. 1 della legge in esame, nella parte in cui non esclude dall'applicazione della nuova normativa il personale appartenente alle qualifiche di dirigente superiore e di direttore generale, non si presenta fondata.

Tale questione risulta, in primo luogo, prospettata in relazione al valore di norma fondamentale di riforma economico-sociale che andrebbe riconosciuto al principio desumibile dall'art. 26, quarto comma, della legge quadro sul pubblico impiego (legge 29 marzo 1983, n. 93), principio che, pertanto, sarebbe suscettibile di vincolare anche la competenza di tipo esclusivo spettante alla regione siciliana in materia di stato giuridico ed economico del personale regionale (art. 14, lett. q, dello statuto speciale).

Ora - a differenza di quanto viene sostenuto dalla difesa della Regione - il fatto che la disposizione contenuta nel quarto comma dell'art. 26 della legge quadro debba essere qualificata - anche in relazione alla sua rubrica ed alla sua collocazione - come transitoria e speciale non conduce necessariamente ad escludere la natura di norma fondamentale nel principio desumibile dalla disposizione in questione, dal momento che anche una disciplina transitoria, ove diretta a realizzare o a favorire, sia pure in via contingente, il perseguimento di un obbiettivo primario connesso ad una legge di riforma, può assumere le caratteristiche proprie della norma fondamentale suscettibile di vincolare l'esercizio delle competenze di natura primaria delle regioni speciali e delle province autonome. E questo, nel quadro della riforma adottata per il pubblico impiego con la legge n. 93 del 1983, può condurre a riconoscere il carattere di norma fondamentale anche al principio desumibile dalla disposizione transitoria espressa nell'art. 26, quarto comma, di tale legge, ove si pensi al rilievo che la nuova disciplina della dirigenza da tale norma preannunciata è destinata ad assumere nell'assetto definitivo dell'intero settore del pubblico impiego. Sennonché da tale principio - pur riconosciutane la piena vigenza anche nei confronti della normazione adottata dalla regione siciliana in tema di pubblico impiego - non è dato poi desumere quel significato che, attraverso il ricorso di cui è causa, il commissario dello Stato ha preteso affermare: il significato, cioè, di una riserva assoluta di legge che, nella fase transitoria, sarebbe destinata a coprire, con pari rigidità, l'intero assetto della dirigenza nei vari settori, statali e non statali, senza alcun margine per discipline di tipo contrattuale.

In realtà, il principio generale che è dato desumere dalla disposizione in esame appare diverso ed attiene esclusivamente al fatto che "sino all'entrata in vigore della legge di riforma della dirigenza" il quadro normativo concernente lo stato giuridico ed economico dei dirigenti - a qualunque amministrazione, centrale o periferica, gli stessi appartengano - non dovrà essere pregiudicato da interventi contingenti o parziali. E questo anche al fine di consentire che la preannunciata legge di riforma della dirigenza (da tempo all'esame del Parlamento), assumendo valore generale, oltre a definire la fisionomia della dirigenza statale, possa utilmente porre i principi fondamentali cui le regioni, a statuto ordinario e speciale, dovranno attenersi per la disciplina dei settori dirigenziali di propria competenza (cfr., l'art. 10, n. 5, del disegno di legge governativo n. 3464, presentato alla Camera il 18 dicembre 1988).

4. - Salva questa esigenza di armonizzazione tra i diversi tipi di dirigenza, statale e regionale, che la futura legge dovrà perseguire mediante la formulazione di principi fondamentali comuni, resta comunque il fatto che, per quanto concerne la fase attuale, la norma impugnata, nel riferirsi a tutto il personale della Regione siciliana, ivi compreso quello dirigenziale, non ha introdotto, rispetto alla normativa anteriore, elementi di novità suscettibili di determinare la violazione del principio richiamato, ove si consideri che già con la legge regionale 29 ottobre 1985, n. 41, il meccanismo della disciplina mediante accordi era stato adottato in Sicilia anche con riferimento alle qualifiche dirigenziali per le questioni relative "all'organizzazione del lavoro, alla gestione, utilizzazione e mobilità del personale, all'articolazione dell'orario di lavoro ordinario e straordinario, alla formazione professionale".

Non emerge, pertanto, dalla disposizione impugnata, una lesione del principio desumibile dall'art. 26, quarto comma, della legge 29 marzo 1983, n. 93, e, conseguentemente, la violazione dell'art. 14, lett. q), dello statuto speciale che è stata denunciata.

5. - Anche la questione sollevata con riferimento all'art. 97, secondo comma, della Costituzione, non si presenta fondata, dal momento che tale norma costituzionale non viene a incidere nelle materie che il disegno di legge in esame, all'art. 3, affida alla disciplina mediante accordi.

 

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata, con il ricorso di cui epigrafe, nei confronti della legge approvata dall'assemblea regionale siciliana il 2 maggio 1991 con il n. 338, recante "Nuove disposizioni per la disciplina dello stato giuridico ed economico del personale dell'amministrazione regionale e per la contrattazione decentrata a livello regionale", per violazione dell'art. 28 dello statuto speciale della regione siciliana;

Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata, con il ricorso di cui in epigrafe, nei confronti dell'art. 1 della stessa legge, per violazione dell'art. 14, lett. q), dello statuto speciale, in relazione all'art. 26, quarto comma, della legge 29 marzo 1983, n. 93, e dell'art. 97, secondo comma, della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 dicembre 1991.

 

Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE -  Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE -  Vincenzo CAIANIELLO -  Mauro FERRI -  Luigi MENGONI -  Enzo CHELI - Renato GRANATA - Giuliano VASSALLI.

 

Depositata in cancelleria il 27 dicembre 1991.