Sentenza n. 491 del 1991

 

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SENTENZA N. 491

ANNO 1991

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Dott. Aldo CORASANITI                                         Presidente

Prof. Giuseppe BORZELLINO                                   Giudice

Dott. Francesco GRECO                                                 “

Prof. Gabriele PESCATORE                                           “

Avv. Ugo SPAGNOLI                                                    “

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA                               “

Prof. Antonio BALDASSARRE                                     “

Prof. Vincenzo CAIANIELLO                                       “

Avv. Mauro FERRI                                                         “

Prof. Luigi MENGONI                                                    “

Prof. Enzo CHELI                                                           “

Prof. Giuliano VASSALLI                                              “

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1, quarto comma quinquies, aggiunto dalla legge di conversione 28 febbraio 1990, n. 37, al decreto legge 27 dicembre 1989, n. 413 (Disposizioni urgenti in materia di trattamento economico dei dirigenti dello Stato e delle categorie ad esse equiparate, nonché in materia di pubblico impiego), promosso con ordinanza emessa il 24 gennaio 1991 dal T.A.R. per l'Abruzzo - Sezione distaccata di Pescara, nel ricorso proposto da Belmonte Dino contro il Comune di Pescara, iscritta al n. 327 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell'anno 1991;

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nella camera di consiglio del 6 novembre 1991 il Giudice relatore Francesco Greco;

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Belmonte Dino, direttore di divisione, con inquadramento nella seconda qualifica dirigenziale presso il Comune di Pescara, con ricorso del 5 maggio 1990, ha impugnato dinanzi al T.A.R. per l'Abruzzo - Sezione distaccata di Pescara, il provvedimento, datato 30 aprile 1990, di collocamento a riposo per avere compiuto 65 anni di età con un'anzianità utile ai fini pensionistici di 27 anni, 10 mesi e 15 giorni.

Il T.A.R., in accoglimento di uno dei motivi di gravame, con ordinanza del 24 gennaio 1991 (R.O. n. 327 del 1991), ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, quarto comma quinques, aggiunto al decreto legge n. 413 del 1989 dalla legge di conversione 28 febbraio 1990, n. 37, perché non consente ai dirigenti degli enti locali di restare in servizio fino al settantesimo anno di età per il raggiungimento del periodo massimo pensionistico o, comunque, per il miglioramento del trattamento pensionistico.

Ha osservato che sia il d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748, sia la legge 29 marzo 1983, n. 93, pur prevedendo settori del pubblico impiego disciplinati da ordinamenti specifici, hanno operato una stretta equiparazione tra le figure dirigenziali ed hanno evidenziato l'effettuazione di una disciplina unitaria della posizione dei dirigenti dello Stato e di quelli ad essi assimilabili; che la descrizione dei compiti del dirigente statale contenuta nell'art. 2 del ricordato d.P.R. n. 748 del 1972 coincide in larga misura con quella relativa alle attribuzioni del dirigente comunale contenuta nel d.P.R. 25 giugno 1983, n. 347, la quale si sostanzia in attività di direzione di strutture amministrative, di studio e di ricerca, di propulsione, coordinamento, vigilanza e controllo, al fine di assicurare la legalità, la imparzialità, la economicità e la speditezza dell'attività amministrativa, di partecipazione ad organi collegiali, di rappresentanza esterna ecc.

Considerando l'omogeneità e la indifferenza della circostanza dell'appartenenza del dirigente all'amministrazione statale o locale, e la irrilevanza dell'esigenza del buon andamento degli uffici per l'attenuazione che si verifica per ogni categoria di dirigenti per effetto dell'età, doveva ritenersi sussistente una irrazionale discriminazione nel trattamento dei dirigenti locali rispetto a quelli statali onde la violazione dell'art. 3 della Costituzione.

1.1 - Nel susseguente giudizio dinanzi a questa Corte non vi è stata la costituzione della parte privata.

1.2 - Nel giudizio è intervenuta l'Avvocatura Generale dello Stato, in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri, la quale ha sostenuto la infondatezza della questione.

Ha rilevato che nella fattispecie sono applicabili i principi già affermati da questa Corte, secondo cui (sent. nn. 461 del 1989 e 237 del 1984), una norma derogatoria non può essere assunta a parametro della legittimità della regola generale dettata in una determinata materia; che risulta irrilevante il richiamo alla tendenza legislativa verso l'innalzamento del limite di età pensionabile, tratto dalle varie leggi che si sono susseguite in materia, poiché da essa non può dedursi la illegittimità della regola generale del collocamento a riposo al 65° anno di età.

Ha osservato anche che la disciplina della materia è affidata alla discrezionalità del legislatore il quale, ispirandosi a valutazioni di carattere politico, sociale o economico, può effettuarla in maniera differenziata senza che l'eccezione o la deroga renda obbligatoria altra o altre eccezioni a pena di sancire una violazione dell'art. 3 della Costituzione.

 

Considerato in diritto

 

1. - La Corte è chiamata a verificare se l'art. 1, quarto comma quinquies aggiunto al decreto legge n. 413 del 1989 dalla legge di conversione 28 febbraio 1990, n. 37, nella parte in cui non consente ai dirigenti degli enti locali di restare in servizio fino al settantesimo anno di età per il raggiungimento del massimo livello pensionistico o, comunque per il miglioramento del trattamento pensionistico, violi l'art. 3 della Costituzione, per la discriminazione che crea tra la suddetta categoria e quella dei dirigenti civili dello Stato.

2. - La questione non è fondata.

Si osserva che per effetto della legislazione intervenuta negli ultimi anni nella disciplina della dirigenza degli enti locali (d.P.R. 25 giugno 1983, n. 347; d.P.R. 17 settembre 1987, n. 494; legge 8 giugno 1990, n. 142) si è verificata una omogeneità tra detta categoria e quella dei dirigenti civili dello Stato, specie in relazione alle funzioni attribuite e alle responsabilità che ad essi fanno carico.

Ma a parte la considerazione che detta omogeneità risale solo agli ultimi tempi e che non sussisteva certamente negli anni anteriori, si rileva che essa da sola non è sufficiente a far ritenere la dedotta violazione dell'invocato precetto costituzionale.

Come già affermato (sent. n. 440 del 1991), non può ritenersi regola generale valevole per tutti i dipendenti pubblici quella del collocamento a riposo a settanta anni. Resta, invece, come regola l'età pensionabile fissata a sessantacinque anni e come eccezione il suo prolungamento fino a settanta anni. È rimasto allo stato di tendenza il prolungamento della detta età a settanta anni, essendosi il legislatore limitato alla sola enunciazione della intenzione in tal senso.

Invece, ha stabilito delle deroghe per alcune categorie, evidenziandone le ragioni di volta in volta (necessità di evitare sperequazioni sussistenti all'interno della stessa categoria, opportunità di utilizzare particolari esperienze e capacità professionali, o di soddisfare peculiari esigenze finanziarie, ecc.).

Atteso che la previsione del prolungamento dell'età pensionabile costituisce una scelta discrezionale del legislatore non arbitraria, ma sorretta da ragionevoli motivi, la questione sollevata è da ritenersi non fondata.

La soluzione invocata è, invero, frutto di una valutazione discrezionale e non è una conseguenza necessaria del giudizio di costituzionalità, non dovendo la Corte procedere ad una estensione logicamente necessitata ed implicita nella potenzialità interpretativa del contesto normativo in cui è inserita la disposizione impugnata.

 

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, quarto comma quinquies, aggiunto dalla legge di conversione 28 febbraio 1990, n. 37, al decreto legge 27 dicembre 1989, n. 413 (Disposizioni urgenti in materia di trattamento economico dei dirigenti dello Stato e delle categorie ad esse equiparate, nonché in materia di pubblico impiego), in riferimento all'art. 3 della Costituzione, sollevata dal tribunale amministrativo regionale dell'Abruzzo - Sezione distaccata di Pescara, con la ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 dicembre 1991.

 

Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA - Giuliano VASSALLI.

 

Depositata in cancelleria il 27 dicembre 1991.