Sentenza n. 454 del 1991

 

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SENTENZA N. 454

 

ANNO 1991

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Dott. Aldo CORASANITI                                         Presidente

Prof. Giuseppe BORZELLINO                                   Giudice

Dott. Francesco GRECO                                                 “

Prof. Gabriele PESCATORE                                           “

Avv. Ugo SPAGNOLI                                                    “

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA                               “

Prof. Antonio BALDASSARRE                                     “

Prof. Vincenzo CAIANIELLO                                       “

Avv. Mauro FERRI                                                         “

Prof. Luigi MENGONI                                                    “

Prof. Enzo CHELI                                                           “

Dott. Renato GRANATA                                                “

Prof. Giuliano VASSALLI                                              “

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 3 e 7 della legge provinciale di Trento 9 dicembre 1978, n. 56 (Disposizioni transitorie in materia di protezione della fauna e disciplina della caccia); degli artt. 1 e 2 della legge della Regione Trentino-Alto Adige 7 settembre 1964, n. 30 (Costituzione e gestione delle riserve di caccia nel territorio regionale) e degli artt. 1, 2 e 5 del decreto del Presidente della Giunta regionale 13 agosto 1965, n. 129 (Approvazione delle norme per la gestione delle riserve di caccia nel territorio regionale), promosso con ordinanza emessa il 20 novembre 1990 dal Pretore di Trento - Sezione distaccata di Tione di Trento - nel procedimento civile vertente tra Mattei Luciano e Provincia autonoma di Trento - Servizio foreste, caccia e pesca - iscritta al n. 352 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22, prima serie speciale, dell'anno 1991;

 

Visto l'atto di intervento della Provincia autonoma di Trento nonché l'intervento in giudizio dell'Associazione cacciatori della Provincia di Trento;

 

Udito nell'udienza pubblica del 5 novembre 1991 il Giudice relatore Enzo Cheli;

 

Udito l'avvocato Valerio Onida per la Provincia di Trento;

 

 

Ritenuto in fatto

 

 

1. - Nel corso di un giudizio di opposizione avverso alcune ordinanze-ingiunzioni emesse dalla Provincia autonoma di Trento a titolo di sanzione amministrativa per esercizio della caccia senza il permesso del concessionario, il Pretore di Trento - Sezione distaccata di Tione di Trento - con ordinanza del 20 novembre 1990 (R.O. n. 352 del 1991), ha sollevato questioni di legittimità costituzionale nei confronti degli artt. 1, 2 e 3 della legge provinciale di Trento 9 dicembre 1978, n. 56 (Disposizioni transitorie in materia di protezione della fauna e disciplina della caccia), per violazione degli artt. 5, 116 e 117 della Costituzione, in relazione agli artt. 4, primo comma, e 8, n. 15, dello Statuto regionale del Trentino-Alto Adige (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670), nonché dell'art. 7 della stessa legge provinciale n. 56 del 1978, degli artt. 1 e 2 della legge regionale 7 settembre 1964, n. 30 (Costituzione e gestione delle riserve di caccia nel territorio regionale), e degli artt. 1, 2 e 5 del decreto del Presidente della Giunta regionale 13 agosto 1965, n. 129, per violazione degli artt. 2, 3, 5, 18, 97, 116, 117, 118 e 120 della Costituzione, in relazione agli artt. 4, primo comma, 8, n. 15, 18 e 105 dello Statuto regionale.

 

Nell'ordinanza si espone che la legge della Provincia di Trento n. 56 del 1978, agli artt. 1, 2 e 3, nel regolare transitoriamente la materia della caccia in attesa dell'emanazione di una legge provinciale organica, ha stabilito che nel territorio provinciale continuino ad avere applicazione il Testo unico delle norme sulla caccia del 5 giugno 1939, n. 1016 (modificato con legge 2 agosto 1967, n. 799), le leggi regionali del Trentino-Alto Adige 7 settembre 1964, n. 30, 16 novembre 1969, n. 12, e 31 agosto 1970, n. 19, nonché la legge provinciale di Trento 5 ottobre 1976, n. 38.

 

Per effetto di tali norme, l'intero territorio della Provincia autonoma di Trento (con esclusione delle zone riservate ai privati) risulta costituito, ai fini dell'esercizio della caccia, in riserva di diritto, la cui gestione è stata affidata alla sezione provinciale di Trento della Federazione italiana della caccia, che rilascia, agli iscritti ed ai non iscritti, il permesso di caccia, subordinatamente al versamento di un contributo per le spese di gestione, sorveglianza e ripopolamento.

 

Secondo il giudice a quo, tale rinvio recettizio alle norme statali e regionali precedenti la legge-quadro sulla caccia 27 dicembre 1977, n. 968, costituirebbe, anche per effetto del suo protrarsi nel tempo, una sostanziale elusione dei principi di questa legge che, invece, in quanto destinata a esprimere norme fondamentali di una riforma economico-sociale, deve trovare applicazione anche nei confronti della potestà legislativa esclusiva della Provincia autonoma. In particolare, risulterebbero in tal modo violati i principi fondamentali relativi al riconoscimento dell'appartenenza della fauna al patrimonio indisponibile dello Stato (art. 1); alla soppressione delle tradizionali riserve di caccia (art. 15); all'abbandono del contenuto concessorio dell'uso della fauna connesso al rilascio delle licenze di caccia (art. 8); all'estensione della validità di queste ultime a tutto il territorio nazionale, con carattere di gratuità in regime di caccia controllata (art. 10).

 

Il giudice remittente rileva, in proposito, che l'illecito amministrativo che è all'origine del giudizio a quo discende dall'aver esercitato la caccia senza il permesso rilasciato dalla Federcaccia, previsto dalla normativa provinciale impugnata quale unico titolo abilitante all'esercizio dell'attività venatoria nel territorio della Provincia di Trento, in contrasto con la legge nazionale che ha disposto, invece, la soppressione del "permesso del concessionario" e istituito un "tesserino venatorio" rilasciato dalle Regioni e dalle Province autonome, con validità per l'intero territorio nazionale.

 

Ulteriori profili di illegittimità vengono poi indicati, in riferimento al diritto di libera associazione e al principio di imparzialità della pubblica amministrazione (oltre che alle già ricordate norme fondamentali espresse dalla legge-quadro n. 968 del 1977), nelle disposizioni che attribuiscono alla sola Federazione italiana della caccia la gestione delle riserve provinciali e dei relativi proventi, con esclusione di ogni altra associazione venatoria.

 

Con formula dubitativa viene, infine, prospettata l'eventualità che le stesse disposizioni possano risultare in contrasto anche con il principio solidaristico espresso dall'art. 2 della Costituzione.

 

2. - È intervenuta in giudizio la Provincia di Trento, eccependo l'inammissibilità o comunque l'infondatezza delle questioni sollevate.

 

Inammissibili per irrilevanza nel giudizio a quo vengono ritenute le questioni relative all'art. 2 della legge regionale n. 30 del 1964 e all'art. 7 della legge provinciale n. 56 del 1978, che stabiliscono, rispettivamente, l'affidamento alla Federcaccia della gestione delle riserve e la disciplina delle convenzioni tra la stessa Federcaccia e la Giunta provinciale ai fini della vigilanza, laddove il giudizio a quo riguarda esclusivamente l'opposizione ad ordinanze-ingiunzioni emesse per esercizio della caccia senza il permesso del concessionario e cioè per una violazione che, a giudizio della Provincia, sussisterebbe a prescindere dall'identità del concessionario stesso e dall'eventuale illegittimità delle disposizioni relative alla sua individuazione ed alla regolamentazione dei rapporti con il concedente.

 

Parimenti inammissibili, oltre che per i motivi di cui sopra, anche per inidoneità delle norme impugnate a formare oggetto del giudizio, sono ritenute le questioni relative agli artt. 1, 2 e 5 del decreto del Presidente della Giunta regionale n. 129 del 1965, in quanto riferite ad un atto sprovvisto della forza di legge.

 

In ordine alle restanti questioni, la Provincia - dopo aver sostenuto la legittimità della tecnica del rinvio recettizio alla legislazione statale - osserva che, diversamente da quanto viene affermato nell'ordinanza di rimessione, le norme fondamentali di riforma economico-sociale, suscettibili di condizionare la potestà legislativa esclusiva, riguarderebbero, anche alla luce della giurisprudenza di questa Corte (sent. n. 1002 del 1988), esclusivamente l'appartenenza della fauna selvatica al patrimonio indisponibile dello Stato, l'affievolimento del tradizionale diritto di caccia rispetto alla conservazione del patrimonio faunistico ed alla protezione dell'ambiente, l'imposizione di un regime di caccia controllata su tutto il territorio nazionale, nonché l'elenco delle specie cacciabili.

 

Rispetto a tali norme fondamentali, il sistema vigente nella Provincia di Trento - anche se diverso da quello generale previsto dalla legge-quadro n. 968 del 1977 - non presenterebbe motivi di contrasto. In particolare, il mantenimento di un regime riservistico costituirebbe una scelta legittimamente operata dal legislatore locale nell'ambito di una pluralità di opzioni, al fine di garantire la tutela degli interessi pubblici esistenti in materia di caccia.

 

Del resto, la stessa legge-quadro avrebbe inteso preservare la specificità del sistema trentino laddove ha stabilito (art. 7) che la zona alpina costituisce zona faunistica a sé stante nella quale le Regioni interessate possono emanare norme particolari, al fine di proteggere la fauna e di disciplinare la caccia.

 

Secondo la Provincia, infine, l'individuazione della Federcaccia quale unico concessionario della gestione delle riserve - non comportando obbligo di iscrizione a tale associazione da parte dei cacciatori né una gestione a favore dei soli iscritti - non violerebbe la libertà associativa né lederebbe il principio del pluralismo delle associazioni venatorie, che resterebbe comunque garantito dalle norme che prevedono e disciplinano la partecipazione alle assemblee ed ai consigli direttivi della Federcaccia delle altre associazioni venatorie in grado di rappresentare almeno il cinque per cento dei cacciatori nell'ambito provinciale.

 

3. - In prossimità dell'udienza la Provincia di Trento ha prodotto una memoria, dove vengono ribadite le tesi enunciate nell'atto di intervento.

 

Fuori termine ha presentato atto di intervento anche l'Associazione cacciatori della Provincia di Trento - Sezione provinciale della Federazione italiana della caccia.

 

 

Considerato in diritto

 

 

1. - Va innanzitutto dichiarata l'inammissibilità dell'intervento in giudizio dell'Associazione cacciatori della Provincia di Trento, che, oltre ad aver presentato fuori termine il proprio atto di costituzione, non risulta essere parte nel giudizio a quo.

 

Va inoltre accolta l'eccezione di inammissibilità per difetto di rilevanza sollevata dalla Provincia autonoma di Trento nei confronti della questione relativa all'art. 7 della legge provinciale 9 dicembre 1978, n. 56, dove si regolano le convenzioni che la Giunta provinciale è autorizzata a stipulare con la sezione provinciale di Trento della Federazione italiana della caccia al fine di consentire l'impiego del personale di vigilanza dipendente dalla stessa sezione nello svolgimento di compiti inerenti la tutela dell'ambiente naturale. La disciplina espressa in tale articolo risulta, infatti, non rilevante nel giudizio a quo, che attiene ad una controversia in tema di applicazione di sanzioni amministrative per esercizio della caccia senza il permesso del concessionario.

 

Parimenti inammissibili si presentano le questioni prospettate dall'ordinanza nei confronti degli artt. 1, 2 e 5 del decreto del Presidente della Giunta regionale 13 agosto 1965, n. 129, per la non idoneità delle norme espresse da tali disposizioni a formare oggetto del giudizio di costituzionalità in quanto sprovviste della forza di legge. Il decreto in questione, adottato ai sensi dell'art. 3 della legge regionale 7 settembre 1964, n. 30, si caratterizza, infatti, per le sue connotazioni formali e sostanziali, come atto regolamentare della Giunta regionale.

 

Va ritenuta, invece, ammissibile la questione relativa all'art. 2 della legge regionale n. 30 del 1964, dal momento che l'eventuale accoglimento di tale questione verrebbe a togliere fondamento giuridico ai poteri di vigilanza sulla riserva conferiti alla concessionaria e, conseguentemente, anche all'accertamento operato dagli agenti della stessa in ordine all'illecito amministrativo di cui è causa.

 

2. - L'esame di merito va, pertanto, limitato alle questioni relative agli artt. 1, 2 e 3 della legge provinciale 9 dicembre 1978, n. 56, ed agli artt. 1 e 2 della legge regionale 7 settembre 1964, n. 30.

 

Tali questioni non sono fondate per le considerazioni di seguito esposte.

 

3. - La legge provinciale n. 56 del 1978, al fine di formulare una disciplina transitoria in tema di protezione della fauna e di caccia, ha stabilito, all'art. 1, che "fino a quando non sarà emanata una legge provinciale organica per la protezione della fauna e la disciplina della caccia, continuano ad avere applicazione nel territorio della Provincia autonoma di Trento le norme del T.U. 5 giugno 1939, n. 1016, modificato con la legge 2 agosto 1967, n. 799, le leggi della Regione Trentino-Alto Adige 7 settembre 1964, n. 30; 16 dicembre 1969, n. 12, e 31 agosto 1970, n. 19, nonché la legge provinciale 5 ottobre 1976, n. 38". L'art. 2 della stessa legge n. 56 regola il quadro delle sanzioni amministrative conseguenti alle violazioni di tali norme e stabilisce, in particolare, l'aggravamento della sanzione prevista nell'art. 43 del T.U. n. 1016 del 1939, per violazione del divieto di caccia nelle riserve senza l'autorizzazione del concessionario. L'art. 3 detta, infine, alcune prescrizioni in tema di sequestro delle armi e della selvaggina da parte degli agenti di vigilanza venatoria.

 

Secondo l'ordinanza di rinvio tali disposizioni verrebbero a violare gli artt. 5, 116 e 117 della Costituzione, in relazione alla competenza provinciale in materia di caccia prevista dallo Statuto speciale del Trentino-Alto Adige (art. 4, primo comma, e 8, n. 15), dal momento che - attraverso il ricorso alla tecnica del rinvio recettizio - avrebbero conservato dentro i confini territoriali della Provincia la sopravvivenza di una normazione non più vigente (quale quella espressa nel T.U. del 1939, abrogata ai sensi dell'art. 34, ultimo comma, della legge n. 968 del 1977), così da concretare l'ipotesi (censurata da questa Corte con l'ordinanza n. 117 del 1988, in relazione all'art. 105 dello Statuto speciale) di una legge provinciale che "pur non regolando la materia, pretenda di impedire l'applicazione di norme statali".

 

Inoltre - sempre ad avviso del giudice a quo - gli effetti di tale disciplina, in quanto diretti a mantenere le riserve di caccia contemplate nell'art. 43 del T.U. n. 1016 del 1939, verrebbero a contrastare con i principi fondamentali della legge di riforma economico-sociale n. 968 del 1977, dove le riserve di caccia risultano, invece, abolite (art. 36).

 

4. - Tali censure trascurano di considerare che la Provincia autonoma di Trento, nell'esercizio della propria competenza esclusiva in materia di caccia e nel rispetto dei limiti apposti a tale competenza (art. 8, n. 15, d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670), dispone della possibilità di disciplinare la materia in questione anche mediante un rinvio recettizio a norme statali già abrogate o in corso di abrogazione, senza per questo eludere la condizione posta dall'art. 105 dello Statuto speciale ai fini dell'applicazione, in via suppletiva, delle leggi statali. E questo tanto più ove la legge regionale - come è accaduto nel caso di specie - non si sia limitata a operare un rinvio ad una precedente disciplina, statale e regionale, ma abbia anche attuato un autonomo intervento normativo, prevedendo prescrizioni nuove e diverse, che in parte sono venute a rettificare i contenuti della disciplina anteriore, in parte hanno richiamato i contenuti della nuova legge statale (v. artt. n. 2 e n. 3).

 

Posta questa premessa, il giudizio va, pertanto, limitato alla verifica della compatibilità tra i contenuti dispositivi recepiti attraverso il rinvio e i limiti statutari apposti al tipo di competenza normativa che la Provincia ha inteso esercitare. Vertendosi in una materia di competenza primaria, una simile verifica andrà in primo luogo attuata ponendo a confronto le disposizioni della legislazione statale, regionale e provinciale richiamate nell'art. 1 della legge n. 56 del 1978 con le norme fondamentali della legge-quadro sulla caccia n. 968 del 1977, in quanto legge di riforma economico-sociale (v. sent. n. 1002 del 1988).

 

Su questo piano non è dato, peraltro, rilevare tra la disciplina provinciale impugnata (con riferimento particolare al mantenimento delle riserve di caccia) e le norme fondamentali della legge n. 968 del 1977 un contrasto suscettibile di giustificare una pronuncia di illegittimità costituzionale. Non si presenta, invero, irragionevole che la norma fondamentale espressa nell'art. 8 di tale legge in tema di caccia controllata (come esercizio venatorio sottoposto a limitazioni di tempo, di luogo e di specie cacciabili) possa trovare, nell'ambito delle Regioni e delle Province a speciale autonomia, modalità attuative diverse, tali da comportare anche la sopravvivenza dell'istituto della riserva di caccia affidata ad un concessionario, ove detto istituto risulti orientato non tanto verso la conservazione di un privilegio del passato, quanto verso la realizzazione di quelle finalità pubblicistiche, connesse alla protezione della fauna selvatica, quale patrimonio indisponibile dello Stato, che la legge-quadro statale ha inteso perseguire anche attraverso "la gestione sociale delle attività rivolte ad un uso razionale del territorio" (v. art. 15 legge n. 968 del 1977). Tali finalità possono ritenersi, infatti, connaturate alle caratteristiche proprie delle riserve "di diritto" di cui è causa, istituite con legge dalla Regione Trentino-Alto Adige in vista del perseguimento di un obbiettivo preminente di tutela del particolare patrimonio faunistico della zona alpina.

 

Né valore di norma fondamentale, esclusiva di qualsivoglia diversa disciplina da parte della Provincia autonoma, può essere riconosciuto all'ultimo comma dell'art. 8, dove si regola il rilascio del c.d. "tesserino venatorio" gratuito: tesserino che la Provincia di Trento, con la propria normazione, non ha inteso eliminare, quando ha stabilito (nell'art. 5 del decreto del Presidente della Giunta regionale 13 agosto 1965, n. 129, che è, peraltro, disposizione non compresa nell'oggetto del presente giudizio) che, per l'esercizio della caccia nei territori inclusi nella riserva provinciale, il cacciatore debba munirsi anche di un permesso annuale rilasciato a titolo oneroso. Il carattere oneroso di tale permesso - correlato alla copertura delle spese per la gestione, la sorveglianza ed il ripopolamento della riserva (cfr. sent. 148 del 1979) - non può, d'altro canto, ritenersi in contrasto con le norme fondamentali della legge-quadro n. 968, tenuto conto che anche in tale legge risulta prevista la possibilità di un contributo finanziario a carico dei cacciatori ammessi a esercitare la caccia nei territori affidati alla gestione sociale delle associazioni venatorie o di altre strutture associative (v. art. 15, secondo, terzo e quarto comma).

 

Quanto precede viene a trovare conferma anche nel richiamo al trattamento speciale che la stessa legge-quadro, all'art. 7, ha inteso riservare al territorio delle Alpi come "zona faunistica a se stante", da regolare con norme particolari "al fine di proteggere la caratteristica fauna e disciplinare la caccia, tenute presenti le consuetudini e le tradizioni locali": e questo tanto più ove si consideri il rilievo che tale richiamo assume con riferimento al Trentino-Alto Adige, dove l'esigenza di un regime speciale viene a trovare il suo fondamento anche nella particolarità dell'evoluzione storica che ha caratterizzato, in questa Regione, la disciplina dell'attività venatoria ( v. sentt. nn. 59 del 1965 e 71 del 1967).

 

L'insieme di queste premesse conduce, dunque, a dichiarare non fondate le questioni prospettate, con riferimento ai limiti propri della competenza provinciale in tema di caccia, nei confronti degli artt. 1, 2 e 3 della legge della Provincia di Trento n. 56 del 1978.

 

5. - Risultano altresì infondate le questioni sollevate nei confronti degli artt. 1 e 2 della legge regionale 7 settembre 1964 n. 30, dove si stabilisce che i territori inclusi nell'elenco allegato alla stessa legge (che coprono l'intero spazio territoriale delle due Province autonome di Trento e Bolzano, con esclusione delle sole zone già riservate ai privati) "sono costituiti di diritto in riserve di caccia" e che "la gestione di tali riserve è affidata, per il territorio delle rispettive Province, alle sezioni provinciali cacciatori di Trento e Bolzano della Federazione italiana della caccia a vantaggio dei cacciatori iscritti e non iscritti".

 

Queste norme vengono censurate - oltre che con riferimento a profili del tutto identici a quelli già esaminati in relazione alla legge provinciale n. 56 del 1978 (preteso contrasto della conservazione del regime riservistico e del permesso di caccia rilasciato dal concessionario con norme fondamentali della legge n. 968 del 1977; pretesa elusione della disciplina statale da parte della normazione regionale e provinciale) - per avere la legge in questione vincolato a riserva l'intero territorio della Provincia di Trento, affidando la gestione della stessa, in esclusiva, alla rispettiva sezione provinciale della Federazione nazionale della caccia.

 

Tali previsioni, ad avviso del giudice a quo, oltre a violare i limiti della competenza propria della Regione Trentino-Alto Adige in materia di caccia (artt. 5, 116, 117 e 118 della Costituzione, in relazione agli artt. 4, primo comma, e 8, n. 15, dello Statuto speciale), risulterebbero lesive, per i loro contenuti, anche degli artt. 2, 3, 18 e 97 della Costituzione.

 

A questo proposito va rilevato che, ai sensi della disciplina impugnata, la Federazione nazionale della caccia opera, attraverso le sue sezioni provinciali, come concessionaria ex lege della Provincia, con un vincolo di gestione della riserva a vantaggio di tutti i cacciatori "iscritti e non iscritti" all'organismo associativo. Tale scelta, operata nell'ambito della discrezionalità spettante al legislatore regionale nell'esercizio di una sua competenza primaria, non si presenta, di per sé, lesiva dei principi di ragionevolezza, di eguaglianza e di imparzialità garantiti dal dettato costituzionale, ove si consideri che la Federazione nazionale caccia, pur nella sua veste privatistica, si caratterizza come l'associazione maggiormente rappresentativa in sede nazionale e locale della categoria dei cacciatori, associazione cui la stessa legge-quadro n. 968 del 1977 ha voluto attribuire, insieme con il riconoscimento (art. 29, quarto comma), lo svolgimento di particolari funzioni (artt. 5 e 30). Né dall'affidamento in esclusiva della gestione della riserva alla sezione provinciale della Federazione risulta possibile derivare una lesione della libertà di associazione di cui all'art. 18 della Costituzione, ove si tenga presente - anche a prescindere dalla considerazione della partecipazione alla gestione, consentita dal secondo comma dell'art. 2 della legge impugnata, anche delle associazioni minori, che rappresentino almeno il cinque per cento dei cacciatori - che tale sezione, nella sua funzione di concessionaria, è tenuta per legge a operare a vantaggio di tutti i cacciatori "iscritti e non iscritti" e che non sussistono ostacoli in grado di escludere o limitare l'adesione e la partecipazione dei singoli cacciatori alla vita dell'organismo associativo (cfr. sentt. nn. 69 del 1962; 71 del 1963; 33 e 59 del 1965; 71 del 1967).

 

Va, di conseguenza, esclusa la violazione degli artt. 3, 97 e 18 della Costituzione da parte della disciplina in esame.

 

6. - Per la sua prospettazione perplessa deve ritenersi, infine, inammissibile la censura enunciata nei confronti delle stesse disposizioni della legge regionale n. 30 con riferimento al principio solidaristico di cui all'art. 2 della Costituzione, mentre le doglianze formulate in relazione all'art. 120 della Costituzione ed all'art. 18 dello Statuto speciale non possono trovare ingresso nel giudizio, venendo a investire esclusivamente norme contenute nel decreto del Presidente della Giunta Regionale n. 129 del 1965, sottratte - secondo quanto già rilevato - al controllo di legittimità costituzionale, in quanto sprovviste della forza di legge.

 

 

per questi motivi

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

1) Dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate, con l'ordinanza di cui in epigrafe, nei confronti degli artt. 1, 2 e 3 della legge della Provincia di Trento 9 dicembre 1978, n. 56 (Disposizioni transitorie in materia di protezione della fauna e disciplina della caccia), per violazione degli artt. 5, 116 e 117 della Costituzione, in relazione agli artt. 4, primo comma, e 8, n. 15, del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670;

 

2) Dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale, sollevate con la stessa ordinanza, nei confronti degli artt. 1 e 2 della legge della Regione Trentino-Alto Adige 7 settembre 1964, n. 30 (Costituzione e gestione delle riserve di caccia nel territorio regionale), per violazione degli artt. 2, 3, 5, 18, 97, 116, 117, 118 e 120 della Costituzione, in relazione agli artt. 4, primo comma, 8, n. 15, 18 e 105 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670;

 

3) Dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale sollevate, con la stessa ordinanza, nei confronti dell'art. 7 della legge della Provincia di Trento 9 dicembre 1978, n. 56, e degli artt. 1, 2 e 5 del decreto del Presidente della Giunta regionale 13 agosto 1965, n. 129 (Approvazione delle norme per la gestione delle riserve di caccia nel territorio regionale), per violazione degli artt. 2, 3, 5, 18, 97, 116, 117, 118 e 120 della Costituzione, in relazione agli artt. 4, primo comma, 8, n. 15, 18 e 105 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 dicembre 1991.

 

 

Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA - Giuliano VASSALLI.

 

 

Depositata in cancelleria il 13 dicembre 1991.