Sentenza n. 440 del 1991

 

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SENTENZA N. 440

 

ANNO 1991

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Dott. Aldo CORASANITI                                         Presidente

Prof. Giuseppe BORZELLINO                                   Giudice

Dott. Francesco GRECO                                                 “

Prof. Gabriele PESCATORE                                           “

Avv. Ugo SPAGNOLI                                                    “

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA                               “

Prof. Antonio BALDASSARRE                                     “

Prof. Vincenzo CAIANIELLO                                       “

Avv. Mauro FERRI                                                         “

Prof. Luigi MENGONI                                                    “

Prof. Enzo CHELI                                                           “

Prof. Giuliano VASSALLI                                              “

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 53 del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761 (Stato giuridico del personale delle unità sanitarie locali), 1, comma quarto-quinquies, del decreto-legge 27 dicembre 1989, n. 413 (Disposizioni urgenti in materia di trattamento economico dei dirigenti dello Stato e delle categorie ad essi equiparate, nonché in materia di pubblico impiego), convertito, con modificazioni, in legge 28 febbraio 1990, n. 37, e 3 della legge 19 febbraio 1991, n. 50 (Disposizioni sul collocamento a riposo del personale medico dipendente), promossi con le seguenti ordinanze:

 

1) ordinanza emessa il 13 marzo 1991 dal T.A.R. della Sicilia - Sezione distaccata di Catania, sul ricorso proposto da Panebianco Francesco contro la U.S.L. n. 34 di Catania, iscritta al n. 399 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell'anno 1991;

 

2) ordinanza emessa il 5/19 dicembre 1990 dal T.A.R. delle Marche sui ricorsi riuniti proposti da Principe Vera contro la U.S.L. n. 12 di Ancona e da Picciotti Ovidio contro la U.S.L. n. 21 di Fermo, iscritta al n. 413 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, prima serie speciale, dell'anno 1991;

 

3) ordinanza emessa il 9 gennaio 1991 dal T.A.R. delle Marche sul ricorso proposto da Picciotti Giuseppe contro la U.S.L. n. 24 di Ascoli Piceno, iscritta al n. 458 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 28, prima serie speciale, dell'anno 1991;

 

Visti gli atti di costituzione di Panebianco Francesco e Picciotti Ovidio nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

 

Udito nell'udienza pubblica del 5 novembre 1991 il Giudice relatore Francesco Greco;

 

Uditi gli avvocati Salvatore Mauceri per Panebianco Francesco ed Antonio Funari per Picciotti Ovidio e l'Avvocato dello Stato Mario Imponente per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

 

Ritenuto in fatto

 

 

1. - Principe Vera, primaria di ruolo anestesista, in servizio presso l'U.S.L. n. 12 di Ancona, in data 19 aprile 1990, chiedeva al Comitato di Gestione di essere trattenuta in servizio fino al compimento del settantesimo anno di età, allo scopo di conseguire il massimo della pensione, così come previsto per i dirigenti civili dello Stato dall'art. 1, comma quarto-quinquies, del decreto-legge 27 dicembre 1989, n. 413, convertito, con modificazioni, in legge 28 febbraio 1990, n. 37.

 

Avendo il Comitato rigettato la sua domanda, proponeva ricorso al T.A.R. delle Marche.

 

Con successiva memoria sollevava eccezione di incostituzionalità dell'art. 53, primo comma, del d.P.R. n. 761 del 1979 che fissava per i primari l'età pensionabile al sessantacinquesimo anno di età, in riferimento agli artt. 3, 97, 35, 36, 38 della Costituzione.

 

La U.S.L., costituitasi nel giudizio avanti al T.A.R., chiedeva il rigetto del ricorso.

 

1.1. - Picciotti Ovidio, veterinario dirigente di ruolo presso la U.S.L. n. 21 di Fermo, in data 10 maggio 1990, proponeva anche egli al Comitato di gestione istanza identica a quella della Principe.

 

Avendo il Comitato rigettato la domanda, il Picciotti impugnava il provvedimento insieme con la deliberazione 20 febbraio 1990, n. 82, con cui lo stesso Comitato aveva disposto il suo collocamento a riposo per il compimento del sessantacinquesimo anno di età a decorrere dal 25 agosto 1990.

 

Sosteneva l'applicabilità della legge n. 37 del 1990 anche perché l'art. 47, legge n. 833 del 1978 aveva esteso al personale del servizio sanitario nazionale i principi generali del pubblico impiego.

 

In via subordinata sollevava questione di legittimità costituzionale della detta legge n. 37 del 1990.

 

2. - Il T.A.R., con ordinanza del 5/19 dicembre 1990 (R.O. n. 413 del 1991), pervenuta alla Corte il 3 giugno 1991, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 53 del d.P.R. n. 761 del 1979 e 1, comma quarto-quinquies, del decreto-legge n. 413 del 1989, convertito, con modificazioni, nella legge n. 37 del 1990, nella parte in cui non estende al personale medico o veterinario in posizione apicale il beneficio ivi previsto del collocamento a riposo a settanta anni.

 

Premesso che non era possibile l'applicazione dell'art. 1, comma quarto-quinquies, della legge n. 37 del 1990 in via interpretativa ai dipendenti di unità sanitarie locali con qualifica apicale, ha osservato che il quadro legislativo esistente al momento in cui la Corte Costituzionale aveva dichiarato manifestamente infondate analoghe questioni era completamente mutato, sia per effetto dell'art. 1, comma quarto-quinquies, della legge n. 37 del 1990, che ha fissato al settantesimo anno l'età pensionabile per i dirigenti statali, a somiglianza di quanto avveniva già per il personale scolastico, sia in attuazione dell'art. 38 della Costituzione, sia per il constatato miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei prestatori di opera, incidente sulla capacità di lavoro (sent. Corte cost. n. 134 del 1986).

 

Ha osservato anche che dai lavori preparatori della suddetta legge non era rinvenibile altra ratio oltre la considerazione del normale ritardo dell'ingresso in carriera del personale ivi previsto, dipendente dal più ampio corso degli studi, il che si verificava puntualmente anche per i primari medici e per i primari veterinari.

 

A parere del remittente, le norme impugnate violerebbero:

 

a) l'art. 3 della Costituzione, in quanto sarebbe illogico e irrazionale il deteriore trattamento riservato al personale in questione rispetto al personale dirigente dello Stato;

 

b) l'art. 97 della Costituzione, privandosi la pubblica amministrazione dell'esperienza e della professionalità di personale qualificato la cui formazione ha richiesto anche costi per la collettività;

 

c) l'art. 38, secondo comma, della Costituzione, in quanto la mancata estensione al personale sanitario dirigente delle unità sanitarie locali del beneficio del trattenimento in servizio oltre il compimento del sessantacinquesimo anno di età rappresenterebbe una minore garanzia del diritto, riconosciuto a tutti i lavoratori, alla giusta pensione quale retribuzione differita.

 

3. - La stessa questione è stata sollevata di nuovo dal T.A.R. delle Marche, in riferimento ai suddetti parametri, con ordinanza in data 9 gennaio 1991 (R.O. n. 458 del 1991), sul ricorso proposto da Picciotti Giuseppe, dirigente medico della U.S.L. n. 24 di Ascoli Piceno, avverso la deliberazione con la quale la stessa U.S.L. aveva respinto la sua istanza identica a quella degli altri due ricorrenti, ed il conseguente provvedimento di collocamento a riposo a decorrere dal 25 gennaio 1987.

 

4. - Nel giudizio promosso con l'ordinanza n. 413 del 1991 si è costituito il dr. Ovidio Picciotti, il quale ha fatto presente che dopo la emissione dell'ordinanza de qua è entrata in vigore la legge n. 50 del 1991, che si applica però solo ai primari ospedalieri collocati a riposo dopo il 21 febbraio 1991.

 

Ha, quindi, insistito per la declaratoria della illegittimità costituzionale della legge n. 37 del 1990, ancora più evidenziata dalla citata legge n. 50 del 1991.

 

5. - L'Avvocatura Generale dello Stato, intervenuta in entrambi i giudizi, in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri, ha concluso per la restituzione degli atti al giudice a quo, come già disposto dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 143 del 1991 in riferimento ad analoga questione, a seguito della sopravvenuta legge n. 50 del 1991.

 

6. - Panebianco Francesco, primario presso la direzione clinica dell'ospedale "Tomaselli" di Catania, impugnava dinanzi al T.A.R. della Sicilia - Sezione distaccata di Catania, la deliberazione con la quale la U.S.L. n. 34 di Catania aveva rigettato la sua istanza identica a quella degli altri ricorrenti e aveva disposto il suo collocamento a riposo dal 2 gennaio 1991.

 

6.1. - Il T.A.R., sospeso il provvedimento impugnato, con ordinanza del 13 marzo 1991 (r.o. n. 399 del 1991), ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli stessi artt. 53 del d.P.R. n. 761 del 1979 e 1, comma quarto-quinquies, del decreto-legge n. 413 del 1989, convertito, con modificazioni, nella legge n. 37 del 1990, nonché dell'art. 3 della legge 19 febbraio 1991, n. 50, per contrasto con gli artt. 3 e 38 della Costituzione.

 

Ha osservato che il legislatore ha perseguito l'indirizzo di prolungare l'età del collocamento a riposo sino al settantesimo anno di età per categorie sempre più numerose di pubblici dipendenti. Infatti, il decreto-legge 27 dicembre 1989, n. 413, convertito, con modificazioni, nella legge 28 febbraio 1990, n. 37, ai soli dirigenti civili statali, per i quali vigeva la regola comune a tutti i dipendenti statali del collocamento a riposo a sessantacinque anni, ha esteso il beneficio della proroga dell'età pensionabile a settant'anni, già accordato agli insegnanti (art. 15 secondo e terzo comma della legge 30 luglio 1973 n. 477), con la possibilità di valutazione di tutti i servizi prestati (art. 10, comma sesto, del decreto-legge 6 novembre 1989, n. 357, convertito, con modificazioni, in legge n. 417 del 1989), al fine di far loro conseguire un incremento della base pensionabile, in applicazione dell'art. 38 della Costituzione.

 

Ha richiamato le leggi che per altre categorie hanno elevato l'età pensionabile a settant'anni (legge 7 agosto 1990, n. 29, per i docenti universitari; la legge della Regione Calabria approvata il 18 ottobre 1989, per i dirigenti regionali; la legge 19 febbraio 1991 n. 50 per i primari ospedalieri).

 

7.2. - Risulterebbero, quindi, violati gli artt. 3 e 38, secondo comma, della Costituzione, perché si verificherebbe una irrazionale ed ingiustificata discriminazione in danno dei dirigenti sanitari delle UU.SS.LL. e una palese diminuzione dei benefici previdenziali tanto più a parità di responsabilità organizzative; di funzioni, di preparazione, di perfezionamento tecnico professionale, di promozione di iniziativa e di ricerca scientifica.

 

Il sospetto di illegittimità costituzionale delle norme impugnate si evidenzierebbe di più a seguito della legge n. 50 del 1991, che ha elevato l'età pensionabile a settant'anni per i soli primari ospedalieri collocati a riposo dopo il 21 febbraio 1991 e non anche per quelli cessati dal servizio precedentemente, non ha fatto salve le situazioni per le quali esistevano giudizi pendenti e non ha consentito l'utilizzazione dell'istituto della riammissione in servizio ai sensi dell'art. 59 del d.P.R. n. 761 del 1979.

 

Si sarebbe ulteriormente accentuata la discriminazione a danno dei primari collocati a riposo prima del 21 febbraio 1991, presi in mezzo tra coloro, più anziani di età, che possono beneficiare della legge n. 336 del 1964 e coloro più giovani d'età, che possono beneficiare della medesima legge n. 50 del 1991.

 

8. - Nel giudizio si è costituita la parte privata aderendo alle considerazioni del collegio remittente.

 

9. - È intervenuta altresì l'Avvocatura Generale dello Stato in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri, che ha concluso per la infondatezza della questione, osservando che le disposizioni relative al trattenimento in servizio per il personale scolastico e per i dirigenti dello Stato hanno carattere transitorio e non sanzionano una elevazione del limite di età da cui sarebbe escluso il personale sanitario.

 

La legge n. 50 del 1991, anch'essa di carattere transitorio, tenderebbe al soddisfacimento di una più adeguata tutela previdenziale per i primari ospedalieri ed è giustamente applicata solo a coloro che al momento della sua entrata in vigore erano ancora in servizio, per la salvaguardia del principio di tutela della quiescenza. Del resto, rientra nella discrezionalità del legislatore l'introduzione del limite temporale dell'efficacia della legge. 10. - Nell'imminenza dell'udienza, hanno presentato memorie Picciotti Ovidio e Panebianco Francesco.

 

La difesa di Picciotti Ovidio ha sviluppato i rilievi già svolti, specie in ordine al mutamento del quadro legislativo ed alla evoluzione della giurisprudenza della Corte costituzionale (sent. n. 398 del 1988). Ha messo in luce le disparità di trattamento rispetto a categorie analoghe (sanitari comunali, sanitari convenzionati collocati in pensione a settant'anni) e l'impegno del Governo ad elevare a settanta anni l'età pensionabile per tutti i dipendenti pubblici.

 

Ha, quindi, chiesto che la Corte sollevi dinanzi a sé, d'ufficio, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge n. 50 del 1991 nella parte in cui limita il beneficio del trattenimento in servizio fino a settant'anni ai primari ospedalieri e non lo estende anche a tutti i sanitari apicali e ai veterinari, e dell'art. 3 della stessa legge nella parte in cui non estende il beneficio anche ai sanitari collocati a riposo prima del 21 febbraio 1991.

 

10.1. - La difesa del Panebianco ha insistito sulla disparità di trattamento cagionata dall'art. 3 della legge n. 50 del 1991 per la prevista esclusione dei primari collocati a riposo prima del 21 febbraio 1991, sulla irrazionalità della norma che non ha giustificazioni, essendo, invece, esigenza comune a tutti l'incremento della base pensionabile. Ha affermato anche che non trova alcuna giustificazione nemmeno il diniego dell'applicazione dell'istituto della riammissione.

 

 

Considerato in diritto

 

 

1. - I tre giudizi possono essere riuniti e decisi con un'unica sentenza in quanto prospettano questioni connesse.

 

1.1. - La Corte è chiamata a verificare:

 

A) se gli artt. 53, primo comma, del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, il quale dispone il collocamento a riposo del personale sanitario laureato a sessantacinque anni e l'art. 1, comma quarto-quinquies del decreto-legge 27 dicembre 1989, n. 413, convertito, con modificazioni, in legge 28 febbraio 1990, n. 37, il quale dispone il collocamento a riposo dei dirigenti civili dello Stato a settant'anni, nella parte in cui non prevedono anche per il personale medico e veterinario delle uu.ss.ll. in posizione apicale la elevazione a settant'anni dell'età pensionabile per conseguire il diritto al massimo della pensione, ledano:

 

a) l'art. 3 della Costituzione, per la ingiustificata ed illogica disparità di trattamento che si verifica fra il personale medico in posizione apicale e i dirigenti civili dello Stato;

 

b) l'art. 97 della Costituzione, in quanto si priva la pubblica amministrazione della esperienza e della professionalità di personale qualificato la cui formazione ha richiesto anche costi per la collettività;

 

c) l'art. 38, secondo comma, della Costituzione, in quanto la mancata concessione dell'elevazione dell'età pensionabile a settant'anni lede il diritto dei pensionati alla giusta pensione quale retribuzione differita;

 

B) se l'art. 3 della legge 19 febbraio 1991, n. 50, che per i primari ospedalieri ha elevato l'età pensionabile a settant'anni, nella parte in cui non estende detto beneficio anche al personale della stessa qualifica collocato a riposo prima del 21 febbraio 1991, data di entrata in vigore della legge, violi:

 

a) l'art. 3 della Costituzione, per la ingiusta ed irrazionale disparità di trattamento che si verifica tra appartenenti alla stessa categoria a seconda della data di collocamento a riposo;

 

b) l'art. 38, secondo comma, della Costituzione per la ingiusta diminuzione di un beneficio previdenziale che si attua a danno di coloro che sono stati collocati a riposo anteriormente all'entrata in vigore della legge censurata.

 

2. - Le questioni non sono fondate.

 

I giudici remittenti chiedono una sentenza additiva con la quale si estenda ai primari medici ed ai veterinari dirigenti di ruolo delle uu.ss.ll., in posizione apicale, la facoltà di ottenere a domanda il prolungamento a settant'anni del collocamento a riposo, precedentemente previsto a sessantacinque anni, per raggiungere gli anni di servizio richiesti per il massimo della pensione, già accordata ai dirigenti civili dello Stato dall'art. 1, quarto comma-quinquies del decreto-legge n. 413 del 1989, convertito, con modificazioni, in legge n. 37 del 1990; trattamento identico a quello previsto per il personale direttivo, ispettivo, docente e non docente della scuola dall'art. 15, secondo e terzo comma, della legge n. 477 del 1973 e successive modificazioni, anche per effetto delle sentenze della Corte costituzionale intervenute in materia.

 

2.1. - In via generale si osserva che la previsione del prolungamento o meno dell'età del collocamento a riposo dei pubblici dipendenti è affidata alla valutazione discrezionale del legislatore che prende in considerazione esigenze di varia natura, nonché realizza la tutela di beni ed interessi vari. Come gli stessi giudici remittenti rilevano, dette esigenze si sono concretate per determinate categorie di pubblici dipendenti nella necessità di porre rimedio a sperequazioni ed a discriminazioni che si erano verificate nell'ambito di una stessa categoria. Il legislatore ha tenuto conto anche dell'allungamento della durata media della vita umana, della opportunità di utilizzare esperienze e capacità professionali, delle necessità di ordine finanziario. Ha attuato anche finalità socio-economiche (garanzie del trattamento minimo pensionistico; aumento della durata della contribuzione; ritardo della erogazione della pensione; garanzia di una maggiore tutela previdenziale.).

 

Siccome la soluzione adeguatrice invocata è frutto di una valutazione discrezionale, anziché essere conseguenza necessaria del giudizio di costituzionalità e la Corte non dovrebbe procedere ad una estensione logicamente necessitata ed implicita nella potenzialità interpretativa del contesto normativo in cui è inserita la disposizione impugnata, alla stregua di quanto già affermato (sent. Corte cost. n. 1107 del 1988) non è possibile emettere una sentenza additiva.

 

3. - Peraltro, non sussistono nemmeno le prospettate violazioni dei precetti costituzionali richiamati. Infatti, le categorie dei primari medici e dei dirigenti veterinari delle uu.ss.ll. e quella dei dirigenti civili dello Stato non sono omogenee. I primi, specie a seguito della riforma sanitaria, svolgono funzioni nettamente differenziate rispetto a quelle dei dirigenti statali, anche se possono cogliersi alcune convergenze di modeste entità, quali la responsabilità organizzativa di complesse unità divisionali, la cura della preparazione e del perfezionamento tecnico professionale del personale dipendente, la promozione della ricerca didattica e scientifica. Non è attribuita ai primari medici l'attuazione dei fini e degli interessi dell'ente, la sua rappresentanza esterna con le connesse responsabilità.

 

Il richiamo all'avvenuto mutamento del quadro legislativo, posto in rilievo dai giudici remittenti, non è utile in quanto non evidenzia ancora la esistenza di una regola generale, per tutti i dipendenti pubblici, del collocamento a riposo a settant'anni, ma solo la sussistenza di deroghe a favore di determinate categorie per ragioni varie e diverse, realizzate dal legislatore nell'attuazione di scelte discrezionali.

 

La regola dei settant'anni rimane ancora allo stato di tendenza, nella mera intenzione del legislatore manifestata nel corso dei lavori preparatori della legge n. 50 del 1991, emanata a favore dei primari medici ospedalieri.

 

4. - Né sussiste la dedotta violazione dell'art. 97 della Costituzione (principio del buon andamento dell'amministrazione). I rimedi apprestati a situazioni particolari e peculiari non incidono sull'organizzazione della pubblica amministrazione e sul suo funzionamento, anche perché non riguardano la intera disciplina del rapporto di pubblico impiego.

 

5. - Nemmeno risulta violato l'art. 38, secondo comma, della Costituzione.

 

Come più volte affermato (sentt. nn. 180 del 1982; 173 del 1986; 710 del 1988; ord. n. 17 del 1990), sono affidati alla discrezionalità del legislatore la determinazione dell'ammontare delle prestazioni previdenziali, il rafforzamento della tutela previdenziale, le variazioni dei trattamenti, salvo l'assicurazione, per tutti i lavoratori, della pensione minima, cui è finalizzato il lavoro prestato e la determinazione dell'età lavorativa, per la tutela delle esigenze di vita e la soddisfazione dei bisogni.

 

 

In altri termini, va apprezzato e protetto il prolungamento dell'età lavorativa perché al lavoratore sia garantito la pensione al minimo ma non può godere di eguale protezione e garanzia il raggiungimento di un trattamento pensionistico massimo.

 

Mentre nella prima ipotesi trattasi di valutazioni equitative che tendono a conferire il massimo di effettività alla garanzia del diritto sociale alla pensione, da riconoscersi a tutti i lavoratori in base all'art. 38, secondo comma, della Costituzione, e di un obiettivo che rientra in finalità costituzionalmente protette (sentt. Corte cost. n. 444 del 1990, n. 461 del 1989; n. 238 del 1988), l'altra garanzia rientra nella discrezionalità del legislatore e, siccome è solo una tendenza, allo stato giustificata da situazioni peculiari e particolari, la discrezionalità non degrada a manifesta irrazionalità. In altri termini, non sussiste per il legislatore un divieto assoluto di mantenere in servizio pubblici dipendenti perché raggiungano il massimo della pensione, ma non importa lesione del precetto di cui all'art. 38, secondo comma, della Costituzione, la mancata garanzia del raggiungimento di tale massimo indiscriminatamente, per tutti i dipendenti pubblici.

 

6. - Per quanto riguarda la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, legge 19 febbraio 1991, n. 50, si osserva che la detta legge ha disposto (art. 1) che i primari medici ospedalieri, i quali non abbiano raggiunto il numero di anni di servizio effettivo necessario per conseguire il massimo della pensione, possono chiedere di essere trattenuti nell'impiego fino al raggiungimento della necessaria anzianità e, comunque, non oltre il settantesimo anno di età. Ha fissato, inoltre, i termini per la presentazione della domanda (art. 1, n. 2) ed ha fatto salvo il diritto a rimanere in servizio fino a settanta anni per coloro che lo avessero conseguito in base a leggi precedenti (art. 6, legge 10 maggio 1964, n. 336, e decreto-legge 3 luglio 1982, n. 402, convertito, con modificazioni, in legge 3 settembre 1982, n. 627).

 

Dai lavori preparatori risultano ben evidenziate le ragioni della legge che in gran parte sono quelle rilevate dai giudici a quibus nelle ordinanze di remissione.

 

Sono state ricordate le varie leggi che hanno già elevato a settanta anni l'età pensionabile per raggiungere il massimo della pensione a favore di alcuni dipendenti pubblici, tra cui medici appartenenti a vari enti pubblici, nonché i principi contenuti nelle sentenze di questa Corte n. 238 del 1988 e n. 398 del 1988, nella stessa materia.

 

Sono state compiute certamente valutazioni di politica socio-economica che sono affidate alla discrezionalità del legislatore.

 

Per rimanere nella fattispecie, si ritiene che non siano fondati i prospettati dubbi di legittimità costituzionale (violazione degli artt. 3 e 38, secondo comma, della Costituzione) dell'art. 3, primo comma, della detta legge, il quale stabilisce che le disposizioni di cui agli articoli precedenti si applicano ai primari non ancora collocati a riposo alla data di entrata in vigore della legge e cioè al 21 febbraio 1991.

 

Pur ribadendosi che (Corte cost., sent. n. 143 del 1991; ord. 397 del 1991) spetta ai giudici ordinari accertare l'ambito di applicazione della suddetta legge, per disattendere le censure sollevate si ritiene sia sufficiente il richiamo ai principi più volte affermati da questa Corte (sentt. nn. 268 e 301 del 1986, 1032 del 1988; ord. n. 419 del 1990) secondo cui rientra nella discrezionalità del legislatore la fissazione della data di entrata in vigore della legge emanata essendo, peraltro, connaturale alla generalità delle leggi la demarcazione temporale (art. 73, u.c., della Costituzione). Né sussiste alcuna irrazionalità in quanto la impugnazione del collocamento a riposo non produce l'effetto di conservare in vita il rapporto di impiego cessato alla data prestabilita. E nemmeno nel caso in cui il giudice amministrativo adito ha disposto la sospensione degli effetti del relativo provvedimento. All'uopo si ricorda che il testo legislativo approntato dal comitato ristretto, nominato per la redazione della legge, conteneva la applicazione degli artt. 1 e 2 anche ai primari ospedalieri che avessero impugnato il provvedimento di collocamento a riposo, i cui ricorsi fossero ancora pendenti. Ma successivamente il testo è stato emendato nel senso attuale.

 

Né la riammissione in servizio di dipendenti collocati a riposo o comunque posti fuori servizio può considerarsi un istituto di carattere generale dell'amministrazione pubblica.

 

Si ribadisce, poi, come già detto innanzi, che è del pari affidata alla discrezionalità del legislatore la determinazione del contenuto e della durata dei trattamenti previdenziali, ferma restante la possibilità, da riconoscersi a tutti i lavoratori, del raggiungimento della pensione minima, che è una finalità costituzionalmente protetta.

 

Non si ritiene, quindi, di dover sollevare questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge n. 50 del 1991 nella parte in cui non estende il beneficio accordato della elevazione dell'età pensionabile a settanta anni a tutti i sanitari in posizione apicale e ai veterinari, richiesta dalla difesa di Picciotti Ovidio, perché non rilevante nel giudizio da lui instaurato, essendo stato collocato a riposo prima del 21 febbraio 1991.

 

 

per questi motivi

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

Dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale:

 

a) dell'art. 53 del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761 (Stato giuridico del personale delle unità sanitarie locali), dell'art. 1, comma quarto-quinquies del decreto-legge 27 dicembre 1989, n. 413 (Disposizioni urgenti in materia di trattamento economico dei dirigenti dello Stato e delle categorie ad essi equiparate, nonché in materia di pubblico impiego), convertito, con modificazioni, in legge 28 febbraio 1990, n. 37, in riferimento agli artt. 3 e 38, secondo comma, della Costituzione, sollevata dal T.A.R. della Sicilia, Sezione distaccata di Catania, nonché dal T.A.R. delle Marche con le ordinanze in epigrafe (R.O. nn. 399, 413 e 458 del 1991);

 

b) dell'art. 3 della legge 19 febbraio 1991, n. 50 (Disposizioni sul collocamento a riposo del personale medico dipendente) in riferimento agli artt. 3 e 38, secondo comma, della Costituzione, sollevata dal T.A.R. della Sicilia, Sezione distaccata di Catania, con l'ordinanza in epigrafe (R.O. n. 399 del 1991).

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 dicembre 1991.

 

 

Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA - Giuliano VASSALLI.

 

 

Depositata in cancelleria il 9 dicembre 1991.