Sentenza n. 346 del 1991

 

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SENTENZA N. 346

ANNO 1991

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Ettore GALLO                                                   Presidente

Dott. Aldo CORASANITI                                         Giudice

Dott. Francesco GRECO                                                 “

Prof. Gabriele PESCATORE                                           “

Avv. Ugo SPAGNOLI                                                    “

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA                               “

Prof. Antonio BALDASSARRE                                     “

Prof. Vincenzo CAIANIELLO                                       “

Avv. Mauro FERRI                                                         “

Prof. Luigi MENGONI                                                    “

Prof. Enzo CHELI                                                           “

Prof. Giuliano VASSALLI                                              “

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 17 della legge della Regione Umbria 31 maggio 1977, n. 23 (Norme per l'esercizio delle funzioni regionali in materia di formazione continua degli operatori socio-sanitari e di promozione sociale ed educazione sanitaria della popolazione), promosso con ordinanza emessa il 16 marzo 1990 dal Consiglio di Stato, Sezione sesta giurisdizionale sui ricorsi riuniti proposti da Istituto tecnico "Fermi e Fleming" contro Ministero della Sanità ed altri iscritta al n. 186 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell'anno 1991;

Visti gli atti di costituzione dell'Istituto tecnico "Fermi e Fleming" e della Regione Umbria;

Udito nell'udienza pubblica del 18 giugno 1991 il Giudice relatore Luigi Mengoni;

Uditi gli avvocati Claudio Rossano per l'Istituto tecnico "Fermi e Fleming" ed Alarico Mariani Marini per la Regione Umbria;

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Nel corso del giudizio di appello promosso dall'Istituto tecnico Fermi e Fleming di Perugia contro la sentenza del TAR dell'Umbria che aveva respinto l'impugnazione di una serie di provvedimenti della Giunta regionale umbra e dei Ministeri della sanità e della pubblica istruzione, con cui era stato escluso dall'attività di formazione delle professioni di ottico e di odontotecnico, il Consiglio di Stato, con ordinanza del 16 marzo 1990, pervenuta alla Corte costituzionale il 18 marzo 1991, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 17 della legge della Regione Umbria 31 maggio 1977, n. 23, in riferimento agli artt. 3, 24, 33 e 117 della Costituzione.

La norma denunciata, che costituisce il presupposto dei provvedimenti impugnati, dispone la revoca di tutte le autorizzazioni all'istituzione di scuole o corsi per gli operatori socio-sanitari concesse in precedenza dagli organi che ne avevano la competenza. Secondo l'interpretazione dei due ministeri sopra nominati e della Regione, condivisa dal Consiglio di Stato nella decisione n. 510 del 1989, devono considerarsi revocate ope legis le autorizzazioni a suo tempo concesse all'Istituto ricorrente con i dd.P.R. nn. 979 e 983 del 16 settembre 1972, ai sensi dell'art. 140 del t.u. delle leggi sanitarie, approvato con r.d. 27 luglio 1934, n. 1256.

Così interpretata, la disposizione è ritenuta dal giudice remittente contrastante anzitutto con l'art. 24 Cost. sul rilievo che l'adozione di un provvedimento sostanzialmente amministrativo nella forma e con l'efficacia della legge comporta la sottrazione dell'atto al sindacato del giudice amministrativo, in spregio al principio della divisione dei poteri. Conseguentemente sarebbe violato anche l'art. 3 Cost., in ragione della "diversità di trattamento tra cittadini di diverse regioni in relazione ad una differente tutela giurisdizionale pur dinanzi ad atti aventi il medesimo contenuto revocatorio".

Sarebbe poi violato l'art. 117 Cost. in quanto la disposizione denunciata inciderebbe nella sfera di competenza riservata allo Stato. Invero il trasferimento alle regioni delle funzioni amministrative nella materia de qua (art. 1, secondo comma, lett. f), del d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 10) non include il potere di autorizzare l'istituzione di scuole o corsi diretti al conferimento di una abilitazione professionale valida su tutto il territorio nazionale, come quella prevista dagli artt. 99 e 140 del citato testo unico del 1934.

Sarebbe violato, infine, l'art. 33, quarto comma, Cost., in quanto il compito di assicurare la parità in ambito nazionale a tutte le scuole private non può spettare che allo Stato.

2. - Nel giudizio davanti alla Corte si è costituito l'Istituto tecnico Fermi e Fleming aderendo alle argomentazioni svolte nell'ordinanza di rimessione e concludendo per la fondatezza della questione. In una memoria successiva il ricorrente sostiene, in particolare, che l'istituzione di scuole direttamente abilitanti all'esercizio della professione nell'intero territorio nazionale e la disciplina dell'abilitazione e del relativo esame sono elementi inscindibili, che non consentono, per ragioni di logica prima ancora che di diritto, una separatezza di competenze (statali e regionali).

Si è pure costituita la Regione Umbria, con atto successivamente integrato da un'ampia memoria, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.

In ordine alle censure riferite agli artt. 24 e 3 Cost. - premesso che più puntuale sarebbe stato il riferimento all'art. 113 Cost. - la Regione richiama la giurisprudenza di questa Corte in materia di leggi-provvedimento, nonché la sentenza n. 82 del 1982, secondo cui la possibilità di trattamenti diversi dei cittadini, purché giustificata dalle particolarità delle situazioni locali, è insita nello stesso riconoscimento delle autonomie regionali.

Quanto alla pretesa violazione degli artt. 117 e 33 Cost., la resistente ribadisce che il trasferimento delle funzioni amministrative alle regioni comprende anche le autorizzazioni di cui all'art. 140 del t.u. delle leggi sanitarie, all'uopo richiamando la sentenza n. 111 del 1975 di questa Corte e la già citata sentenza n. 510 del 1989 del Consiglio di Stato.

 

Considerato in diritto

 

1. - L'art. 17 della legge della Regione Umbria 31 maggio 1977, n. 23 (abrogata dalla legge reg. 21 ottobre 1981, n. 69), dispone, in via transitoria, la revoca di "tutte le autorizzazioni all'istituzione di scuole o corsi per gli operatori socio-sanitari, concesse in precedenza dagli organi che ne avevano competenza, nei casi in cui tale competenza spetti alla Regione. In relazione alle scuole istituite per impartire l'insegnamento delle arti ausiliarie delle professioni sanitarie ai sensi dell'art. 140 del t.u. delle leggi sanitarie approvato con r.d. 27 luglio 1934, n. 1256, per le quali le funzioni amministrative dello Stato sono state trasferite alle regioni dall'art. 1, secondo comma, lett. f), del d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 10, la disposizione riferita è impugnata dal Consiglio di Stato per contrasto:

a) con l'art. 24 Cost., perché sottrae un provvedimento sostanzialmente amministrativo al controllo di legittimità e di merito del giudice competente, in violazione del principio della divisione dei poteri;

b) con l'art. 3 Cost., perché ne consegue una disparità di trattamento tra cittadini di diverse regioni in ordine alla tutela giudiziaria dei diritti lesi da atti di revoca delle autorizzazioni da cui derivano;

c) con l'art. 117 Cost., in quanto invasiva della competenza riservata allo Stato per l'autorizzazione di scuole o corsi di formazione professionale diretti al conferimento di una abilitazione valida in tutto il territorio nazionale;

d) con l'art. 33, quarto comma, Cost., in quanto la sovrapposizione di competenze indicata sub c) incide anche sul compito dello Stato di assicurare la parità in ambito nazionale di tutte le scuole private.

2. - La questione non è fondata.

Il riferimento della censura sub a) all'art. 24 Cost., piuttosto che all'art. 113, come obietta il patrocinio della Regione, non modifica i termini della questione di legittimità costituzionale delle leggi-provvedimento, più volte esaminata e decisa in senso affermativo da questa Corte (cfr., da ultimo, sent. nn. 190 del 1986, 331 del 1988, 143 del 1989). L'art. 113, primo comma, non è se non una specificazione del principio di cui al primo comma dell'art. 24 nel campo della giustizia amministrativa, spiegabile per ragioni storico-politiche. S'intende che l'ammissibilità di leggi aventi un contenuto concreto e particolare incontra un limite specifico nel rispetto della funzione giurisdizionale in ordine alla decisione delle cause in corso, nonché il limite generale costituito dal principio di ragionevolezza. Ma nella specie di nessuno di questi limiti è affermata la violazione. L'art. 3 Cost. è invocato sotto il profilo del principio di eguaglianza, con una argomentazione legata da un nesso di consequenzialità con la premessa di illegittimità, per se stesse, delle leggi-provvedimento, di guisa che la censura sub b) sta o cade con la censura sub a) (cfr. sent. n. 83 del 1982).

Sotto il profilo del principio di ragionevolezza la norma in esame è giustificata dalla necessità di procedere a un riesame globale delle autorizzazioni precedentemente concesse dagli organi investiti di tale competenza, al fine di verificare la conformità delle scuole e dei corsi che le avevano ottenute agli obiettivi e alle condizioni della programmazione regionale della formazione professionale, requisito poi confermato dall'art. 4 della legge-quadro 21 dicembre 1978, n. 845.

3. - Quanto alla pretesa violazione dell'art. 117 Cost., occorre premettere che le scuole gestite dall'Istituto ricorrente sono state istituite a norma dell'art. 140 del t.u. delle leggi sanitarie per il rilascio della licenza di abilitazione all'esercizio di un'arte ausiliaria delle professioni sanitarie, cioè per l'esercizio dell'attività di formazione professionale prevista dall'art. 1, secondo comma, lett. f) del d.P.R. n. 10 del 1972, in ordine alla quale le funzioni amministrative degli organi centrali e periferici dello Stato, e in particolare la competenza autorizzativa prevista dall'art. 140, terzo comma, del testo unico citato, sono state trasferite alle regioni.

L'assunto del giudice a quo, secondo cui la norma denunciata si sarebbe sovrapposta a un potere di autorizzazione che è rimasto riservato allo Stato, non è sostenibile. Poiché i corsi di formazione professionale di cui è causa abilitano, mediante l'esame finale tecnico-pratico, all'esercizio della professione di ottico o odontotecnico nell'intero territorio nazionale, è indubbiamente riservata allo Stato la disciplina delle condizioni di accesso alla professione per quanto riguarda sia la fissazione a livello nazionale di standards minimi di insegnamento teorico e addestramento pratico, sia la valutazione del risultato della frequenza dei corsi e quindi la determinazione dei criteri di formazione delle commissioni giudicatrici dell'esame di abilitazione (cfr. sent. nn. 89 del 1977 e 245 del 1990). Ma ciò non significa, come ha già precisato la sent. n. 111 del 1975, che lo Stato abbia conservato il potere di autorizzazione previsto dall'art. 140, terzo comma, del citato testo unico, di guisa che nell'attuale sistema questa autorizzazione "convivrebbe" con "l'eventuale autorizzazione derivante dalla normativa regionale e nei limiti in cui questa la prevede e richieda". Tale interpretazione non solo è manifestamente contraria alla lettera dell'art. 1 del d.P.R. n. 10 del 1972, ma ascrive alla legge un significato irrazionale dal punto di vista dei criteri di buona amministrazione. Titolare del potere di autorizzazione previsto dall'art. 140 è ora esclusivamente la regione, la quale dovrà verificare anche la conformità dei programmi di insegnamento e dei controlli di idoneità della preparazione degli allievi alle condizioni di accesso alla professione stabilite dalla legislazione statale.

4. - Nemmeno è violato l'art. 33, quarto comma, Cost. Pur ammesso, nonostante il silenzio in proposito dell'art. 2, ultimo comma, della legge-quadro n. 845 del 1978, che il diritto di "chiedere la parità" attribuito alle scuole non statali (in rapporto alle scuole statali) sia riconoscibile anche alle scuole private operanti nel campo della formazione professionale affidata alle regioni (estranea all'ordinamento scolastico in senso stretto e fondata sull'art. 35 Cost.: cfr. sent. n. 191 del 1991), l'uniformità di condizioni della parità non può essere assicurata a tali scuole se non nei limiti di competenza della legislazione statale, mentre per la parte di competenza regionale la possibilità di differenziazioni da regione a regione è insita nella stessa norma costituzionale (art. 117) che in questa materia prevede una potestà legislativa concorrente delle regioni a tutela delle esigenze particolari dei mercati locali del lavoro, dei quali la formazione professionale è uno strumento di gestione.

 

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

Dichiara non fondata la questione di legittimità dell'art. 17 della legge della Regione Umbria 31 maggio 1977, n. 23 (Norme per l'esercizio delle funzioni regionali in materia di formazione continua degli operatori socio-sanitari e di promozione sociale ed educazione sanitaria della popolazione), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 33 e 117 della Costituzione, dal Consiglio di Stato con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 luglio 1991.

 

Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Francesco GRECO - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Giuliano VASSALLI.

 

Depositata in cancelleria il 15 luglio 1991.