Ordinanza n. 334 del 1991

 

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ORDINANZA N. 334

ANNO 1991

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Ettore GALLO                                                   Presidente

Dott. Aldo CORASANITI                                         Giudice

Dott. Francesco GRECO                                                 “

Prof. Gabriele PESCATORE                                           “

Avv. Ugo SPAGNOLI                                                    “

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA                               “

Prof. Antonio BALDASSARRE                                     “

Prof. Vincenzo CAIANIELLO                                       “

Avv. Mauro FERRI                                                         “

Prof. Luigi MENGONI                                                    “

Prof. Enzo CHELI                                                           “

Dott. Renato GRANATA                                                “

Prof. Giuliano VASSALLI                                              “

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 321 del codice di procedura penale, promossi con n. 2 ordinanze emesse il 19 gennaio 1991 dal Giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Cosenza, iscritte rispettivamente ai nn. 157 e 158 del registro ordinanze 1991 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11, prima serie speciale, dell'anno 1991;

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nella camera di consiglio del 22 maggio 1991 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello;

Ritenuto che, il Giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Cosenza, con due ordinanze di identico contenuto emesse in data 19 gennaio 1991, ha sollevato, in riferimento all'art. 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 321 del codice di procedura penale;

che la norma impugnata viene censurata nella parte in cui, non prevedendo che, nei reati perseguibili a querela, la richiesta di sequestro preventivo possa essere presentata anche dalla persona offesa querelante, ne violerebbe il diritto costituzionalmente garantito alla tutela giurisdizionale;

che il giudice a quo, escludendo che nella fattispecie sottoposta al suo esame, ricorrano i presupposti per disporre il sequestro probatorio e condividendo l'orientamento della Corte di cassazione che, in base al tenore letterale dell'art. 321 del codice di procedura penale, esclude la possibilità per il g.i.p. di decidere in ordine al sequestro preventivo se non su esclusiva richiesta del p.m., ritiene che, nei reati la cui procedibilità è rimessa alla volontà dei privati, la richiesta di sequestro preventivo non può rientrare nell'esclusiva disponibilità del pubblico ministero che è parte;

che, sempre ad avviso del giudice rimettente, il relativo potere andrebbe, invece, riconosciuto anche al privato, dalla cui manifestazione di volontà dipende l'esercizio dell'azione penale, e la cui tutela giurisdizionale, garantita dall'art. 24 della Costituzione, risulta fortemente limitata dalla norma impugnata, soprattutto in relazione agli effetti che la misura cautelare in questione sarebbe in grado di offrirgli, facendo cessare la situazione di illiceità che lo aveva indotto a presentare la querela;

che nel giudizio così promosso ha spiegato intervento l'Avvocatura generale dello Stato rilevando anzitutto che, non essendo stata presentata al giudice a quo alcuna richiesta di sequestro preventivo, l'eventuale accoglimento della questione risulterebbe irrilevante ai fini del decidere;

che, nel merito, l'interveniente ha poi osservato che il fondamento dell'istituto in esame consiste nell'esigenza di tutela della collettività in relazione al protrarsi dell'attività criminosa e dei suoi effetti, e pertanto, ogni iniziativa al riguardo non potrebbe che spettare, in via esclusiva, al pubblico ministero, mentre la circostanza che l'adozione della misura possa risultare utile anche al soddisfacimento degli interessi della persona offesa non potrebbe avere alcun rilievo;

che, peraltro, con specifico riferimento alla posizione processuale del querelante, la questione apparirebbe del tutto priva di fondamento, dal momento che, nei reati perseguibili a querela, l'interesse leso dalla condotta antigiuridica non sarebbe certamente meritevole di una maggiore tutela;

Considerato che l'eccezione di inammissibilità, per difetto di rilevanza, sollevata dall'interveniente non ha fondamento, poiché la concreta valutazione dei presupposti per l'emanazione del provvedimento spetta al giudice a quo, che l'ha evidentemente operata in relazione a quell'istanza di sequestro che - dall'esame degli atti - risulta presentata contestualmente alla proposizione della querela;

che, per quanto attiene invece al merito della questione, l'esercizio del potere di sequestro preventivo, essendo finalizzato ad interrompere l'iter criminoso o ad impedirne la progressione, e quindi ispirato ad un'evidente ratio di prevenzione del reato, non può che spettare al pubblico ministero, che è bensì parte, ma parte pubblica (vedi sentt. nn. 190 e 88 del 1991);

che la predetta esigenza "di tutela della collettività con riferimento al protrarsi dell'attività criminosa e dei suoi effetti" (relazione al Progetto preliminare del codice di procedura penale) non può ontologicamente confondersi con l'eventuale interesse della parte offesa querelante alla cessazione della situazione di illecito, che non sempre sussiste e che comunque è ben distinto dall'interesse manifestato - attraverso la presentazione della querela - all'esercizio dell'azione penale nei confronti dell'autore del reato;

che la mancata inclusione della tutela di tale interesse nell'ambito delle finalità perseguite dall'istituto del sequestro preventivo è questione che attiene alle scelte del legislatore e, in ogni caso, non viola l'invocato parametro costituzionale, sia perché il predetto interesse non deve necessariamente trovare la sua garanzia, seppure indiretta, negli strumenti del processo penale, sia perché appare comunque sufficientemente tutelato dalle misure cautelari esperibili nel processo civile;

che, pertanto, la sollevata questione va dichiarata manifestamente infondata;

Visti gli artt. 26, comma secondo, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma secondo, delle norme integrative per i giudizi davanti la Corte costituzionale;

 

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

Dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 321 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento all'art. 24, della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Cosenza, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 luglio 1991.

 

Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA - Giuliano VASSALLI.

 

Depositata in cancelleria l'11 luglio 1991.