Sentenza n. 295 del 1991

 

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SENTENZA N. 295

 

ANNO 1991

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. Ettore GALLO                                                   Presidente

Dott. Aldo CORASANITI                                         Giudice

Prof. Giuseppe BORZELLINO                                       “

Dott. Francesco GRECO                                                 “

Prof. Gabriele PESCATORE                                           “

Avv. Ugo SPAGNOLI                                                    “

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA                               “

Prof. Antonio BALDASSARRE                                     “

Prof. Vincenzo CAIANIELLO                                       “

Avv. Mauro FERRI                                                         “

Prof. Luigi MENGONI                                                    “

Prof. Enzo CHELI                                                           “

Dott. Renato GRANATA                                                “

Prof. Giuliano VASSALLI                                              “

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art.7, primo comma, del decreto-legge 21 marzo 1988, n. 86 (Norme in materia previdenziale, di occupazione giovanile e di mercato del lavoro, nonché per il potenziamento del sistema informatico del ministero del lavoro e della previdenza sociale), convertito, con modificazioni, in legge 20 maggio 1988, n. 160, promosso con ordinanza emessa il 19 gennaio 1991 dal Pretore di Messina nel procedimento civile vertente tra Costa Rosetta e I.N.P.S., iscritta al n. 220 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 15 prima Serie speciale dell'anno 1991;

Visto l'atto di costituzione dell'I.N.P.S. nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nella camera di consiglio del 22 maggio 1991 il Giudice relatore Aldo Corasaniti;

Ritenuto in fatto

1. - Nel corso di un giudizio promosso da Rosetta Costa nei confronti dell'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (I.N.P.S.) per la rivalutazione della indennità di disoccupazione, per gli anni precedenti il 1988, a seguito della sentenza n. 497 del 1988 di questa Corte, l'adito Pretore di Messina, con ordinanza emessa il 19 gennaio 1991, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 2, 3 e 38, secondo comma, Cost., dell'art. 7, primo comma, del d.l. 21 marzo 1988, n. 86, recante "Norme in materia previdenziale, di occupazione giovanile e di mercato del lavoro, nonché per il potenziamento del sistema informatico del Ministero del lavoro e della previdenza sociale", convertito, con modificazioni, in l. 20 maggio 1988, n. 160, nella parte in cui non prevede alcuna indennità di disoccupazione per il periodo precedente alla sua entrata in vigore e per il periodo successivo al 31 dicembre 1988, né prevede alcun criterio di calcolo di detta indennità.

Premette il giudice a quo che, nelle more del giudizio al cui esito questa Corte dichiarava costituzionalmente illegittimo l'art. 13 del d.l. 2 marzo 1974, n. 30 (Norme per il miglioramento di alcuni trattamenti previdenziali ed assistenziali), convertito in l. 16 aprile 1974, n. 114 - che elevava a lire 800 al giorno la misura dell'indennità di disoccupazione ordinaria -, nella parte in cui non prevede un meccanismo di adeguamento del valore monetario ivi indicato, con il denunciato art. 7, primo comma, del d.l. n. 86 del 1988, l'importo di tale indennità veniva fissato, dalla data di entrata in vigore del decreto e per il solo 1988, "nella misura del 7,50% della retribuzione".

Ciò posto, l'autorità remittente osserva come, non essendo applicabile la nuova disciplina, limitata ad una parte dell'anno 1988, alle situazioni giuridiche formatesi prima della sua entrata in vigore - in questo senso già si era espressa, in motivazione, la sentenza n. 497 del 1988 citata -, e non essendo più applicabile, "neppure con eventuali correttivi", la norma (art. 13 del d.l. n. 30 del 1974) colpita dalla pronuncia di questa Corte, ci si trovi "di fronte all'insolubile problema del criterio da adottare per la definizione delle controversie pendenti".

La formulazione dell'art. 7, primo comma, del d.l. n. 86 del 1988 si appalesa così, secondo il giudice a quo, in contrasto con gli artt. 2, 3 e 38 Cost.

È violato infatti il principio di eguaglianza, in quanto soggetti titolari di un medesimo diritto, l'indennità di disoccupazione, lo vedono tutelato in modo diverso, o addirittura non tutelato affatto, in relazione ad un evento, l'epoca di maturazione del diritto, del tutto indipendente dalla loro volontà.

Se poi si considera che scopo della norma denunciata è "assicurare ai lavoratori mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di disoccupazione involontaria, e di dare conseguentemente attuazione tanto all'art. 2 quanto all'art. 38, secondo comma, Cost., la mancata regolamentazione, all'art. 7, primo comma, del d.l. n. 86 del 1988, sia dei periodi precedenti la sua entrata in vigore, che di quelli successivi al 31 dicembre 1988, si pone in netto contrasto con le previsioni costituzionali", in quanto, neppure in linea di ipotesi, si può ritenere che la disoccupazione involontaria sia fenomeno limitato all'anno 1988.

2. - Nel giudizio si è costituito l'INPS, concludendo per l'inammissibilità, e comunque per l'infondatezza, della questione.

Quanto alla mancata regolamentazione, lamentata dal giudice a quo, dei periodi successivi al 31 dicembre 1988, ad avviso dell'INPS la questione è manifestamente infondata, in quanto a ciò si era provveduto, in epoca anteriore all'ordinanza di rimessione, con il decreto-legge 1 aprile 1989, n. 119 ("Norme in materia di trattamento ordinario di disoccupazione e di proroga del trattamento straordinario di integrazione salariale in favore dei dipendenti delle società costituite dalla GEPI S.p.a. e dei lavoratori edili del Mezzogiorno, nonché di pensionamento anticipato") che, all'art. 1, dal 1° gennaio 1989 elevava la misura dell'indennità di disoccupazione al 15% della retribuzione.

Tale disciplina era contenuta anche nei successivi decreti-legge presentati (a seguito della mancata conversione in legge dei precedenti), sino agli ultimi, il decreto-legge 22 novembre 1990, n. 337, ed il decreto-legge 28 gennaio 1991, n. 29, che elevavano altresì, per il 1990, l'importo dell'indennità di disoccupazione al 20% della retribuzione.

In ordine al secondo aspetto della questione - la mancata previsione, per il periodo precedente l'entrata in vigore della norma censurata, di alcuna indennità di disoccupazione, né di alcun criterio di calcolo di detta indennità - osserva la difesa dell'INPS che già questa Corte, con la sentenza n. 497 del 1988, era consapevole, da una parte, dell'impossibilità per il Parlamento, in sede di conversione del decreto-legge n. 86 del 1988, di provvedere all'adeguamento degli importi per i periodi precedenti il 1988, "pena la decadenza del provvedimento" e, dall'altra, della irretroattività del provvedimento e, in ogni caso, della istituzionale competenza del legislatore a provvedere per il passato.

Infatti, quando si profilano una pluralità di soluzioni, derivanti da varie possibili valutazioni, l'intervento della Corte non è ammissibile - così le sentenze nn. 125 del 1988 e 109 del 1986 -, spettando la relativa scelta unicamente al legislatore. Qualora, per il caso di specie, i vari giudici ordinari, come paventato dall'autorità remittente, provvedessero per i periodi precedenti al 1988, si realizzerebbe una inevitabile diversità di tutela del diritto alla predetta indennità per i criteri di adeguamento ed i meccanismi di volta in volta prescelti.

3. - È intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l'infondatezza della questione, osservando che la cristalizzazione della misura dell'indennità prima del 1988 va valutato in funzione dell'esigenza di risanare le gestioni previdenziali a rilevante connotazione di solidarietà sociale.

Sulla base di scelte economico-sociali ed in funzione delle disponibilità di bilancio, il legislatore, nel fissare le diverse decorrenze per differenti regimi, si è lasciato guidare da criteri di gradualità come, segnatamente, per la delimitazione della sfera temporale della nuova disciplina.

Quanto alla proporzionalità di trattamento alle esigenze di base del lavoratore disoccupato, conclude l'Avvocatura, appartiene esclusivamente alla valutazione del legislatore ordinario disporre i mezzi per l'attuazione di tale principio.

Considerato in diritto

1. - È sollevata in via incidentale questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 2, 3 e 38, secondo comma, della Costituzione, dell'art. 7, primo comma, del decreto-legge 21 marzo 1988, n. 86 (Norme in materia previdenziale, di occupazione giovanile e di mercato del lavoro, nonché per il potenziamento del sistema informatico del Ministero del lavoro e della previdenza sociale), come convertito con la legge 20 maggio 1988, n. 160. L'impugnazione investe la norma denunciata nella parte in cui, mentre fissa per il solo periodo a decorrere dalla sua entrata in vigore alla fine dell'anno 1988 l'ammontare dell'indennità di disoccupazione di cui all'art. 13 del decreto-legge 2 marzo 1974, n. 30, come convertito con legge 16 aprile 1974, n. 114, nella maggior misura del 7,5 per cento della retribuzione, non dispone tale aumento, né un criterio di rivalutazione, per il tempo precedente, né per il tempo successivo.

 

2. - Il giudice a quo, premesso che l'art. 13 del suindicato decreto-legge n. 30 del 1974, come convertito, è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo con la sentenza di questa Corte n. 497 del 1988 per la parte in cui non prevede un meccanismo di rivalutazione dell'indennità di disoccupazione, osserva come, non "potendo essere applicata, neppure con eventuali correttivi", la norma ora indicata (applicabile in base ai principi sulla successione delle leggi), in quanto dichiarata illegittima, né quella successiva perché non retroattiva, egli si trovi messo "di fronte all'insolubile problema del criterio da adottare per la definizione delle controversie pendenti" e pertanto costretto ad impugnare la norma successiva per non avere retroattivamente disposto la rivalutazione o un meccanismo o un criterio per effettuarla.

3. - La norma impugnata è censurata sotto due profili:

a) perché non prevede un meccanismo di rivalutazione dell'indennità di disoccupazione per il periodo successivo al 1988;

b) perché non prevede un meccanismo di rivalutazione della detta indennità per il periodo anteriore alla sua entrata in vigore.

Sotto il profilo sub a) la questione è inammissibile, perché si desume dalla stessa ordinanza di rimessione che l'oggetto della controversia davanti al giudice a quo era limitato alla rivalutazione della indennità "per gli anni precedenti al 1988".

Sotto il profilo sub b) la questione è egualmente inammissibile.

Questa Corte, con la sentenza n. 497 del 1988, ha già pronunciato sul medesimo oggetto, vale a dire sulla legittimità costituzionale della norma - identificata nell'art. 13 della legge n. 114 del 1974 - regolatrice dell'indennità di disoccupazione fino all'entrata in vigore della nuova disciplina recata dal decreto-legge n. 86 del 1988 e ne ha dichiarato l'illegittimità costituzionale per lo stesso vizio ora dedotto (mancata rivalutazione dell'indennità per quel periodo) e in riferimento a parametri anche ora invocati (artt. 2 e 38, secondo comma, della Costituzione). Né la Corte ha mancato, con la citata sentenza, di prendere in esame il decreto-legge n. 86 del 1988 considerandolo, come soltanto poteva (e può) essere considerato, e cioè come il modo in cui avrebbe potuto essere, ma non era stata, realizzata la condizione che avrebbe impedito alla Corte stessa di pronunciarsi e di ravvisare la illegittimità costituzionale dedotta.

Questa Corte non può dunque pronunciarsi una seconda volta, come in realtà postula il giudice a quo.

Questi vi è indotto dalla considerazione che per effetto dell'intervenuta dichiarazione di illegittimità della norma applicabile e dell'irretroattività (e quindi della inapplicabilità) della norma ora impugnata esso giudice verserebbe nell'impossibilità di rinvenire criteri di giudizio per la decisione delle controversie.

Ma tale considerazione, a parte ogni riserva sulla sua rilevanza, non è comunque esatta.

La dichiarazione di illegittimità costituzionale di una omissione legislativa - com'è quella ravvisata nell'ipotesi di mancata previsione, da parte della norma di legge regolatrice di un diritto costituzionalmente garantito, di un meccanismo idoneo ad assicurare l'effettività di questo - mentre lascia al legislatore, riconoscendone l'innegabile competenza, di introdurre e di disciplinare anche retroattivamente tale meccanismo in via di normazione astratta, somministra essa stessa un principio cui il giudice comune è abilitato a fare riferimento per porre frattanto rimedio all'omissione in via di individuazione della regola del caso concreto.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

Dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 2, 3 e 38, secondo comma, della Costituzione, dell'art.7, primo comma, del decreto-legge 21 marzo 1988, n. 86 (Norme in materia previdenziale, di occupazione giovanile e di mercato del lavoro, nonché per il potenziamento del sistema informatico del Ministero del lavoro e della previdenza sociale), convertito, con modificazioni, in legge 20 maggio 1988, n. 160, sollevata dal Pretore di Messina con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, 17 giugno 1991.

Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA - Giuliano VASSALLI.

Depositata in cancelleria il 26 giugno 1991.