Ordinanza n. 247 del 1991

 

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ORDINANZA N. 247

ANNO 1991

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Dott. Aldo CORASANITI                                         Presidente

Prof. Giuseppe BORZELLINO                                  Giudice

Dott. Francesco GRECO                                                 “

Prof. Gabriele PESCATORE                                           “

Avv. Ugo SPAGNOLI                                                    “

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA                               “

Prof. Antonio BALDASSARRE                                     “

Prof. Vincenzo CAIANIELLO                                       “

Avv. Mauro FERRI                                                         “

Prof. Luigi MENGONI                                                    “

Prof. Enzo CHELI                                                           “

Dott. Renato GRANATA                                                “

Prof. Giuliano VASSALLI                                              “

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 39 del codice penale militare di pace, in relazione all'art. 5 del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 4 dicembre 1990 dal Tribunale militare di Padova nel procedimento penale a carico di Bandiera Marino iscritta al n. 116 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10, prima serie speciale, dell'anno 1991.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

Udito nella camera di consiglio dell'8 maggio 1991 il Giudice relatore Giuliano Vassalli;

Ritenuto che nel corso del giudizio penale a carico di Bandiera Marino, imputato del reato di mancanza alla chiamata alle armi aggravata, il Tribunale militare di Padova, con ordinanza del 4 dicembre 1990, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 39 del codice penale militare di pace, in relazione all'art. 5 del codice penale, con riferimento agli artt. 2, 3, 25, secondo comma, 27, primo comma, e 52, terzo comma, della Costituzione, sul presupposto che, nonostante l'omessa presentazione alle armi dell'imputato sia stata determinata "dall'erronea convinzione, a sua volta cagionata da erronee comunicazioni dell'autorità, di non essere tenuto a presentarsi alle armi sulla base del solo pubblico manifesto", l'art. 39 del codice penale militare di pace varrebbe ad escludere ogni rilievo dell'ignoranza delle norme che impongono la presentazione sulla base dei pubblici manifesti anche nei casi in cui manchi il precetto personale, ignoranza che, invece, assumerebbe valore scriminante "a norma dell'art. 5 del codice penale, come modificato con la sentenza della Corte costituzionale n. 364 del 1988, alle condizioni nella medesima precisate";

E che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile e, in subordine, infondata;

Considerato che questa Corte, chiamata a pronunciarsi su questione analoga (sentenza n. 325 del 1989), ha osservato come la passata interpretazione data dalla dottrina e dalla giurisprudenza militare all'art. 39 del codice penale militare di pace, "nel senso che ivi sarebbe posta una limitazione - in relazione ai doveri militari - all'efficacia scusante dell'errore extra penale di cui all'art. 47, ultimo comma, del codice penale", pur se "certamente rispondente all'ideologia degli autori del codice, non è più oggi giustificabile, sia perché contraria ai principi fondamentali del diritto penale (che sono principi di civiltà), sia perché nel nuovo ordinamento democratico, anche militare, quei principi sono collegati all'ispirazione di fondo della Costituzione che rende ormai anacronistica quella interpretazione", sicché per "ignoranza dei doveri" deve intendersi "ignoranza delle fonti normative dei doveri", mentre "gli atti amministrativi che condizionano il dovere in concreto sono 'fatti' od 'atti' (come il manifesto) che rendono operante il dovere in astratto disciplinato dalla norma giuridica, e perciò si ricollegano al principio di cui alla prima parte dell'art. 47 del codice penale"; linea interpretativa, quella testé enunciata, che del resto ha ormai finito per prevalere nella stessa giurisprudenza militare, "la quale ha appunto ritenuto che errore sulla portata del manifesto, vertendo su un atto amministrativo, è in realtà errore sul presupposto storico per l'attuazione del dovere in concreto", di talché, proprio in quanto errore di fatto che incide sul dolo, se ne postula la rilevanza "anche nell'area dell'art. 39 del codice penale militare di pace" in base alla disciplina generale sancita dall'art. 16 del codice penale;

che nella specie deve ritenersi del tutto escluso qualsiasi rilievo della "ignoranza dei doveri" nel senso dianzi precisato (ignoranza dei doveri "in astratto", ossia delle relative fonti normative), posto che il rimettente per un verso dà per pacifico che l'imputato "già residente all'estero, ben sapeva che chi rientra in Italia anteriormente al compimento del 26° anno di età è tenuto a svolgere il servizio militare, e da amici aveva pure appreso che ciò disponevano anche i pubblici manifesti", mentre, sotto altro profilo, assume come provata la circostanza che l'imputato medesimo omise di prestare attenzione ai bandi di chiamata, a seguito di erronee informazioni fornitegli dai militi della locale Stazione dei Carabinieri in occasione del ritiro del precetto personale;

che, pertanto, l'errore che profila il rimettente si esaurisce in un tema di mero fatto che rinviene disciplina generale nell'art. 47, primo comma, del codice penale, di tal che l'ignoranza del manifesto non assume nel procedimento a quo rilevanza alcuna sotto il profilo della conoscenza astratta dei doveri e della conseguente e dedotta interferenza che verrebbe a stabilirsi tra l'art. 5 del codice penale - così come dichiarato parzialmente illegittimo con sentenza di questa Corte n. 364 del 1988 - e l'art. 39 del codice penale militare di pace;

E che, quindi, la questione ora proposta deve essere dichiarata manifestamente inammissibile;

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

 

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

Dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 39 del codice penale militare di pace, in relazione all'art. 5 del codice penale, sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 13, 25, secondo comma, 27, primo comma, e 52, terzo comma, della Costituzione, dal Tribunale militare di Padova con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 maggio 1991.

 

Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA - Giuliano VASSALLI.

 

Depositata in cancelleria il 30 maggio 1991.