Sentenza n. 218 del 1991

 

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SENTENZA N. 218

 

ANNO 1991

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Ettore GALLO                                                   Presidente

Dott. Aldo CORASANITI                                         Giudice

Prof. Giuseppe BORZELLINO                                       “

Dott. Francesco GRECO                                                 “

Prof. Gabriele PESCATORE                                           “

Avv. Ugo SPAGNOLI                                                    “

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA                               “

Prof. Antonio BALDASSARRE                                     “

Prof. Vincenzo CAIANIELLO                                       “

Avv. Mauro FERRI                                                         “

Prof. Luigi MENGONI                                                    “

Prof. Enzo CHELI                                                           “

Dott. Renato GRANATA                                                “

Prof. Giuliano VASSALLI                                              “

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2- bis della legge 3 aprile 1979, n. 95 ("Provvedimenti urgenti per l'amministrazione delle grandi imprese in crisi"), promosso con ordinanza emessa il 12 ottobre 1990 dalla Corte d'appello di Roma nel procedimento civile vertente tra S.p.A. C.M.P. - Compagnia Mediterranea di Prospezioni e Ministero del Tesoro iscritta al n. 23 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell'anno 1991;

 

Visto l'atto di costituzione della S.p.A. C.M.P. - Compagnia Mediterranea di Prospezioni, nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

Udito nell'udienza pubblica del 9 aprile 1991 il Giudice relatore Renato Granata;

 

Uditi l'avvocato Michele Tamponi per la S.p.A. C.M.P. - Compagnia Mediterranea di Prospezioni e l'Avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei Ministri;

 

 

Ritenuto in fatto

 

 

1. - In un giudizio civile promosso dal Ministero del Tesoro nei confronti della società C.M.P. (Compagnia Mediterranea di Prospezioni) in amministrazione straordinaria, per ottenere, con l'ammissione in prededuzione al passivo, il recupero di somme corrisposte dallo Stato quale garante, ai sensi dell'art. 2- bis della legge 3 aprile 1979 n. 95, di debiti rimasti inadempiuti della stessa società verso vari istituti creditizi, la Corte di Roma (adita in secondo grado, su gravame della convenuta avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto la domanda del Ministero), ritenutane la rilevanza e la non manifesta infondatezza, ha sollevato, con ordinanza del 12 ottobre 1990: questione incidentale di legittimità del citato art. 2- bis "nella parte in cui non è esclusa la prededuzione dei crediti garantiti dallo Stato e fatti valere nei confronti della società in amministrazione straordinaria con l'azione di regresso", per contrasto con l'art. 3 Cost.

 

Sulla premessa che la garanzia statuale, ivi prevista, per debiti di imprese in a.s. abbia natura di vera e propria fideiussione, con il conseguente subingresso dello Stato escusso nella posizione dell'ente finanziatore, creditore della massa ex art.111 n. 1 L.F., ha ipotizzato, invero, la Corte rimettente che ne risulti, per l'effetto, un eccessivo pregiudizio per i creditori anteriori, suscettibile di incidere sulla legittimità della normativa denunciata.

 

La posizione di eccessivo privilegio, nel momento liquidatorio e satisfattivo, che il meccanismo della prededuzione riserva allo Stato garante, determinerebbe, infatti, una ingiustificata alterazione dell'equilibrio tra interesse pubblico ed interesse privato, "facendo cadere tutto il rischio dell'operazione sui creditori anteriori".

 

Ne risulterebbe, parallelamente, una arbitraria equiparazione dei debiti conseguenti al mancato pagamento dei finanziamenti ai debiti di massa di cui all'art. 111 n. 1 L.F. E ciò nonostante che i debiti di massa, ex articolo cit., siano contratti per una continuazione dell'esercizio dell'impresa voluta dai creditori, e non loro imposta come nel caso dell'a.s., e malgrado la mancata previsione, in detta ultima procedura, sia di meccanismi di subordinazione della continuazione o ripresa dell'esercizio dell'impresa al parere dei creditori analoghi a quelli disciplinati dall'art. 90 L.F., sia comunque di una forma di interpello preventivo dei creditori, come quello richiesto per l'ammissione dell'imprenditore all'amministrazione controllata, di per sé comportante la continuazione dell'impresa.

 

2. - Nel giudizio innanzi alla Corte si è costituita la società C.M.P., in persona del Commissario, che ha svolto considerazioni adesive a quelle del giudice a quo, ed ha pure prospettato, in linea preliminare, una diversa esegesi della norma impugnata, sostenendo la natura non fideiussoria dell'ivi prevista garanzia statuale e negando comunque la spettanza allo Stato del diritto di surroga con prededuzione.

 

Il che si desumerebbe (come particolarmente sottolineato in successiva memoria) dal silenzio mantenuto dal legislatore del 1979:

 

a) sia in ordine alla qualificazione fideiussoria della predetta garanzia, laddove "nei casi in cui è stato affidato allo Stato il ruolo di fideiussore, ciò è stato disposto espressamente, come nell'articolo unico della l. 825/1978, relativo ad obbligazioni I.R.I.; o nell'art. 4, comma 2°, l. 573/1979 concernente le obbligazioni emesse dagli istituti di credito a medio e lungo termine che esercitano il credito industriale";

 

b) sia in ordine alla collocazione del credito statuale, conseguente all'escussione, tra quelli prededucibili ai sensi dell'art. 111 n. 1 L.F., laddove anche la parificazione ai crediti di massa agli effetti della prededuzione - ove voluta dal legislatore - sarebbe stata sempre chiaramente esplicitata come nelle ipotesi, sempre relative a fattispecie di amministrazione straordinaria, di debiti dell'impresa per le indennità di anzianità dei lavoratori (di cui all'art. 4 l. 1981 n. 544), di debiti dalle imprese, di navigazione marittime (ai sensi dell'art. 1 l. 1981 n. 381), di debiti contratti per l'acquisto di bietole ( ex art. 3 l. 1983 n. 546).

 

3. - È altresì intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, per il tramite dell'Avvocatura di Stato. La quale ha, in linea preliminare, eccepito l'inammissibilità dell'odierna impugnativa in ragione della natura additiva della pronuncia richiesta, nonché della irrilevanza della questione, sia per la insussistenza di un interesse del Commissario ad opporsi alla prededuzione del credito statuale, sia per la tardività di tale contestazione nella sede del giudizio a quo. E, nel merito, ha eccepito (anche con successiva memoria) l'inconsistenza comunque del dubbio di legittimità prospettato.

 

 

Considerato in diritto

 

 

1. - L'art. 2- bis della l. 3 aprile 1979 n. 95, sulla cui legittimità la Corte è chiamata a pronunciarsi in relazione al profilo di violazione dell'art. 3, Cost. in narrativa indicato, dispone - con riguardo alle esigenze di finanziamento della gestione corrente e di riattivazione e completamento di impianti ed attrezzature industriali di società poste in amministrazione straordinaria ai sensi della stessa legge - che lo Stato possa (entro predeterminati limiti di ammontare) "garantire in tutto o in parte" i debiti all'uopo contratti, dalle dette società, con istituzioni creditizie.

 

2. - Si tratta - secondo l'interpretazione presupposta dal giudice a quo e, del resto, condivisa da dottrina e giurisprudenza (sul punto pressoché unanimi) - di una vera e propria garanzia fideiussoria. Non ostando a tale configurazione la circostanza, eccepita dalla difesa della costituita C.M.P., che nella legge n. 95 del 1979 - diversamente che in altre leggi che attribuiscono allo stato il ruolo di fideiussore (n. 825/78, relativa ad obbligazioni IRI, e n. 573/7/9 concernente obbligazioni emesse da istituti che esercitano il credito industriale) - manchi un espresso richiamo alla disciplina della fideiussione.

 

Ed invero - a parte la naturale conseguenzialità di tale disciplina all'adottato meccanismo della garanzia personale, che rende superfluo il suo richiamo espresso - sta di fatto che, per l'esplicitazione delle condizioni e modalità di prestazione della garanzia, l'ultimo comma del denunciato art. 2- bis rimanda ad un successivo decreto del Ministero del Tesoro: nel quale (v. lett. i) D.M. 19 giugno 1979) si ritrova, in parte qua, riprodotto, alla lettera, il testo delle leggi 825/78 e 573/79 ed è espressamente richiamata (v. lett. g)), a determinati effetti, proprio una delle disposizioni dettate dalla disciplina codicistica della fideiussione.

 

3. - Discende, da tale riferita struttura della garanzia, che lo Stato, una volta escusso in luogo della società debitrice, si surroghi (v. artt. 1949, 1203 c.c. e D.M. cit. lett. l)) nei diritti dei creditori della massa. I quali sono, per loro natura, assistiti dall'attributo della prededuzione, rispetto ai crediti anteriori, per disposto dell'art. 111 n. 1 L.F.

 

Anche sotto tale profilo privo di consistenza è, infatti, il contrario rilievo esegetico, formulato in memoria della C.M.P., di un presunto "silenzio mantenuto dal legislatore del 1979 sulla prededucibilità dei crediti di massa ex art. 111 cit.: essendo detta ultima norma - peraltro di generale applicazione nelle procedure concorsuali - viceversa richiamata dalla legge n. 95, attraverso il rinvio operato, dal comma 5° del suo art. 1, alle disposizioni sulla liquidazione coatta amministrativa, che, a loro volta (v. art. 212 L.F.), alla prededuzione fanno richiamo.

 

4. - La previsione di una siffatta garanzia fideiussoria, nel contesto della norma denunciata - pur senza, per quanto detto, formalmente toccare il sistema delle prededuzioni ed il rapporto tra creditori anteriori e creditori della massa (qui invero riprodotto in modo identico a quello previsto in tutte le altre procedure concorsuali) - produce un innegabile e voluto effetto di incentivazione del credito alla società in crisi, per la copertura appunto che la garanzia statuale offre alle istituzioni creditizie.

 

Con la conseguenza che, in caso di esito negativo del progetto di risanamento, attraverso il predisposto meccanismo satisfattivo dei creditori successivi da parte dello Stato garante e la surroga di questo nella correlativa posizione di creditore in preduzione, il rischio economico della procedura può finire effettivamente col gravare sui creditori pregressi.

 

Ciò appunto ha indotto il giudice a quo a prospettare il dubbio di una possibile alterazione dell'equilibrio tra interesse pubblico (al salvataggio delle grandi imprese in crisi) ed interesse privato dei creditori anteriori dell'impresa (alla conservazione della garanzia patrimoniale offerta dall'attivo della impresa esistente al momento della apertura della procedura). E ciò anche sotto il profilo della arbitraria equiparazione dei debiti conseguenti al mancato pagamento dei finanziamenti ai debiti di massa di cui all'art. 111 n. 1 L.F., contratti, questi ultimi, in vista di una continuazione dell'esercizio dell'impresa "voluta" dai creditori e non invece, come nella specie, loro "imposta".

 

5. - Della questione così prospettata l'Avvocatura dello Stato ha - come si è detto - eccepito plurimi motivi di inammissibilità: sia in ragione della asserita natura additiva della pronuncia richiesta alla Corte, implicante scelte normative riservate al discrezionale apprezzamento del legislatore; sia sotto il profilo della irrilevanza della impugnativa. A sua volta (quest'ultima) duplicemente argomentata: con riguardo e alla "mancanza di interesse del Commissario ad attivarsi in sede giudiziaria per contrastare la prededuzione del credito del Ministero del Tesoro", ed alla non attinenza al giudizio a quo di questioni relative alla posizione dei creditori anteriori, le quali avrebbero dovuto - sempre secondo l'Avvocatura - proporsi innanzi al giudice amministrativo avverso il decreto disponente la continuazione dell'esercizio dell'impresa.

 

Nessuna delle riferite eccezioni merita, però, di essere accolta.

 

Non la prima, perché ciò che l'autorità remittente ha ipotizzato è, in realtà, un intervento non già additivo, sibbene solo (parzialmente) caducatorio, risolventesi nella eliminazione appunto della prededuzione dal complessivo meccanismo effettuale della garanzia in esame.

 

Né la seconda eccezione, perché - a prescindere dall'inerenza della pretesa mancanza di interesse ad agire al merito del giudizio a quo (cfr. Corte Cost. 124/68) - sta di fatto che il commissario governativo, nell'amministrazione straordinaria ex lege n. 95 cit., rappresenta, non diversamente dal curatore nell'ordinaria procedura concorsuale, anche gli interessi dei creditori dell'imprenditore insolvente.

 

E neppure infine la terza censura, perché è proprio e soltanto nella fase di ammissione al passivo del credito in regresso dello Stato garante - cui appunto si riferiscono le contestazioni oggetto del giudizio a quo che viene in applicazione la disciplina della prededuzione e diviene quindi attuale il problema della correlativa legittimità.

 

6. - Nel merito la questione è infondata.

 

La rappresentazione dell'eventuale ingiustificato pregiudizio, derivante ai creditori anteriori dalla disciplina impugnata, è invero viziata in radice, nella prospettiva dell'ordinanza di rimessione, dal non corretto riferimento all'evenienza fattuale dell'aggravamento del passivo per insuccesso del tentativo di risanamento. Mentre la questione va posta in relazione al paradigma astratto della norma. La quale, nelle intenzioni del legislatore, è volta all'opposto obiettivo del salvataggio dell'impresa in crisi, anche in vista del "conseguente maggiore ricavo a beneficio dei creditori" (v. Relaz. Camera d.l. conversione d.l. n. 26/79).

 

7. - D'altra parte, la subordinazione dell'interesse particolare dei creditori dell'imprenditore in dissesto ad interessi più generali, correlati al mantenimento in vita dell'impresa, risponde ad una ragionevole e giustificata logica di bilanciamento: cui risultano già ispirati, nell'ambito delle ordinarie procedure concorsuali, gli istituti della continuazione dell'esercizio dell'impresa (art. 90 L.F.) e dell'amministrazione controllata (artt. 187 ss. L.F.).

 

È pur vero che, nel caso dell'amministrazione straordinaria, la posizione dei creditori anteriori è aggravata dalla mancata previsione di meccanismi di partecipazione o di consenso (alle decisioni sulla continuazione dell'esercizio dell'impresa) analoghi a quelli contemplati dall'art. 90 L.F. e (con riguardo, però, ai soli creditori chirografari) dall'art. 189 L.F. Ciò, però, trova innegabile giustificazione - anche ai fini dell'esclusione dell'adombrato profilo di violazione del precetto dell'eguaglianza - nell'eccezionale rilevanza (anche sul piano occupazionale e dell'ordine pubblico: v. Relaz. citata) degli interessi posti in pericolo dalla crisi delle grandi imprese, cui ha inteso far fronte la disciplina straordinaria ex lege 95/79; e nella conseguente considerazione (che ha già indotto a reputare legittima, con sent. n. 207/1970, l'analoga esclusione dal voto dei creditori con prelazione ai fini dell'ammissione all'amministrazione controllata) che il fine di risanamento della impresa potrebbe essere frustrato, ove la continuazione del suo esercizio fosse subordinata al consenso di soggetti aventi un presumibile non coincidente interesse all'immediata liquidazione del patrimonio societario per la più sollecita soddisfazione dei rispettivi crediti.

 

8. - E va poi ancora sottolineato che, nel complessivo paradigma della legge n. 95/79, la rilevata mancanza di poteri deliberativi dei creditori anteriori trova comunque un momento di riequilibrio nell'affidamento del compito di valutazione degli interessi di detti creditori (al fine del correlativo bilanciamento con l'interesse pubblico) ad organi terzi dell'Amministrazione, quali il Ministro in sede di disposizione della continuazione dell'esercizio dell'impresa, ed il Commissario all'atto della predisposizione del programma di risanamento (v. art. 2, commi, primo e quinto l. cit.).

 

Con l'ulteriore conseguenza che avverso detti provvedimenti i creditori anteriori, in caso di insoddisfacente valutazione del loro interesse, possono ricorrere nella competente sede giurisdizionale.

 

Il che contribuisce, sotto altro profilo, ad escludere ogni margine di consistenza al dubbio di legittimità costituzionale prospettato.

 

 

per questi motivi

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2- bis della legge 3 aprile 1979 n. 95 ("Provvedimenti urgenti per l'amministrazione delle grandi imprese in crisi"), per la parte in cui non esclude la prededuzione dei crediti garantiti dallo Stato e fatti valere nei confronti della società in amministrazione straordinaria con l'azione di regresso, sollevata, in relazione all'art. 3 della Costituzione, dalla Corte di appello di Roma, con l'ordinanza di cui in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 maggio 1991.

 

 

Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA - Giuliano VASSALLI.

 

 

Depositata in cancelleria il 24 maggio 1991.