Ordinanza n. 208 del 1991

 

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ORDINANZA N. 208

 

ANNO 1991

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Dott. Aldo CORASANITI                                         Presidente

Prof. Giuseppe BORZELLINO                                  Giudice

Dott. Francesco GRECO                                                 “

Prof. Gabriele PESCATORE                                           “

Avv. Ugo SPAGNOLI                                                    “

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA                               “

Prof. Antonio BALDASSARRE                                     “

Prof. Vincenzo CAIANIELLO                                       “

Avv. Mauro FERRI                                                         “

Prof. Luigi MENGONI                                                    “

Prof. Enzo CHELI                                                           “

Dott. Renato GRANATA                                                “

Prof. Giuliano VASSALLI                                              “

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 563, quarto comma, del codice di procedura penale, "e, in ipotesi, del combinato disposto degli artt. 446, primo comma, 549 e 563, primo comma, del codice di procedura penale", promossi con 12 ordinanze emesse dal Pretore di Perugia, iscritte rispettivamente ai nn. 22, 36, 37, 38, 54, 55, 56, 57, 74, 75, 76, 77 del registro ordinanze 1991 e pubblicate nelle Gazzette Ufficiali della Repubblica artt. 6, 7 e 8, prima serie speciale, dell'anno 1991;

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nella camera di consiglio del 10 aprile 1991 il Giudice relatore Mauro Ferri;

Ritenuto che il Pretore di Perugia, con dodici ordinanze di contenuto identico, ha sollevato - in riferimento agli artt. 76 e 25, primo comma, della Costituzione - questione di legittimità costituzionale dell'art. 563, quarto comma, del codice di procedura penale, "e, in ipotesi, del combinato disposto degli artt. 446, primo comma, 549 e 563, primo comma, del codice di procedura penale", nella parte in cui consente all'imputato, anche nel procedimento pretorile, di presentare la richiesta prevista nell'art. 444, primo comma, dello stesso codice dopo la scadenza del termine di 15 giorni dalla notificazione del decreto di citazione a giudizio (art. 555, primo comma, lett. e), e fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento;

che il giudice remittente osserva, innanzitutto, in punto di rilevanza, che a suo avviso è unicamente l'art. 563, quarto comma, del codice di procedura penale (secondo cui "Se la richiesta è formulata dopo la scadenza del termine previsto nell'art. 555 comma 1 lettera e), è competente a decidere il pretore del dibattimento") a consentire all'imputato la anzidetta facoltà, ma che, tuttavia, ove la disposizione impugnata dovesse ritenersi meramente esplicativa della disciplina comunque applicabile al giudizio pretorile in virtù del richiamo operato dagli artt. 549 e 563, primo comma, all'art. 446, primo comma, del codice di procedura penale, la sollevata questione di costituzionalità andrebbe, in tale ipotesi, estesa anche al combinato disposto di queste ultime norme;

che, in punto di non manifesta infondatezza, il giudice a quo osserva che la normativa in esame viola, in primo luogo, l'art. 76 della Costituzione, per contrasto con la direttiva n. 103 della legge-delega 16 febbraio 1987, n. 81, la quale renderebbe necessitata un'ulteriore semplificazione degli istituti del giudizio pretorile rispetto a quelli previsti per il procedimento dinanzi al tribunale e, in particolare, richiederebbe, quanto all'istituto dell'applicazione della pena su richiesta, l'eliminazione della possibilità per l'imputato di formulare tale richiesta fino all'apertura del dibattimento - come stabilito nei giudizi di tribunale - anziché entro il più ristretto termine di 15 giorni dalla notificazione del decreto di citazione;

che il prolungamento del termine fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento, prosegue il giudice remittente, sarebbe del tutto incongruo nel giudizio pretorile, stante l'assenza in tale procedimento dell'udienza preliminare e la cristallizzazione dell'accusa nel decreto di citazione, per cui il detto prolungamento avrebbe l'unica conseguenza di rendere necessario il compimento di una serie di incombenti finalizzati alla celebrazione del dibattimento e tuttavia suscettibili di essere posti nel nulla da una successiva richiesta di patteggiamento avanzata dall'imputato col consenso del pubblico ministero;

che, infine, la norma impugnata violerebbe anche il principio del giudice naturale precostituito di cui all'art. 25, primo comma, della Costituzione, consentendo all'imputato di scegliere il giudice competente a decidere sulla richiesta (giudice per le indagini preliminari o pretore del dibattimento) sulla base della semplice opzione in ordine alla fase del giudizio in cui formulare la richiesta stessa;

che è intervenuto nei presenti giudizi (tranne che in quelli di cui alle ordinanze artt. 37, 38 e 56 reg. 1991) il Presidente del Consiglio dei ministri, concludendo per l'infondatezza della questione;

Considerato che i giudizi, concernendo identica questione, vanno riuniti e decisi congiuntamente;

che, innanzitutto, va ritenuta ammissibile esclusivamente la questione relativa all'art. 563, quarto comma, del codice di procedura penale, in quanto è questa la sola disposizione che, ad avviso del giudice a quo, consente all'imputato la facoltà di richiedere l'applicazione della pena fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento, ed è, quindi, l'unica che egli ritiene di dover applicare nella fattispecie;

che, di conseguenza, la questione concernente il combinato disposto degli artt. 446, primo comma, 549 e 563, primo e quarto comma, del codice di procedura penale, essendo prospettata in via subordinata ed in forma meramente ipotetica (ipotesi, peraltro, dallo stesso giudice a quo chiaramente non condivisa), va dichiarata manifestamente inammissibile, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (cfr., ad esempio, sentt. nn. 182 del 1984, 146 del 1985, 456 del 1989);

che, nel merito, la dedotta violazione della legge-delega evidentemente non sussiste, in quanto la direttiva artt. 103 lascia al legislatore delegato un ampio spazio di discrezionalità in ordine alla disciplina delle concrete modalità di funzionamento del processo pretorile e, in particolare, in merito alla individuazione dei casi e dei limiti nei quali attuare in tale processo una semplificazione degli istituti previsti per il procedimento davanti al tribunale, onde adeguarli alla naturale maggior celerità e snellezza del giudizio pretorile;

che, nel caso di specie, tale discrezionalità non è stata certamente adoperata in modo irragionevole, in quanto è assorbente rilevare che l'aver lasciato inalterata - rispetto al procedimento dinanzi al tribunale - la facoltà per l'imputato di formulare la richiesta di applicazione di una pena fino all'ultimo momento utile (dichiarazione di apertura del dibattimento) costituisce evidente espressione del favor per i riti differenziati - alternativi al dibattimento - la cui incentivazione, come si legge anche nella relazione al progetto preliminare, mira in definitiva a perseguire proprio quella finalità di massima semplificazione invocata dal remittente;

che, infine, è chiaramente da escludere la violazione del principio del giudice naturale (art. 25, primo comma, della Costituzione), in quanto, come questa Corte ha già avuto occasione di osservare proprio in relazione all'istituto in esame (cfr. ord. artt. 353 del 1990), il fatto che l'imputato sia abilitato ad avanzare la richiesta di applicazione della pena nell'una o nell'altra fase del giudizio non implica lesione del suddetto principio, giacché è pur sempre la legge che precostituisce il giudice competente ad applicare la pena nelle varie fasi durante la pendenza del termine;

che, in conclusione, la questione va dichiarata manifestamente infondata sotto ogni profilo;

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, artt. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale;

 

per questi motivi

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

Riuniti i giudizi:

a) dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 446, primo comma, 549 e 563, primo e quarto comma, del codice di procedura penale, in riferimento agli artt. 76 e 25, primo comma, della Costituzione, sollevata dal Pretore di Perugia con le ordinanze in epigrafe;

b) dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 563, quarto comma, del codice di procedura penale, in riferimento agli artt. 76 e 25, primo comma, della Costituzione, sollevata dal Pretore di Perugia con le medesime ordinanze.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 aprile 1991.

 

Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA - Giuliano VASSALLI.

 

Depositata in cancelleria il 13 maggio 1991.