Sentenza n. 104 del 1991

 

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SENTENZA N. 104

ANNO 1991

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Ettore GALLO                                                   Presidente

Dott. Aldo CORASANITI                                         Giudice

Prof. Giuseppe BORZELLINO                                       “

Dott. Francesco GRECO                                                 “

Prof. Gabriele PESCATORE                                           “

Avv. Ugo SPAGNOLI                                                    “

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA                               “

Prof. Antonio BALDASSARRE                                     “

Prof. Vincenzo CAIANIELLO                                       “

Avv. Mauro FERRI                                                         “

Prof. Luigi MENGONI                                                    “

Prof. Enzo CHELI                                                           “

Dott. Renato GRANATA                                                “

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 20, 64, 65, 66, 67, 72 e 74 della legge 31 luglio 1954, n. 599 ("Stato dei sottufficiali dell'Esercito, della Marina e dell'Areonautica"), promosso con ordinanza emessa il 5 luglio 1990 dal Tribunale Amministrativo regionale per la Liguria sul ricorso proposto da Vitali Sabatino contro il Ministero delle Finanze, iscritta al n. 664 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, prima serie speciale, dell'anno 1990;

Visto l'atto di costituzione di Vitali Sabatino;

Udito nell'udienza pubblica del 12 febbraio 1991 il giudice relatore Renato Granata;

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Nel giudizio promosso innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Liguria da Vitali Sabatino (già brigadiere della Guardia di finanza) per l'annulamento del decreto ministeriale 12 febbraio 1988 n. 264967 - con cui gli era stata irrogata la sanzione disciplinare della perdita del grado per rimozione, (art. 60, punto 6, legge 31 luglio 1954 n. 599) con conseguente cessazione dal servizio, all'esito di un procedimento disciplinare iniziato dopo il passaggio in giudicato della sentenza di secondo grado della Corte d'appello di Venezia emessa il 30 gennaio 1986, che aveva dichiarato non doversi procedere nei suoi confronti per intervenuta prescrizione dei reati (di contrabbando e corruzione) - il Tribunale amministrativo regionale adito ha sollevato, con ordinanza del 5 luglio 1990 in riferimento agli artt. 2, 3 e 52 Cost., questione di legittimità costituzionale degli artt. 20, 64, 65, 66, 67, 72 e 74 della citata legge n. 599 del 1954, nella parte in cui tali disposizioni non prevedono termini per l'attivazione del procedimento disciplinare a carico dei sottufficiali delle Forze Armate e per la effettuazione degli ulteriori atti di procedura e non garantiscono termini dilatori prima della comparizione dell'inquisito innanzi alla Commissione di disciplina.

Il Tribunale amministrativo regionale - dopo aver premesso che il ricorrente lamentava sia che il procedimento disciplinare era stato attivato nei suoi confronti oltre un anno dopo il passaggio in giudicato della sentenza della Corte d'appello, sia che gli era stato dato preavviso di soli sette giorni della data di trattazione orale del procedimento innanzi alla commissione di disciplina, sia infine che il procedimento stesso era stato ripetutamente interrotto per periodi superiori a 90 giorni - escludeva che potesse effettuarsi una automatica trasposizione dei termini procedimentali previsti dal d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3 (artt. 97, 111, 120), trattandosi di normativa applicabile agli impiegati civili dello Stato e non anche ai militari, ma riteneva non giustificabile tale disparità di trattamento pur tenendo conto della peculiarità dello status dei sottufficiali delle Forze Armate.

Secondo il giudice a quo, le disposizioni impugnate, applicabili al caso di specie in virtù del rinvio operato dall'art. 1 della legge 17 aprile 1957 n. 260, sarebbero, poi, anche in contrasto con l'art. 2 Cost., in quanto la soggezione a procedimento disciplinare potenzialmente senza limiti di tempo determinerebbe una effettiva compressione dei diritti fondamentali dell'inquisito; sia con l'art. 52 Cost., secondo cui l'ordinamento delle Forze Armate si informa allo spirito democratico della Repubblica.

2. - La predetta ordinanza del Tribunale amministrativo regionale per la Liguria è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, prima serie speciale, del 7 novembre 1990 n. 44.

3. - Si è costituita la parte privata Sabatino Vitali aderendo sostanzialmente alle argomentazioni svolte dal giudice a quo.

 

Considerato in diritto

 

1. - La Corte è chiamata a decidere se gli artt. 20, 64, 65, 66, 67, 72 e 74 della legge 31 luglio 1954 n. 599 contrastino con gli artt. 2, 3 e 52 della Costituzione nella parte in cui non prevedono termini decadenziali sia per l'attivazione del procedimento disciplinare a carico dei sottufficiali delle Forze Armate, sia per l'esecuzione degli ulteriori atti d'impulso procedimentale, nonché nella parte in cui non sono garantiti termini dilatori prima della comparizione dell'inquisito davanti alla commissione di disciplina.

2. - La questione è fondata.

Oggetto del giudizio a quo è la fattispecie costituita dal procedimento disciplinare instaurato a seguito di sentenza definitiva di assoluzione o di proscioglimento con formula non pienamente liberatoria nei confronti dei sottufficiali della Guardia di finanza, per i quali trova applicazione la disciplina impugnata (dettata per i sottufficiali dell'Esercito, della Marina e dell'Areonautica) in forza del rinvio operato dall'art. 1 della legge 17 aprile 1957 n. 260 (Stato dei sottufficiali della Guardia di finanza).

L'art. 20 della legge n. 599 del 1954 cit. infatti - dopo aver previsto che il sottufficiale, il quale sia sottoposto a procedimento penale per imputazione da cui possa derivare la perdita del grado, può essere sospeso precauzionalmente dall'impiego, a tempo indeterminato, fino all'esito del procedimento penale - prescrive che, se il procedimento penale ha termine con sentenza definitiva che dichiari che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso, la sospensione è revocata a tutti gli effetti, mentre in ogni altro caso di proscioglimento con formula diversa da quelle (ampiamente liberatorie) suddette la sospensione è revocata solo se il sottufficiale non venga sottoposto a procedimento disciplinare.

I successivi artt. 64, 65, 67, 72 e 74 dettano poi norme in ordine al procedimento disciplinare in genere e sono quindi applicabili anche alla fattispecie in esame. Tale normativa contempla uno sviluppo del procedimento disciplinare articolato in distinti momenti, ben individuati nei contenuti, ma non cadenzati nei tempi. Infatti, limitatamente a quanto rileva ai fini del decidere, può notarsi che è prevista un'iniziale inchiesta formale con l'obbligo per l'Autorità procedente (variamente individuata dall'art. 65 cit. secondo precisi criteri di competenza) di contestare gli addebiti al sottufficiale inquisito, che ha facoltà di presentare sue discolpe (art. 64, primo comma, cit.). Conclusasi l'inchiesta formale con la raccolta degli elementi di prova dell'addebito contestato, l'autorità procedente, ove ritenga il sottufficiale passibile della sanzione della perdita del grado (cui consegue, ex art. 26, lett. g, della stessa legge n. 599 del 1954, la cessazione dal servizio permanente e quindi la perdita del posto di lavoro) ne ordina il deferimento alla Commissione di disciplina (art. 66 cit.) e della convocazione di questa stessa dà comunicazione all'inquisito (art. 72, terzo comma, cit.).

La seduta della Commissione di disciplina è celebrata in contraddittorio con il sottufficiale inquisito, assistito da un ufficiale difensore e si conclude con il giudizio, espresso dalla Commissione in ordine al quesito se il sottufficiale meriti, o meno, di conservare il grado. Peraltro i tempi del procedimento disciplinare possono ulteriormente dilatarsi nell'ipotesi in cui ci sia un ritorno alla fase dell'inchiesta ove la Commissione ritenga di non poter esprimere il proprio giudizio senza un supplemento di istruttoria; in tal caso il presidente rinvia gli atti all'autorità che ha disposto la convocazione del sottufficiale a chiusura dell'inchiesta formale perché provveda alle ulteriori indagini (art. 74, ottavo comma, cit.).

Esaurito infine il procedimento innanzi alla Commissione di disciplina, gli atti sono trasmessi al Ministro della difesa che provvede con decreto.

3. - Questa essendo (per la parte che interessa) la successione dei momenti del procedimento disciplinare che sfocia nel decreto ministeriale con cui è irrogata la sanzione disciplinare di stato della perdita del grado per rimozione, risulta in generale (pur in presenza di innegabili garanzie di difesa e salva l'innovazione introdotta dalla legge n. 19 del 1990, di cui si dirà infra) la totale mancanza di una qualche scansione dei termini del procedimento stesso, mancanza che quindi si riscontra anche nella fattispecie particolare del procedimento disciplinare iniziato dopo il passaggio in giudicato della sentenza di assoluzione o di proscioglimento con formula non liberatoria.

Né, secondo l'opinione espressa dal giudice di merito in conformità alla consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato, sono applicabili a quest'ultima fattispecie - unico oggetto del presente giudizio di costituzionalità - le disposizioni dettate dagli artt. 97, 111 e 120 d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3 per gli impiegati civili dello Stato, disposizioni che invece assicurano (a tutela del dipendente) una precisa scansione dei termini del procedimento disciplinare. Prevedono infatti che: a) il procedimento disciplinare deve avere inizio con la contestazione degli addebiti, entro 180 giorni dalla data in cui è divenuta irrevocabile la sentenza definitiva di proscioglimento (art. 97, terzo comma, cit.); b) la data della seduta fissata per la trattazione orale innanzi alla Commissione di disciplina deve essere comunicata all'impiegato inquisito almeno venti giorni prima, con avvertenza che egli ha facoltà di intervenirvi per svolgere oralmente le proprie difese e di far pervenire alla Commissione, almeno cinque giorni prima della seduta, eventuali scritti o memorie difensive (ar t. 111, ultimo comma, cit.); c) il procedimento disciplinare si estingue quando siano decorsi novanta giorni dall'ultimo atto che sia stato compiuto (art. 120, primo comma, cit.).

4. - Tale evidenziata disparità di trattamento tra gli impiegati civili dello Stato (per i quali soccorre la garanzia dei termini acceleratori e dilatori suddetti) ed i sottufficiali delle Forze Armate (nei confronti dei quali invece il procedimento disciplinare potrebbe iniziare anche dopo un lungo periodo di tempo dalla sentenza di proscioglimento e potrebbe perdurare senza l'argine di alcun termine acceleratorio o dilatorio) non trova giustificazione nelle peculiarità proprie dello status militare, avendo questa Corte già evidenziato "la generale tendenza al maggiore possibile avvicinamento dei diritti del cittadino militare a quelli del cittadino che tale non è" (sentenza n. 490 del 1989).

L'orientamento di questa Corte si è evoluto in uno sviluppo coerente e dall'iniziale affermazione che esigenze di civiltà giuridica richiedono che l'azione disciplinare "deve essere promossa senza ritardi ingiustificati, o peggio arbitrari, rispetto al momento della conoscenza dei fatti cui si riferisce" (sentenza n. 145 del 1976) è approdata a più pregnanti puntualizzazioni allorché ha ritenuto che "la sperimentabilità sine die del procedimento disciplinare costituisce di certo un eccesso di tutela del prestigio", nella specie, della istituzione universitaria, "cedevole a fronte delle garanzie dovute al singolo (sentenza n. 1128 del 1988); tali garanzie - ha ulteriormente precisato la Corte (nella sentenza n. 264 del 1990) - "costituiscono espressione di un principio generale ricollegabile all'esigenza che i procedimenti disciplinari abbiano svolgimento e termine in un arco di tempo ragionevole, onde evitare che il pubblico dipendente rimanga indefinitivamente esposto alla irrogazione di sanzioni disciplinari".

Da ultimo la Corte, nel ribadire il "principio di una sollecita definizione della posizione dell'incolpato" ha enucleato un vero e proprio "diritto alla decisione" (ricadente peraltro nell'ambito della copertura costituzionale garantita dall'art. 24 Cost.).

In questo contesto omogeneo la progressiva valorizzazione delle garanzie del pubblico dipendente sottoposto a procedimento disciplinare si estende alla esigenza della previsione di termini che garantiscano all'incolpato un tempestivo e sollecito svolgimento del procedimento disciplinare.

5. - Questa esigenza si puntualizza nella fattispecie in esame con una connotazione di ulteriore evidenza dopo la legge 7 febbraio 1990 n. 19. Ed infatti l'art. 9 di quest'ultima contempla una regolamentazione uniforme per tutti i pubblici dipendenti della destituzione di diritto, con l'abrogazione dell'automatismo per cui quest'ultima seguiva direttamente la sentenza penale irrevocabile di condanna, e quindi conferma l'impossibilità di differenziare, al fine de quo, la posizione dei dipendenti pubblici civili da quella dei dipendenti pubblici militari (in particolare per i sottufficiali delle Forze Armate l'art. 60, primo comma, n. 7, lett. b, della legge 599 del 1954 cit., prevede un'ipotesi di automatica perdita del grado a seguito di condanna penale con conseguente cessazione dal servizio permanente). Né d'altra parte alcuna differenziazione opera la citata norma nel prevedere la destituzione (non più di diritto, ma) all'esito di un procedimento disciplinare e nello stabilire, a garanzia del dipendente il termine di 180 giorni (dalla data in cui l'amministrazione abbia avuto notizia della sentenza irrevocabile di condanna) per l'inizio (o la prosecuzione) del procedimento disciplinare e di 90 giorni per la conclusione dello stesso.

Uguale garanzia quindi sotto il profilo dei termini del procedimento risulta approntata sia ai dipendenti civili dello Stato, sia ai militari quanto alla fattispecie del procedimento disciplinare che segua una sentenza di condanna, talché maggiormente ingiustificata e lesiva del canone di eguaglianza e ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. si appalesa la denunciata disparità di trattamento quanto alla parallela fattispecie del procedimento disciplinare che segua una sentenza di assoluzione o di proscioglimento con formula non liberatoria essendo previsti per i dipendenti civili dello Stato, ma non anche per i militari, i termini acceleratori e dilatori sopra indicati.

Il riequilibrio delle posizioni non può pertanto avvenire altrimenti che parificando le garanzie dei militari (nella specie, sottufficiali delle Forze Armate) a quelle dei dipendenti civili dello Stato quanto sia al termine di 180 giorni di cui all'art. 97, terzo comma, prima parte (per iniziare il procedimento disciplinare), sia al termine di 20 giorni di cui all'art. 111, ultimo comma, (per la previa comunicazione della data della seduta fissata per la trattazione orale innanzi alla Commissione di disciplina), sia al termine di 90 giorni di cui all'art. 120, primo comma (quale intervallo massimo tra un atto ed il successivo del procedimento).

6. - Sono conseguentemente assorbiti i profili di incostituzionalità delle norme censurate in relazione agli artt. 2 e 52 della Costituzione.

 

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

Dichiara l'illegittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 20, 64, 65, 72 e 74 della legge 31 luglio 1954 n. 599 ("Stato dei sottufficiali dell'Esercito, della Marina e dell'Areonautica") nella parte in cui non prevedono che nel procedimento disciplinare nei confronti di sottufficiali delle Forze Armate, promosso successivamente a sentenza penale di proscioglimento o di assoluzione passata in giudicato per motivi diversi dalie formule "perché il fatto non sussiste" o "perché l'imputato non lo ha commesso", trovino applicazione i termini stabiliti negli artt. 97, terzo comma, prima parte, 111, ultimo comma, e 120, primo comma, del d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3 ("Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato").

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 febbraio 1991.

 

Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA.

 

Depositata in cancelleria l'11 marzo 1991.